Alla vigilia delle canonizzazioni il cardinale Semeraro ripropone la testimonianza dei dieci nuovi santi

Piedi saldi e grandi sogni

 Piedi saldi  e grandi sogni  QUO-110
14 maggio 2022

Intervista con il cardinale Semeraro sui dieci nuovi santi


Basta avere «piedi saldi e grandi sogni» per raggiungere la santità. Riguarda tutti: donna o uomo, laico o prete, consacrato o vedova. La santità è la più popolare delle realtà. Non fa distinzioni e non ammette discriminazioni. Anzi, semmai richiede una caratteristica: la “furbizia”. Perché questa serve per assaporare il «succo dell’amore», cioè andare all’essenziale. Tutto il contrario dal considerare i santi come delle «immaginette». Ne parla in questa intervista a «L’Osservatore Romano» il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, alla vigilia del rito di canonizzazione di 10 beati che Papa Francesco presiede domani, domenica 15 maggio, in piazza San Pietro.

Esiste un filo conduttore che lega tante figure di santità?

Non c’è un vero e proprio filo conduttore che lega la vita dei dieci nuovi santi: si tratta di beati i cui miracoli, studiati in questi ultimi anni, sono stati riconosciuti tali dal Santo Padre. Umanamente, dunque, il legame è solo cronologico. Per il resto, sono persone molto diverse tra loro per storia e geografia... In un libro-intervista a Joseph Ratzinger — il nostro Papa emerito — fu chiesto quante sono le strade che conducono a Dio. Egli rispose: «Tante quante sono le persone». Tuttavia, considerando più a fondo queste dieci figure, si dirà che il filo che li lega è l’amore di Cristo e la sua Pasqua: hanno scelto il Signore e il suo Vangelo come fondamento della propria vita e, malgrado la “Passione” che ciascuno ha dovuto affrontare, si tratta di gente felice. La felicità dei santi è sempre paradossale, perché canta la gioia e assapora il pianto, suppone la grazia ma esige la lotta, si stacca dai beni eppure s’immerge nella storia. Questi santi sono così: mendicanti di Spirito e carne di Cristo, artigiani di pace e guerrieri con l’unico “nemico”.

Tra loro c’è un laico, che è stato il primo indiano a diventare beato.

Il beato Lazzaro era funzionario del palazzo reale. Nel 1741, tramite un prigioniero francese dell’esercito olandese, conobbe la religione cattolica e si convertì. Ricevette il battesimo nel 1745 e prese il nome di Lazzaro, che nella lingua locale tamil si dice “Devasahayam”, cioè “aiuto di Dio”. A motivo della sua conversione a Cristo, subì un’impressionante persecuzione. Esposto al ludibrio e torturato, fu costretto a giacere tra insetti nocivi e a camminare incatenato sotto il sole cocente, soffrendo la fame per mesi. Non smise mai di pregare. Tanta gente cominciò a recarsi da lui attratta dalla sua santità e persino le guardie cominciavano a essere gentili con lui, per cui si rese necessario portarlo in una prigione segreta, dove fu ucciso. Dopo gli spari letali, Devasahayam cadde gridando: «Gesù, salvami!». Egli diventa così un esempio forte per i tanti cristiani che, ancora oggi, si trovano in situazioni di persecuzione. Davvero Gesù continua ad amare e a soffrire nei suoi testimoni.

La maggioranza dei nuovi santi è composta da fondatori di congregazioni religiose. Quale eredità hanno lasciato per il mondo di oggi?

Ci mostrano quanto sia vero ciò che Papa Francesco ripete fin dal principio del suo ministero petrino: occorre riscoprire la «gioia di evangelizzare» e il desiderio d’incontrare il Signore Gesù negli altri, specialmente in quelli che soffrono. Guardiamo, allora, a Maria Domenica Mantovani, Maria Francesca Rubatto, Luigi Maria Palazzolo o Maria di Gesù Santocanale, che consacrarono la loro vita al servizio dei poveri; ma anche a Cesare de Bus, che dedicò la sua vita all’annuncio della Parola di Dio e alla catechesi; a Giustino Maria Russolillo, che si dedicò alla formazione dei ragazzi e alla pastorale vocazionale; a Maria Rivier, infaticabile educatrice della gioventù. Sotto questo profilo sono tutti padri e madri! Non è importante, questo? Viviamo una crisi di paternità e maternità. Soprattutto i giovani oggi patiscono vuoti familiari, crisi identitarie e ricerche di sicurezze che generano dipendenze. Per mancanza di padri e di madri ci si ritrova oppressi da padroni qualsiasi. I santi fondatori sono un riflesso della paternità e della maternità di Dio: ripresentano la Madre che abbraccia e valorizza, il Padre che limita gli eccessi e libera l’unicità di ciascuno. I santi fondatori sono seminatori di fiducia: iniziano processi e percorsi; non vincolano i figli, ma li lasciano fiorire per come sono. Abbiamo diritto a questa paternità, abbiamo bisogno di questo tratto materno che è proprio di Dio, per essere sempre rigenerati come nuove creature.

C’è poi un martire, che oltre a essere religioso era anche un giornalista. Quale messaggio per gli operatori delle comunicazioni sociali?

