Ivan Fedorov, il Gutenberg russo

L’«Apostolo» e il tipografo

 L’«Apostolo» e il tipografo  QUO-127
04 giugno 2022

Il primo marzo 1564 è un giorno importante per la storia del libro. Infatti in questa data veniva pubblicato a Mosca l’Apostolo. Era questo un volume miscellaneo che comprendeva gli «Atti degli apostoli, le lettere cattoliche e quelle di san Paolo apostolo», come tiene a specificare nella postfazione al libro Ivan Fedorov (1520-1583), il tipografo a cui si deve la paternità dell’opera e che si sarebbe fatto carico dell’edizione della prima Bibbia in slavo ecclesiastico, la cosiddetta Bibbia di Ostrog [Ostrožskaja Biblija] (1581), che deriva il suo nome dalla città ucraina dove il volume venne stampato e che sarebbe anche stato il suo ultimo lavoro tipografico.

Dal punto di vista biografico invece l’Apostolo si trova esattamente all’inizio della sua attività. In questa postfazione inoltre sono fornite anche altre informazioni che risultano assai utili a ricostruire non solo la storia di come si era arrivati a quel libro ma anche a conoscere meglio l’ambiente che aveva reso possibile quel risultato. A tal proposito infatti vengono citati lo zar Ivan iv e il metropolita Makarij, due figure che avevano dato un forte impulso alla vita culturale dell’epoca favorendo la ricerca e gli studi, basti pensare alla presenza a Mosca proprio in quegli stessi anni di Maksim Grek, il monaco athonita a cui era stato affidato il compito di rivedere i testi sacri alla luce delle sue competenze filologiche e linguistiche. All’interno di questo nuovo contesto storico Fedorov sottolinea il bisogno che si avvertiva anche in Russia «di realizzare libri a stampa come tra i greci, a Venezia e in Italia». Perciò, sulla scorta di tali premesse, si era arrivati alla decisione di creare una struttura per la stampa dei libri, cosa che accadde «nel 1563, quando era il 30° anno di regno dello zar». E fu proprio in questa officina tipografica [pečatnyj dvor], che il 19 aprile 1563 fu cominciata la stampa dell’Apostolo che si sarebbe conclusa meno di un anno dopo, il primo marzo 1564.

Nella postfazione non vengono forniti ulteriori dettagli per ricostruire il modo in cui si era arrivati a essa. Tuttavia ciò che colpisce nel testo è soprattutto un riferimento temporale nel quale egli parla di un’attività tipografica già esistente a Mosca a partire dal 1553, quindi nei dieci anni precedenti l’apertura della citata stamperia. A fare luce su questo passaggio appena accennato è stata soprattutto l’indagine storiografica novecentesca (Tichomirov, Zernova, Protas’eva, Nemirovskij). Proprio in quel decennio infatti è stata accertata la presenza nella capitale di una produzione tipografica anonima la quale aveva dato alla luce almeno sette volumi comprendenti tre diversi Vangeli, due Triodi e due Salteri. Ciò che rendeva «anonima» questa attività editoriale era il fatto che i libri uscivano senza l’indicazione dell’anno e del luogo e questo contrariamente a una prassi che si era affermata fin dagli esordi della stampa a caratteri mobili con il ricorso al colophon. Basti pensare infatti che il primo che viene registrato è quello del Salterio di Magonza del 1457 dei soci Fust & Schöffer, che presenta anche un’altra particolarità — anche questa da primato —, quella di contenere un memorabile refuso «spalmorum» invece di «psalmorum».

A questo punto è evidente che la novità dell’edizione dell’Apostolo del 1564 sta proprio nell’inserimento della postfazione nella quale egli fornisce importanti ragguagli sul luogo e sull’anno di pubblicazione dell’opera e che perciò funge da vero e proprio colophon nell’economia del libro. Egli così rompeva con la tradizione anonima che si era protratta nel corso del decennio precedente, introducendo un elemento di discontinuità che, se si guarda agli eventi che sarebbero seguiti, avrebbe pagato a caro prezzo. Infatti il prototipografo ebbe appena il tempo nell’anno successivo (1565) di stampare due edizioni di un Libro d’ore [Časovnik] che dovette fare in fretta e furia i bagagli e fuggire alla volta della Lituania insieme alla famiglia, al suo attendente e collaboratore Petr Mstislavc e con parte degli strumenti tipografici: punzoni, matrici, caratteri, tavole incise. Gli storici hanno individuato come causa della fuga da un lato la ribellione dei copisti che temevano di perdere il posto di lavoro e dall’altro l’opposizione di una parte del clero, quello più tradizionalista, che vedeva nelle modifiche a stampa dei libri ecclesiastici una minaccia per l’ortodossia (Tichomirov, 1940).

Una informazione aggiuntiva su quanto fosse accaduto allora a Mosca è riferita da un diplomatico inglese Giles Fletcher che nel resoconto relativo a una missione in Russia (Of the russe common wealth, 1591) riporta la notizia secondo la quale «una tipografia costruita con il permesso dello zar una notte fosse stata bruciata e che nel rogo fossero andati completamente distrutti anche il torchio e i caratteri, cosa che si suppone sia stata fatta dal clero». Molto probabilmente si tratta della stessa voce che aveva raccolto più di un decennio prima un viaggiatore francese, il frate francescano André Thevet, che narra di un incendio doloso di una stamperia moscovita a opera di non meglio precisati fanatici che temevano che «la stampa portasse qualche cambiamento o offuscamento al loro modo di pensare e alla loro religione» (Vrais pourtraits et vies des homes illustres, 1584).

La vicenda del rogo è tuttavia messa in discussione dalla storiografia contemporanea. Non si capisce infatti come, di fronte alla furia distruttiva dei suoi oppositori, Ivan Fedorov avrebbe potuto salvare buona parte degli strumenti tipografici di cui si sarebbe servito anche in futuro nella sua attività all’estero. La fuga invece rimane un fatto certo perché è lui stesso a farne il racconto e a fornire anche una spiegazione dell’accaduto. Questa narrazione è inserita in un’altra importante postfazione, quella all’edizione dell’Apostolo apparsa nel 1574 a L’vov. In essa, facendo riferimento agli incidenti di allora a Mosca, egli parla «dell’invidia delle gerarchie ecclesiastiche che lo avevano accusato di molte eresie, dimostrando così la loro ignoranza nell’arte della grammatica» e «dell’odio che lo aveva cacciato dalla terra, dalla patria, dai familiari, trapiantandolo in altri paesi sconosciuti». Era così cominciata per lui una vita di peregrinazioni. Dapprima aveva trovato ospitalità nel Granducato di Lituania (1568), poi si era trasferito in Ucraina, sempre per continuare, come egli stesso sottolinea nello scritto del 1574, la sua missione di tipografo che era quella «di seminare con l’arte della stampa i semi della parola del Signore per il mondo».

di Lucio Coco