Don Giustino Russolillo

«Farò il prete»

 «Farò il prete»  QUO-109
13 maggio 2022

Giustino Russolillo nacque il 18 gennaio 1891 a Pianura di Napoli, in diocesi di Pozzuoli, dai coniugi Luigi Russolillo, imprenditore edile, e Giuseppina Simpatia. Furono le zie paterne, Enrichetta e Giovannina, a influire sull’educazione e sulla formazione culturale di Giustino, che ben presto si distinse tra i coetanei per l’ingegno non comune, per la spiccata inclinazione allo studio, per la docilità e la pietà veramente singolari.

A cinque anni ricevette la prima Comunione e si innamorò subito di Gesù Eucaristia. A chi gli domandava cosa avrebbe fatto da grande, rispondeva prontamente e con decisione: «Farò il prete». A dieci anni entrò nel seminario di Pozzuoli, dove, superati brillantemente gli esami di ammissione, frequentò direttamente la seconda ginnasiale e portò a termine con successo gli studi umanistici e i primi due anni di Teologia. Al seminario regionale di Napoli-Posillipo, diretto dai padri Gesuiti, completò gli studi teologici con grande merito, ottenendo la medaglia d’oro. Il 20 settembre 1913 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Pozzuoli. Durante il sacro rito, mentre l’assemblea invocava i santi, don Giustino fece voto di fondare una congregazione religiosa per le vocazioni.

Stabilitosi nel suo paese, continuò a tenere lezioni di catechesi tutti i giorni ai fanciulli e agli adolescenti. L’ardente passione per le vocazioni si consolidava sempre di più e cercava di alimentare la medesima fiamma negli altri. Il 30 aprile 1914, festa di santa Caterina da Siena, iniziò, nella casa paterna, la vita comune con alcuni ragazzi, inaugurando, così, il “vocazionario”, vera oasi di discernimento vocazionale per ragazzi e giovani, soprattutto poveri, inclini al sacerdozio, alla vita consacrata, ma «non ancora bene orientati verso il seminario o un particolare istituto di vita consacrata» (Costituzioni, art. 13). Ma il vescovo della diocesi impedì di proseguire. Reagì come reagiscono i santi: «Siamo figli della croce, sacrifichiamo dunque la nostra volontà a quella dei superiori, come Gesù sacrificò la sua a quella del Padre», disse ai suoi ragazzi.

Chiamato alle armi nel conflitto bellico del 1915-18, fu assegnato all’ospedale militare, dove, notando lo zelo di alcune suore nel soccorrere e aiutare i feriti, maturò l’idea di una congregazione femminile, che avrebbe dovuto affiancare quella maschile nel servizio delle vocazioni. «La formazione dei santi» era «lo scopo» della sua «relazione con il prossimo», perché il «santo è il capolavoro di Dio, lo splendore della gloria di Dio»; l’altro scopo era la «formazione dei sacerdoti», perché il «sacerdote è il ministro di Dio nel fare i santi» (Lettere scelte, 13.8.1918. p. 62).

Alla nomina a parroco del suo paese, nel 1920, seguì immediatamente la ripresa della vita comunitaria con una dozzina di ragazzi, che si adattarono nei locali della canonica di San Giorgio martire. Così nacque il primo istituto di vita consacrata, denominato Società Divine Vocazioni, comunemente chiamato dei religiosi Vocazionisti.

L’anno dopo, la sera del primo ottobre 1921, alcune ragazze della Pia Unione, associazione fondata da lui e da lui coinvolta nell’opera delle vocazioni, si ritirarono a vita comune insieme a Rachele Marrone, la «fervente catechista», loro animatrice. Nacque così la congregazione religiosa delle suore delle Divine Vocazioni. Più tardi, la sorella di don Giustino, Giovanna, divenne madre generale e contribuì molto allo sviluppo dell’opera femminile.

Diverse altre ragazze scoprirono o consolidarono, sotto la sua guida, la vocazione alla vita consacrata laicale nella condivisione dello stesso spirito di servizio delle vocazioni. Esse furono il fermento iniziale per l’istituto secolare femminile, approvato poi dalla Chiesa di Napoli nel 1977. Oggi porta il nome di Apostole Vocazioniste della santificazione universale.

Intanto don Giustino continuava a spendere la vita per le vocazioni, accanto a tanti giovani e giovanette che affollavano le case delle due fondazioni religiose, per le quali non mancarono incomprensioni e sofferenze. Tuttavia ai suoi religiosi, frastornati per tanti eventi dolorosi che colpirono la congregazione, scrisse: «Il Signore che l’ama, ha applicato le forbici ai suoi tralci sul verde: guardiamoci bene dal mormorare contro le forbici, mentre sappiamo le Mani che le muovono».

L’apostolo delle vocazioni e della santificazione universale, consunto dalle fatiche apostoliche, si spense serenamente a Pianura di Napoli il 2 agosto 1955, dopo aver ricevuto il conforto dei sacramenti. I funerali furono una vera apoteosi, una festa per il parroco “santo”.

