Cortometraggio presentato dal prefetto del Dicastero per la comunicazione

Per diminuire la distanza
tra carcere e società

 Per diminuire la distanza tra carcere e società  QUO-129
07 giugno 2022

La morte di un figlio e il dolore di una madre: ci sono tutti gli elementi fondativi dello Stabat Mater classico nel cortometraggio dell’Electra Teatro di Pistoia, girato dal regista Giuseppe Tesi nella casa circondariale della città, con la partecipazione di un gruppo di detenuti.

Tratto dal dramma Madri della poetessa pistoiese Grazia Frisina, il lavoro, realizzato nei mesi più bui della pandemia, è stato presentato oggi nella Filmoteca Vaticana dal prefetto del Dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini e dalla vicepresidente della Commissione straordinaria per la tutela e promozione dei diritti umani — istituita all’interno del Senato della Repubblica italiana — Paola Binetti.

Con questa iniziativa «il Dicastero ha voluto rispondere all’attenzione del Pontefice nei confronti di questi nostri fratelli», ha detto il prefetto nel suo saluto; «abbiamo scoperto che nel carcere si vedono abissi di dolore, di disperazione, ma anche abissi di straordinaria capacità di reagire e di straordinaria capacità di ritrovare se stessi nel momento della sofferenza. Una pastorale carceraria che sia realmente incisiva, deve far leva unicamente sull’ascolto e sulla vicinanza, proprio come ci esorta a fare costantemente il Papa».

Nel cortometraggio al centro è la figura di Maria, qui fotografata nel suo lato più umano, quello di una madre pronta addirittura a rifiutare la santità pur di non veder soffrire il Figlio, pur di non provare il dolore più grande e, assieme a questo, l’impotenza dell’ineluttabilità. Il lutto di Maria, dal testo universalmente conosciuto, in questo lavoro che è il frutto di un laboratorio teatrale durato oltre un anno, diventa il lutto e il vissuto di ogni detenuto che si fa interprete nel coro, diventa il lutto della detenzione intesa come privazione della libertà e come separazione dagli affetti e dalla famiglia. Un tempo, troppo spesso vuoto, che può però diventare riabilitativo grazie a iniziative come questa, raccontata nel volume-documentario “Senza pregiudizio. Dove il cinema si fa riscatto”, che ripercorre l’incontro umano e professionale tra il regista e gli ospiti della casa circondariale di Pistoia, dalla prima impressione all’ultimo giorno di riprese, già bagnato dalle lacrime della nostalgia.

Tra queste pagine si sottolinea, tra l’altro, il valore catartico dell’attività teatrale e i benefici che questa ha in carcere nel tentativo di liberarsi sia del dolore provato che di quello inflitto, raggiungendo una dimensione finalmente riparativa della giustizia.

«Sta a noi dare il giusto contributo per umanizzare questi Istituti, alimentando la circolarità delle idee e delle proposte», ha proseguito Ruffini. «Il cortometraggio di oggi è una delle più efficaci testimonianze di questo tipo di contributi. Tutto quello che è stato fatto e che continueremo a fare ha un unico obiettivo: diminuire la distanza che c’è tra l’uomo in carcere e la sua famiglia, che c’è tra l’uomo in carcere e la società. Anche perché, lo stesso Francesco ci ricorda che “tutti sbagliamo nella vita, ma l’importante è non rimanere sbagliati”».

di Roberta Barbi