Per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Ascoltare con il cuore

 Ascoltare con il cuore  QUO-120
27 maggio 2022

È in corso a Rieti, dal 21 al 29 maggio, la diciassettesima edizione del Festival della comunicazione, promosso dai paolini e dalle paoline in collaborazione con la diocesi. Il programma è articolato su una serie di eventi per approfondire il tema, Ascoltare con l’orecchio del cuore, titolo del messaggio di Papa Francesco per la 56ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebrerà domenica prossima.  «L’obiettivo del Festival — ha spiegato il vescovo di Rieti, Domenico Pompili — è facilitare l’attitudine all’ascolto, senza il quale non c’è comunicazione, non c’è relazione, non c’è sviluppo, non c’è vita, non c’è fede». Il Festival della comunicazione si svolge ogni anno in una diocesi italiana diversa, con l’intento di coinvolgere in maniera attiva tutta la Chiesa e far emergere le tante valide risorse del territorio. Uno degli eventi in programma (legato ai 90 anni di fondazione del settimanale «Famiglia Cristiana») si è tenuto la sera di mercoledì 25  e ha visto, tra i partecipanti, Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Pubblichiamo stralci del suo intervento.

Ci ritroviamo anche quest’anno a condividere i nostri pensieri sulla comunicazione, e a riflettere sul Messaggio del Papa. Ascoltate. Ascoltate con l’orecchio del cuore. Un invito che sembra quasi un paradosso. Anzi due. In che senso, in che modo, la comunicazione è ascolto e non invece annuncio. E cosa significa ascoltare con il cuore invece che con l’orecchio. Userò molto i poeti e la poesia per districarmi in questo paradosso. I poeti conoscono l’uso delle parole. E del silenzio che le avvolge. «Questo — diceva padre David Maria Turoldo — è un mondo senza misura e senza gloria, perché si è perso il dono e l’uso della contemplazione […] civiltà del frastuono. Tempo senza preghiera. Senza silenzio e quindi senza ascolto […] E il diluvio delle nostre parole soffoca l’appassionato suono della sua Parola» (David Maria Turoldo, Senza silenzio e senza ascolto). Comincio dunque da qui. Dal frastuono del mondo. Per dire che a volte siamo così presi da noi stessi che perdiamo di vista l’essenziale. Questo ci dice il Papa. L’uomo ha bisogno di ascoltare e di sentirsi ascoltato. Di chiamare ed essere chiamato. Per nome. Qui è il fondamento della comunicazione.

Anche Dio ci chiede di essere ascoltato. Visto e ascoltato, e creduto, negli incontri che facciamo. Nelle cose che udiamo senza ascoltare veramente. Nella verità che ci sfiora senza che noi ci lasciamo sfiorare. Il Signore passa, passa davvero nelle nostre vite. Solo che appunto, a volte, spesso, lo lasciamo passare senza vederlo. Senza ascoltarlo.

Pochi giorni fa, nelle parole pronunciate prima del Regina Caeli dell’8 maggio, il Papa è tornato sul tema del messaggio. Lo ha fatto partendo dal Vangelo dall’immagine del buon pastore che sta con le sue pecore. «Le mie pecore — dice Gesù — ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono». L’iniziativa — ha detto il Papa — viene sempre dal Signore; tutto parte dalla sua grazia: è Lui che ci chiama alla comunione con Lui. Ma questa comunione nasce solo se noi ci apriamo all’ascolto. Se rimaniamo sordi, (anche il Signore) non ci può dare questa comunione. […] ascoltare significa disponibilità, significa docilità, significa tempo dedicato al dialogo. Oggi siamo travolti dalle parole e dalla fretta di dover sempre dire e fare qualcosa. […] Quante volte due persone stanno parlando e una non aspetta che l’altra finisca il pensiero, la taglia a metà cammino, risponde […] Ma se non la si lascia parlare, non c’è ascolto. Questo è un male del nostro tempo […] Siamo travolti dalle parole, dalla fretta di dover sempre dire qualcosa, abbiamo paura del silenzio. Quanta fatica si fa ad ascoltarsi! Ascoltarsi fino alla fine, lasciare che l’altro si esprima, ascoltarsi in famiglia, ascoltarsi a scuola, ascoltarsi al lavoro, e persino nella Chiesa! Ma per il Signore anzitutto occorre ascoltare. Lui è la Parola del Padre e il cristiano è figlio dell’ascolto, chiamato a vivere con la Parola di Dio a portata di mano. Chiediamoci oggi se siamo figli dell’ascolto, se troviamo tempo per la Parola di Dio, se diamo spazio e attenzione ai fratelli e alle sorelle. Se sappiamo ascoltare fino a che l’altro si possa esprimere fino alla fine, senza tagliare il suo discorso. Chi ascolta gli altri, sa ascoltare anche il Signore, e viceversa. E sperimenta una cosa molto bella, cioè che il Signore stesso ascolta».