Le fake news sono vecchie quanto il mondo: le ha inventate il tentatore di Adamo ed Eva e da allora avvelenano il mondo. Il 24 gennaio 2018 Papa Francesco ha invitato i giornalisti a smascherare questa «logica del serpente», che alligna anche nella propaganda dei regimi come quello nazista. Mentre Hitler censurava i giornali, padre Tito Brandsma incontrava personalmente i direttori delle testate cattoliche per spiegare le critiche della Chiesa al nazismo. Questa missione gli costò l’internamento a Dachau, che lo ridusse in fin di vita. Il 26 luglio 1942 fu avvelenato con un’iniezione. L’infermiera che gliela praticò era una giovane infatuata dell’ideologia nazista. Prima di morire, padre Tito le regalò la sua corona del rosario e quando lei rispose di non saper pregare, lui replicò che le sarebbe bastato dire: «Prega per noi peccatori». L’infermiera si convertì e, durante il processo di canonizzazione, testimoniò sulle ultime ore di vita del carmelitano. In uno dei suoi appunti padre Tito aveva scritto: «Vorrei suonare le campane per dire al mondo com’è bello amare! Il neo-paganesimo (del nazismo) può ripudiare l’amore, ma la storia ci insegna che, malgrado tutto, vinceremo questo neo-paganesimo con l’amore. Non abbandoneremo l’amore. L’amore ci farà riconquistare il cuore di questi pagani». Forse il messaggio di padre Tito per gli operatori delle comunicazioni sociali è tutto qui: liberare i giornali dal veleno del serpente e coltivare parole d’amore.

Charles de Foucauld è una figura conosciuta non solo negli ambienti cattolici. Quale esperienza ci trasmette?

È paradossale che Charles de Foucauld, che scelse la via del nascondimento e del silenzio e neppure ha fondato istituti religiosi o associazioni, sia la figura più conosciuta tra questo gruppo di nuovi santi, e non solo a livello ecclesiale. Il profilo di santità di Charles de Foucauld lo si può paragonare a un brillante dalle molteplici sfaccettature: l’afflato ecumenico, il silenzio della preghiera, il raccoglimento, la ricerca di Dio come i padri del deserto, l’assiduità nel perseguire la grazia e viverla, la carità che fa tutto per tutti, la fratellanza universale per cui lo citava Papa Francesco in Fratelli tutti (nn. 286-287) e molto altro ancora. Esaurire in poche parole lo splendore di questa gemma è un esercizio davvero difficile. Personalmente apprezzo molto l’esercizio di umiltà che lo condusse a vivere sempre più unito a Dio e, come san Paolo, gli ha permesso di far vivere sempre più Cristo in lui, tanto da diventare una scia di luce per varie famiglie religiose e per tante persone assetate di Dio.

Nell’esortazione apostolica «Gaudete et exsultate» sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, Papa Francesco mette in guardia dall’idea di santi con la «faccia da immaginetta». Quanto è distante quell’immagine dalla vita di questi santi?

Niente di più lontano! Le immaginette sono di carta, questi santi sono persone “in carne ed ossa”, coi loro pregi e le loro fragilità e che, ciononostante, hanno amato il Signore e i fratelli e sorelle. Le immaginette riproducono miti, i santi fanno la storia. Sono un riflesso dell’amore pasquale, ciò di cui abbiamo bisogno per evitare inganni e sperimentare la gioia del Vangelo. Sono proprio loro a insegnarci a vivere, mentre il mondo indica il contrario. Ricordo la poesia I bravi signori di Gianni Rodari: «Un signore di Scandicci / buttava le castagne / e mangiava i ricci. / Un suo amico di Lastra a Signa / buttava i pinoli / e mangiava la pigna. Un suo cugino di Prato / mangiava la (carta) stagnola / e buttava il cioccolato. / Tanta gente non lo sa / e dunque non se ne cruccia: / la vita la butta via / e mangia soltanto la buccia». Ecco: tanti mangiano la “buccia” della vita cercando il successo e il benessere, i santi rinunciano a questa scorza per gustare il succo dell’amore. Prima di essere santi, si sono fatti furbi. Altro che immaginette!

I santi «sono persone con i piedi per terra», come ha detto Papa Francesco all’Angelus del 1° novembre 2019. In che modo anche questi nuovi santi lo sono stati?

Nel recente messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni Papa Francesco ha scritto che la nostra vita cambia quando accogliamo lo sguardo del Padre su di noi. «Tutto diventa un dialogo vocazionale, tra noi e il Signore, ma anche tra noi e gli altri. Un dialogo che, vissuto in profondità, ci fa diventare sempre più quello che siamo». È quanto si è verificato per tutti questi nuovi santi. Hanno così risposto agli impulsi dello Spirito che li spingeva a soccorrere i poveri, istruire i bisognosi, assistere gli ammalati, curare le vocazioni, ma anche tracciare vie nuove nella ricerca di Dio. I loro piedi impastati di terra non impedivano loro di decollare, di sognare, di credere alla poesia del Vangelo. Sono stati grandi costruttori di pace in tempi difficili come i nostri, tra sfide ardue e rischiose. Piedi saldi e grandi sogni sono strumenti essenziali per la santità. (nicola gori)

di Nicola Gori