Il racconto

Quel ricamo che unisce
le celle del carcere
e del monastero

 Quel ricamo che unisce   le celle del carcere  e del monastero  QUO-119
25 maggio 2022

Sinodalità. Okay, ma come si fa in concreto, nella quotidianità e, soprattutto, nei contesti più complicati? Tre “risposte” sono state presentate stamani a Papa Francesco durante l’udienza generale in piazza San Pietro.

Tre storie di sinodalità applicata alla realtà del carcere, della guerra in Ucraina e dell’inclusione del popolo Rom.

La comunità del carcere di Verbania — sì, proprio comunità — ha incontrato il Papa per donargli il segno della collaborazione tra due detenuti — L.O. e N.S. — con le benedettine del monastero ci clausura Mater Ecclesiae sull’isola di San Giulio nel lago d’Orta: uno stendardo con i colori vaticani ricamato a mano dai detenuti intrecciando i fili offerti dalle monache.

«È nata questa amicizia umana e spirituale tra persone che abitano in due diversi tipi di “celle”: quella della prigione dove ci si sta per un errore e quella del monastero dove si vive per una scelta d’amore» racconta la direttrice del carcere, Stefania Mussio.

Questo collegamento così particolare, come anche la possibilità di incontrare stamani il Papa, si deve all’esperienza del carcere come comunità, rilancia la direttrice. E così sono coinvolti, tra gli altri, «gli agenti di polizia penitenziaria con il comandante Domenico La Gala, la garante comunale per i detenuti Silvia Magistrini, e due magistrate che hanno saputo interpretare in modo lungimirante le norme per consentire che questa esperienza andasse a buon fine: Monica Cali e Marta Criscuolo».

Proprio accanto ai detenuti, alcuni gruppi di ucraine — donne e bambini, di età compresa tra gli 88 anni e 6 mesi — accolte nelle parrocchie italiane. «Un’esperienza di accoglienza e di sinodalità» affermano i parroci.

E così le comunità di Santa Lucia a Roma e di Santa Maria del Giglio e San Michele arcangelo a Veroli stanno dando vita a «un progetto comune di accoglienza per dodici famiglie ucraine». In collegamento spirituale — ma anche attraverso la piattaforma “zoom” — con padre Pavlo, parroco di San Nicola a Kiev.

Spiega don Alessandro Zenobbi, parroco di Santa Lucia: «In questo mese di maggio stiamo vivendo il rosario quotidiano per chiedere il dono della pace e 5 comunità si trovano su “zoom” per pregare insieme, ognuna nella propria chiesa». Alle parrocchie di Roma, Veroli e Kiev, si aggiungono infatti la cappellania di Lourdes e il Pontificio collegio Ucraino di San Giosafat al Gianicolo. «Più sinodalità di così» dicono.

È lo stesso servizio di accoglienza che sta offrendo a 25 ucraini la parrocchia San Giovanni Paolo ii di Merine, nell’arcidiocesi di Lecce. Dice il parroco, don Luca Nestola: «Con il sostegno della Caritas diocesana, la nostra comunità sta vivendo un’esperienza molto bella di accoglienza e di crescita. La guerra la vediamo in tv. Ma con le persone che abbiamo accolto, arrivate dall’Ucraina, si sta creando un rapporto di fraternità che accresce il senso di responsabilità e di accompagnamento».

Dall’Irlanda sono venuti per incontrare il Papa cinque rappresentanti del popolo Rom a nome di “The Travelling Community”. Guidati da Dennis Ward, 53 anni, collaborano in particolare con il religioso cappuccino padre Bryan Shortall.

Particolarmente significativo, inoltre, l’incontr0 del Pontefice con Theresa Ardler, che ha portato in piazza San Pietro la voce degli aborigeni australiani. Ufficiale di collegamento della Ricerca indigena all’Università Cattolica australiana, direttrice di “Gweagal Cultural Connections”, era accompagnata da Chiara Porro, ambasciatore del Paese oceanico presso la Santa Sede. E con suor M. Joseph Michael, indiana, 68 anni, eletta lo scorso 14 marzo superiora generale della congregazione delle Missionarie della carità, fondata da santa Teresa di Calcutta. Erano presenti le 16 religiose che lunedì hanno emesso la professione religiosa.

Don Roberto Donadoni ha accompagnato all’incontro con il Papa il gruppo composto dai “genitori con un figlio in cielo”. Da vent’anni questa realtà, spiega il sacerdote veneziano, è un’esperienza di amicizia e di sostegno per «famiglie che hanno perso figli in circostanze tragiche, come malattie e incidenti stradali».

E, infine, non è mancato l’affettuoso augurio di Francesco per Rina Meucci, originaria di Montecatini Terme, per i suoi 100 anni, compiuti a ottobre scorso. «A mia sorella Edj e a me aveva chiesto un regalo: incontrare il Papa» racconta il figlio Giovanni. Detto fatto.

di Giampaolo Mattei