Santa Maria Maggiore, 31 maggio 2022

Pregare, possibilmente
con gioia (sotto lo sguardo dei bambini)

 Santa Maria Maggiore, 31 maggio 2022  QUO-125
02 giugno 2022

«Perché quando preghiamo siamo così tristi?». Martedì 31 maggio, ultimo giorno del mese mariano, la Basilica di Santa Maria Maggiore è piena di fedeli, tutti in preghiera per la pace insieme al Santo Padre davanti alla statua di Maria Regina Pacis voluta da Benedetto XV alla fine della Grande Guerra, l’inutile strage, nel 1918. Tra la folla accalcata nella Basilica spicca una macchia bianca, un gruppo di bambini che qualche giorno prima hanno fatto la Prima Comunione vestiti ancora con l’abito bianco della festa, assorti in preghiera, guidati dal parroco e dalla catechista. È proprio lei che mi si avvicina al termine della cerimonia e mi confida quello che gli ha domandato Riccardo, uno dei suoi bambini indicando la folla orante tutta intorno: «Perché quando preghiamo siamo tutti tristi?». I bambini sono così, disarmati e disarmanti. Colgono l’essenziale. È vero, si tratta di una preghiera per la pace per un mondo dilaniato dalla guerra e quindi «come cantare i canti del Signore in terra straniera?» (Salmo 136), perché la guerra è una “terra straniera”, ostile, che fa smarrire tutto, svanire la realtà, perdere i punti di riferimento, annientare l’umanità. È naturale quindi che nei volti dei fedeli oranti nella Basilica non trasparisse alcun segno di gioia, però, in fondo, Riccardo ha ragione. Lui non lo sa ma intuisce una profonda verità, che già 150 anni fa aveva colto un filosofo come Nietzsche («Se Cristo è risorto, perché siete così tristi? Voi cristiani non avete un volto da persone redente») e che è un tema ricorrente nella predicazione di Papa Francesco.

Già nel maggio del 2013, in un’omelia da Casa Santa Marta, il Papa affermava che «il cristiano è un uomo e una donna di gioia». La gioia che non è esattamente l’allegria: «L’allegria è buona e rallegrarsi è buono. Ma la gioia è un’altra cosa, vale di più. È qualcosa di più profondo, perché non è legata al momento come l’allegria. È un dono». In quanto dono questa gioia va condivisa: «Perché se noi vogliamo avere questa gioia soltanto per noi alla fine si ammala e il nostro cuore diviene un po’ stropicciato, e la nostra faccia non trasmette quella gioia grande ma quella nostalgia, quella malinconia che non è sana». Il Papa, e con lui il piccolo Riccardo, è colpito da quanti cristiani malinconici ci siano nel mondo, sono quelli che hanno la “faccia appesa”, che in quell’omelia di nove anni fa il Papa sottolineava «hanno più la faccia da peperoncini all’aceto che di persone gioiose che hanno una vita bella».

Pregare quindi, sì, sempre, ma con gioia, non con un’allegria superficiale ma con questa forza grande che sta lì, nel profondo, sempre pronta a esplodere, proprio come fanno i bambini quando ridono, l’energia più pulita e potente dell’universo. Allo sguardo dei bambini non sfugge nulla, tantomeno l’essenziale ed è sempre vero quello che il Papa ha ricordato di recente citando il titolo del film di De Sica: i bambini ci guardano. È una piccola grande verità che però noi adulti tendiamo a rimuovere, o a rimuovere direttamente i bambini (vedi la notizia di oggi in prima pagina).

ANDREA MONDA