Il cardinale Parolin a Milano rilancia il ruolo dell’Università cattolica del Sacro Cuore

Pensiero di Dio
e pensiero dell’uomo

 Pensiero di Dio e  pensiero dell’uomo  QUO-114
19 maggio 2022

«Non si dà pensiero di Dio, e quindi non si dà fede, in assenza di pensiero». Così, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha sintetizzato l’apporto che l’ateneo dei cattolici italiani «ha dato e continua a dare alla società e alla Chiesa», presentando a Milano il terzo volume della storia dell’istituzione accademica dedicato alle fonti del magistero della Chiesa per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, curato dal vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale, e pubblicato dall’editrice Vita e Pensiero con prefazione di Papa Francesco.

Il porporato è intervenuto ieri pomeriggio, mercoledì 18 maggio, al dialogo con Giuliano Amato, presidente della Corte costituzionale italiana, sul tema «L’Università Cattolica per il bene del Paese: un secolo di impegno educativo e culturale», svoltosi in presenza nell’aula magna dell’ateneo e in diretta streaming sui social @Unicatt, con la partecipazione del rettore Franco Anelli, che ha introdotto i lavori, e della pro-rettrice Antonella Sciarrone Alibrandi, che ha moderato il dibattito.

Mentre si stanno concludendo le celebrazioni per il primo secolo di attività della realtà fondata dal francescano Agostino Gemelli e a pochi giorni dalla beatificazione della co-fondatrice Armida Barelli — avvenuta il 30 aprile scorso nel duomo ambrosiano — «ci ritroviamo per interrogarci su quale sia stato e come possa oggi articolarsi il contributo di questa istituzione accademica alla società e alla Chiesa, e in particolare alla Chiesa italiana», ha esordito Parolin, soffermandosi anzitutto sulla «felice ridondanza» che «la dicitura di Università Cattolica esprime. Lungi dal limitare la tensione all’universalità del sapere che, sin dalle sue origini, ogni universitas studiorum sottintende, l’aggettivo “cattolico” la amplifica e la rafforza». Del resto, “cattolico” è ciò che procede “secondo l’intero”», ha spiegato citando l’intervento programmatico di padre Gemelli, pubblicato in apertura del primo numero della rivista «Vita e Pensiero» nel 1914, in cui «era già chiara la tensione tra la vocazione universale del sapere e la declinazione particolare delle varie discipline che ora vediamo plasticamente rappresentata nell’organizzazione dell’Università Cattolica con le sue dodici facoltà, i suoi cinque campus, gli oltre cento corsi di laurea». E in tal senso, ha aggiunto il segretario di Stato, «l’elaborazione di un progetto tanto ambizioso costituiva una risposta ai pregiudizi circolanti in un contesto che non lasciava spazio all’apporto dei cattolici».

Proseguendo nella ricostruzione storica il cardinale Parolin è poi passato agli anni del Vaticano ii , in cui dopo «un avvio difficile e complesso che solo la lungimiranza dei fondatori e il sostegno della Chiesa, sia nelle sue componenti gerarchiche sia nelle sue articolazioni territoriali e popolari, ha reso possibile», l’ateneo ha ottenuto non solo la «vicinanza, l’incoraggiamento e il sostegno decisivi» dei Pontefici, ma a partire dal Concilio anche l’accompagnamento della Conferenza episcopale italiana. Una conferma del «contributo fondamentale della Santa Sede e della Chiesa italiana — ha ricordato il relatore — è ora documentato nel terzo volume della storia dell’Università».

Ritornando alla ricostruzione cronologica, il segretario di Stato ha quindi evidenziato che se i decenni successivi alla nascita hanno beneficiato di ben altro contesto rispetto a quello originario, e se nel secondo dopoguerra l’impegno culturale, educativo e politico dei cattolici ha potuto dispiegarsi con efficacia e generosità, il merito è» di «una generazione di professionisti, studiosi e amministratori formatisi all’interno della Cattolica».

Lo testimonia, ad esempio, «una delle categorie cruciali» del «pontificato di Paolo vi : quella della “carità intellettuale”», già presente «nel messaggio che l’allora arcivescovo di Milano, cardinale Montini, inviò a Gemelli in occasione della Giornata per la Cattolica del 1959». Ma lo stesso Pontefice lombardo si innestava in una tradizione risalente a Benedetto xv e Pio xi, e proseguita con Pio xii e Giovanni xxiii , che inaugurò la sede romana con la Facoltà di medicina il 5 novembre 1961. «L’avvio dei corsi di Medicina conclude idealmente l’esecuzione del progetto sui cui era fondato l’edificio dell’Università. Che era nata sotto il segno degli studi umanistici, ma aveva inglobato presto le discipline dell’area scientifico-matematica, con un accentuato interesse per quella terra di frontiera che, anche nell’esperienza personale di padre Gemelli, fu la psicologia», ha commentato Parolin.

