La guerra del soldato Serhiy

 La guerra del soldato Serhiy  QUO-117
23 maggio 2022

La guerra in Ucraina sono gli occhi del soldato Serhiy mentre mi mostra le foto che ha scattato al fronte (“Perché il mondo possa sapere”). La guerra in Ucraina è la maschera di orrore incarnata nel volto del religioso ortodosso di Bucha, mentre rievoca la penosa raccolta dei cadaveri per le strade della città. La guerra in Ucraina è rappresentata da una domanda senza risposta: quali esseri umani saranno un domani quelli sopravvissuti a quest’inferno?

Il soldato Serhiy era uno studente universitario sette anni fa. Studiava storia. Oggi è un giovane uomo che mi racconta di essere sposato con il suo fucile. Al futuro non pensa affatto, deve combattere. Certo, come in tutte le guerre… Ma i suoi occhi, quelli vi lascerebbero senza respiro.

E come si fa a descrivere il volto di quel sacerdote di Bucha: dietro la sua chiesa ha scavato una fossa comune. Per raccogliere i cadaveri in decomposizione ha dovuto mendicare aiuto dai russi che occupavano la città. Lì non ci sono stati molti bombardamenti, quasi tutti i civili sono stati uccisi a fucilate. Lasciati a terra per giorni e giorni, fin quando i cani non hanno iniziato a sbranarli.

La guerra in Ucraina è la statua in terracotta di una madonnina la cui testa è esplosa in mille pezzi senza che il resto si muovesse di un centimetro. Si trova nel seminario di Vorzel, a pochi chilometri da Kiev. Il complesso del seminario è in un bel bosco, isolato da tutto. Il missile Grad è ancora lì, piantato in un buco nel mattonato del cortile. Le sue schegge hanno perforato una finestra e decapitato la statuina. Null’altro.

La guerra in Ucraina è il suono lacerante delle sirene dell’antiaerea e delle mine che vengono fatte brillare mentre intorno la vita prosegue, ostentatamente normale. Irpin è rasa al suolo. Nel villaggio vicino, alcune ragazze sorseggiano una birra come se fossero a Trastevere. A Leopoli, tra “cavalli di Frisia” e trincee di sacchi di sabbia, le famiglie si godono un sole quasi estivo e gli skateboard obbediscono docili alle evoluzioni dei ragazzini. È la loro forma di resistenza, l’unico modo di ribellarsi a chi li vorrebbe morti.

La guerra in Ucraina sono le lacrime inghiottite di chi non cerca una ragione a ciò che sta accadendo. Perché, molto semplicemente, una ragione non c’è. La guerra in Ucraina è un diplomatico di professione, il nunzio apostolico, che stringe tra le mani una Bibbia recuperata dalla cameretta dei bambini in un anonimo edificio bombardato e che per raccontare ciò che è accaduto deve riprendere il respiro e controllare il tremore della voce. Un uomo che non ha vacillato mai sotto le bombe, ma rischia di soccombere sotto il peso di un piccolo libro, impregnato di anime.

La guerra in Ucraina è l’abitudine alla guerra. Si passeggia per la strada a Kiev; e ci si scattano foto ricordo davanti ai resti di un tank russo. Si va a pesca nei venefici canali fuori città pur sapendo che non ci sono pesci.

La guerra in Ucraina è la convinzione dilagante che la strada per la pace passi per la scelta tra lo sterminio e la vittoria. Un’opzione che lascia poco spazio alle concessioni e alla tolleranza. Gli ucraini sono un solo popolo, ricco di diversità che rendono fieri. Ma se hai sempre parlato russo è meglio tacere, anche se gli invasori ti hanno tirato giù la casa.

La guerra in Ucraina è l’angoscia per quei padri che faranno ritorno dal fronte e non saranno più gli stessi padri. Come il soldato Serhiy che ha per sposa la propria arma, alla quale potrebbe anche decidere di rimanere fedele per tutta la vita e la cui unica possibilità di redenzione al momento è quella di girarmi le foto scattate al fronte: «Fai che tutto il mondo possa vederle», anche se sono convinto che intendesse «fai che tutti sappiano ciò che ho dovuto vedere». 

di Stefano Leszczynski