Psicoanalisi e fede nel libro di Nicolò Terminio

Lasciandosi leggere
dal silenzio

 Lasciandosi leggere  dal silenzio  QUO-126
03 giugno 2022

Tutte le volte che si affronta il tema della psicologia vs religione, si corre sempre molto il rischio di cadere in un’interpretazione ambigua del loro rapporto. Nell’ultimo secolo, infatti, si è passati dalla contrapposizione alla sostituzione, cadendo in ogni caso in derive estreme che o entusiasmano in maniera messianica l’uso della psicologia e dell’analisi in ambito ecclesiale e religioso, specie in quello formativo, oppure si cade in forme di forte sospetto e reticenza.

Nicolò Terminio è uno psicoterapeuta, dottore di ricerca e docente all’Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata di Milano e Ancona, e ha raccolto alcune sue conferenze sul tema della preghiera e della testimonianza (L’eredità creativa. Preghiera e testimonianza tra cristianesimo e psicoanalisi, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2022, pagine 117, euro 18) cercando di rimettere in maniera creativa il cristianesimo e la psicoanalisi l’uno difronte l’altra in una sorta di dialogo arricchente proprio perché fatto da istanze che portano in sé similitudini ma anche radicali differenze.

Credo che potrebbe esserci utile fare una netta distinzione tra la semplice esperienza religiosa e l’esperienza di fede. La prima può paradossalmente accadere anche in assenza della fede, la seconda invece, proprio perché frutto di una relazione viva e vitale del soggetto interessato, si serve di un alfabeto religioso al fine di esprimere questa vitalità e non per reprimerla o controllarla come purtroppo sovente si rischia di fare. Solo a partire da questa distinzione possiamo dire che l’originale contributo di Terminio sta proprio nel fatto di essere riuscito a rimettere a fuoco la questione mostrando come la ragione psicoanalitica può riposizionare l’esperienza di fede sul suo vero cuore pulsante e può salvarla dalla deriva dell’alienazione e della semplice riproposizione interiore di faccende non risolte.

In questo senso, ad esempio, il silenzio, secondo Terminio, è una dimensione necessaria della preghiera perché è l’incontro con ciò che normalmente vogliamo evitare di noi stessi e della vita. È un silenzio che si manifesta come lotta ad abbandonare ogni tentativo di riempire questo silenzio con qualunque cosa. È lasciarsi denudare dal silenzio, perché proprio così possa emergere ciò che per troppo tempo in noi è rimasto nascosto.

Se Dio vuole incontrare qualcosa di noi è soprattutto ciò che di noi stessi con cura abbiamo scartato e nascosto. La preghiera non è più così un guscio dentro cui ci si ripara ma il coraggio di attraversare il mare aperto. Allo stesso modo la testimonianza è la grande occasione che ci è data non per fornire un modello moraleggiante all’altro, ma la convinzione che l’unica cosa che può davvero segnare la vita dell’altro è la trasmissione di una passione, di un fuoco che incendi il desiderio di chi incrociamo. È la testimonianza di Gesù che è sempre vissuta come una ripartenza della vita, come una resurrezione, di cui quella finale ne è solo l’estrema conseguenza e non l’unica.

In questo modo la preghiera e la testimonianza divengono così un modo nuovo di abitare il reale e il presente, e non un modo per evitare essi. Ha quindi ragione Terminio a dire che solo quando preghiera e testimonianza sgorgano dall’amore allora essi diventano essenziali alla vita stessa, e ciò per un motivo molto semplice che egli racchiude in questa fondamentale apoftegma: «Solo nell’amore diventiamo ciò che non saremmo mai stati».

di Luigi Maria Epicoco