Dopo aver analizzato il «tempo della crisi», con la contestazione studentesca del Sessantotto, e gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, con «la riflessione sui grandi temi della bioetica e della famiglia», il porporato ha rimarcato come l’ateneo si sia «posto come luogo di rielaborazione critica rispetto a formulazioni che non potevano più essere recepite passivamente, né meccanicamente risolte all’interno di un contesto in vertiginosa evoluzione», attraverso una «consapevole assunzione di rischio», dialogando «con la modernità», che è «sempre un’impresa rischiosa». Ma, come recitano i versi di Hölderlin amati da Papa Bergoglio, «dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva». E così, «istituita in un’epoca di incertezza e cresciuta senza mai sottrarsi al dialogo e al confronto, l’Università non ha rigettato le dinamiche di una complessità davanti alla quale la comunità dei credenti ha spesso provato sentimenti contrastanti, ora di fascinazione ora di disorientamento». E «più che nella mera difesa del dogma, l’ateneo si è impegnato nell’esplorazione delle premesse scientifiche, antropologiche e teologiche sulle quali poggia la ricerca della verità e la plausibilità della fede». Perché «credere in Cristo, non significa ostinarsi ad andare contro il proprio tempo, vagheggiando un impossibile ritorno al passato». Ma al contrario, vuol dire «trovare in ogni tempo motivi di gratitudine per l’opera di Dio».

E in quest’ottica, ha chiarito il cardinale, il testo di riferimento è la costituzione apostolica Ex corde ecclesiae, promulgata da Giovanni Paolo ii nel 1990; documento che «si colloca in un frangente storico particolare, nel pieno dei rivolgimenti che, a partire dal 1989, ridisegnano gli equilibri della geopolitica mondiale». È «il cambiamento d’epoca» descritto dal relatore, in cui «ripensare le modalità del rapporto fra credenti e società civile»; specie in Italia, dove «il declino del partito che per quasi mezzo secolo aveva garantito l’unità politica dei cattolici comportò lo stravolgimento di un assetto che si voleva ritenere stabile, ma che alla prova dei fatti si rivelava fragile e non più applicabile».

Infine il segretario di Stato ha messo in luce la «duplice svolta» impressa da Benedetto xvi e da Papa Francesco «nella mentalità della Chiesa contemporanea. Il primo, con il suo magistero intellettuale, ha ribadito la centralità di una “fede ragionevole” in quanto fondata sul corretto esercizio della ragione». Il secondo, nell’enciclica Laudato si’ «e in tanti altri pronunciamenti, ha dato per acquisite dalla fede e moralmente irrinunciabili le risultanze della moderna investigazione scientifica». Con un denominatore comune: «in entrambi i casi, è impossibile non riconoscere un’analogia con le intenzioni che, più di un secolo fa, mossero i fondatori di questo ateneo», ha osservato Parolin.

Ecco allora la necessità — rilanciata al termine dell’intervento — di «un cuore impavido» al quale rimanda il nome stesso dell’Università. «Ma come è possibile non avere paura dopo gli sconquassi delle crisi economico-finanziarie, dopo la forzata reclusione imposta dalla pandemia, mentre la guerra imperversa in Europa?» si è chiesto, insistendo: «Come impedire che il pessimismo della ragione prevalga sull’ottimismo della volontà?».

E la risposta è nella parola «speranza», che Papa Bergoglio ha consegnato all’ateneo nel videomessaggio per l’inaugurazione dell’anno accademico del centenario (19 dicembre 2021). «Si potrebbe dire — ha affermato ancora Parolin — che un’Università Cattolica è sempre e comunque un’Università del Cuore: meglio, del Sacro Cuore. Perché nulla è più universale e intimo del cuore e nessuna devozione esalta questo sentimento meglio di quella cara alla beata Barelli».

«Si educa con il cuore, con il cuore si apprende e con il cuore si ricorda. Un cuore — ha concluso il porporato — che non si spaventa: ecco che cosa serve alla Chiesa e al mondo» per non cedere «in questo frangente tenebroso al ricatto della paura. Questo può donare l’Università Cattolica ai credenti: la bellezza e la fatica di un cuore impavido, inquieto e aperto, disponibile all’interrogazione e lieto nell’accoglienza».

 

Come il leone di san Girolamo


Ha citato la lettera del cardinale Ferrari alla diocesi milanese (12-10-1920) in cui annunciava la nascita dell’ateneo, il vescovo Giuliodori, cui sono state affidate le conclusioni del dialogo svoltosi alla Cattolica: «Ci si è rimproverato spesso che noi siamo i nemici del sapere. L’Università risponderà coi fatti a questa calunnia. Ecco secondo la leggenda un leone ferito, risanato da san Girolamo, diventò il custode dei monaci di Betlemme e l’ausiliario del loro lavoro, così la scienza. Questo leone, spesso ferito da errori e pregiudizi, sarà il custode della nostra santa religione. La scienza non come strumento di offesa alla verità ma strumento privilegiato proprio per contrastare gli errori e la falsità e noi speriamo che la nostra Università abbia da preparare all’Italia giorni più sereni, formando uomini competenti nelle scienze umane ma addestrati e coltivati con spirito cattolico». Infatti, ha commentato il presule, «in queste parole che risentono dello spirito e delle condizioni del tempo, troviamo tutta la passione e l’idealità che ha ispirato l’ateneo». Non si trattava e non si tratterà mai, ha aggiunto, di «un attacco alla scienza e alle innovazioni», né di «un arroccamento su posizioni fideistiche», bensì di «un’apertura dialettica e coraggiosa al dialogo con tutti gli ambiti del sapere, per costruire una nuova alleanza tra fede e ragione, tra scienza e tradizione cristiana a servizio della sincera ricerca della verità».