Per questo sant’Agostino diceva: «Ho paura di Dio quando passa. Ho paura che io non me ne accorga». Fernando Pessoa in una sua bellissima poesia paragonò l’ascoltare al vedere l’invisibile: un fiume sommerso, e senza luogo, che trasporta tutte le cose, ma verso un dove, dove quel fiume non va. «Ah, le idee di Dio, del Mondo, di Me stesso e del Mistero, come da uno sconosciuto bastione colpito, scorrono con quel fiume, verso quel mare che esso non ha raggiunto né raggiungerà mai. Rimangono parte del suo moto legato alla notte. Oh, ancora scorrono verso quel sole, su quella spiaggia di quell’inattingibile oceano!».

A volte i poeti vedono più lontano. A volte si perdono. A volte hanno paura di perdere quel momento divino che è l’ispirazione. Sempre sono mossi dalla stessa inquietudine, cui danno voce, e che sempre Pessoa descrive così: «Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l’intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la mia vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole […] Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!» (Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine).

In un tempo di sguardi corti e avari, i poeti cercano sempre di sintonizzarsi su una dimensione altra, una lunghezza d’onda diversa. Che cambia l’orizzonte dei nostri pensieri; la prospettiva dei nostri ragionamenti; l’ordine delle cose; i criteri di giudizio, la dimensione del tempo. Per questo ascoltano. Cercano un senso che non sempre trovano. Ma continuano a cercare. Continuano ad ascoltare. Come dovremmo anche noi. Lo fanno per guardare oltre. Per capire anche senza troppe spiegazioni. Lo fanno per bussare alla porta del cielo, come direbbe Dylan. Poeta pure lui. Per inseguire le risposte che soffia il vento, cioè forse lo Spirito, sul senso del nostro essere uomini.

Altrettanto dovremmo fare noi, giornalisti, comunicatori, e alla fin fine noi tutti, uomini e donne che vivono comunque nella società della comunicazione. Dovremmo reimparare che non c’è comunicazione senza ascolto. In un certo senso — possiamo dire — l’ascolto, quando è vero, genera una relazione che non è affatto passiva; l’ascolto, quando avviene con il cuore, è esso stesso poesia. Per questo comunica. Parla anche quando tace. Crea bellezza. Annuncia. Trasforma. Converte. E suscita a sua volta parole che nascono dall’aver ascoltato e compreso. Nel silenzio dell’ascolto. Un altro poeta portoghese, che è anche un cardinale, chiamato da Papa Francesco a Roma, come bibliotecario e archivista della Biblioteca e dell’Archivio apostolici, José Tolentino de Mendonça, ha scritto (in O pequeno caminho das grandes perguntas, “La piccola via delle grandi domande”): «Credo che sia assolutamente urgente rivisitare i territori dei nostri silenzi; e renderli luoghi di scambio, di dialogo, di incontro. Il silenzio è uno strumento di costruzione, una lente, una leva. Siamo analfabeti del silenzio e questa è una delle ragioni per cui non troviamo la pace. Il silenzio è una caratteristica dell’unità che è più frequente di quanto immaginiamo e più fruttuosa di quanto pensiamo. Il silenzio ha tutto per diventare una conoscenza condivisa dell’essenziale. Ma per questo abbiamo bisogno di un’iniziazione al silenzio, che è come dire un’iniziazione all’arte dell’ascolto. Nella nostra cultura della valanga, il vero ascolto può assumere solo la forma di una resinificazione del silenzio, un ritiro critico davanti alla frenesia delle parole e dei messaggi che in ogni momento cercano di imprigionarci. L’arte dell’ascolto è un necessario esercizio di resistenza». 

di Paolo Ruffini