Attualmente i consacrati e le consacrate dei tre istituti da lui fondati, fedeli al carisma iniziale, servono il popolo di Dio in venti nazioni in tutti i continenti.

di Giacomo Capraro
Postulatore generale


La particolarità di un carisma di misericordia


L’articolo 7 delle costituzioni dei Vocazionisti presenta il cuore del carisma di misericordia di don Giustino Russolillo: «Imitando la misericordia del Buon Pastore, la Società Divine Vocazioni tende alla riabilitazione nel divino amore di quanti hanno abbandonato il sacerdozio e la vita consacrata». 

L’immagine del buon Pastore non è scelta a caso da don Giustino, che agisce con la certezza che la riabilitazione spirituale è possibile, ed è per tutti, così come la santità. Perciò nel carisma delle sue congregazioni è insito un aspetto del tutto particolare: il recupero delle vocazioni tradite, come recupero della vocazione alla santità.  Opera sempre difficile, che causò al novello santo tanta sofferenza ed incomprensioni.  Ma il suo pensiero fu sempre chiaro e ispirato. 

Il richiamo alla figura del buon Pastore è espresso dalle sue stesse parole: «Mentre gli altri aspettano e accolgono vocazioni, noi le andiamo a cercare di proposito, in persona, le andiamo svegliando». 

Nonostante le prove e le incomprensioni che hanno attraversato la sua vita, per portare avanti ciò che Dio gli aveva ispirato, ha sempre incrollabilmente creduto che ogni vocazione perduta o smarrita è innanzitutto una vocazione alla santità perduta o smarrita. Ecco perché egli, nei modi opportuni ai singoli casi, e sempre nel segreto della carità, è stato un vero martire di questo delicatissimo e specialissimo apostolato. 

Don Giustino molto ha sofferto per questa particolare opera d’amore svolta nel segreto della carità, ma non si è mai scoraggiato, o indietreggiato, e  ha perseverato fino alla fine pur di salvare una vocazione. Sappiamo infatti che don Giustino ha subito ogni sorta di mortificazione sia dalle autorità, sia anche dagli stessi confratelli, forse pure perché qualcuno che era stato aiutato non aveva corrisposto pienamente all’aiuto ricevuto. Ma, come si legge nelle cronache della congregazione vocazionista, quando l’allora pro-segretario di stato Giovanni Battista Montini —  che nel 1963 divenne Papa con il nome di Paolo vi — portò a Pio xii il decreto di scioglimento della Società Divine Vocazioni per grave dissesto finanziario, a seguito di un raggiro subito dall’economo generale del tempo, il Pontefice non volle firmarlo; e disse:  «Una Congregazione che ha recuperato nella gratuità e per amore tante vocazioni perdute, non merita di essere soppressa».

Direi che fu questo il vero decretum laudis che sanciva l’approvazione dell’opera di don Giustino.  Fatto sta che la Santa Sede, per volontà del Papa, si fece carico dei debiti attraverso il Vicariato di Roma, e negli anni la congregazione non solo li ha estinti, ma ha donato alla Chiesa di Roma per gratitudine la bella parrocchia di San Gabriele in viale Cortina d’Ampezzo.  

Se oggi la congregazione esiste ancora lo dobbiamo a un aspetto di misericordia del carisma di Giustino Russolillo, oggi forse non pienamente ancora valorizzato, ma che è essenziale nella spiritualità che lui ha trasmesso ai suoi. Una eredità difficile, oggi più che mai, ma assolutamente da non far cadere. 

di Claudio De Caro
Superiore provinciale per l’Italia


Stella tutta “vocazione”


Il 18 gennaio 1891 parte questa scintilla di fuoco vulcanico, destinata a rilanciare la parola “vocazione” nel suo originario significato. L’intuizione centrale del suo pensiero, infatti,  ruota attorno a questa dinamica: la vita è essenzialmente vocazione. 

Partendo da questa fondamentale premessa antropologico-filosofica, e con lo sguardo aperto all’orizzonte biblico, Giustino Russolillo coglie come questo rapporto dialogico “io-Tu” si radica teologicamente in quella dinamica relazionale “uomo-Dio” e “Dio-uomo”. Muovendosi, perciò, nell’alveo di una spiritualità mistica a lui congeniale, arriva a tratteggiare una vera antropologia vocazionale dal titolo Faciamus hominem in chiaro riferimento alle parole dell’atto creativo di Dio «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1, 27), intraleggendo in esse sia la dimensione trascendente di Dio, Amore creante, sia la dimensione vocazionale dell’uomo amato e creato.

 Partendo da questo dato biblico, Giustino Russolillo coglie carismaticamente il nesso forte che esiste tra l’“amare” e il “chiamare”, in quanto ogni volta che Dio ama, Egli decisamente chiama. Ed è proprio in questo contesto vocazionale che egli, contemplando il valore e la dignità dell’uomo in quanto «immagine e somiglianza misteriosa del mistero di Dio», arriva a definirlo genialmente «ritratto vivente e personale di Dio».  

L’uomo non è scaraventato in quel «nulla» pessimisticamente rimarcato dal nichilismo di moda, ma è un essere che, ritrovandosi davanti all’«Assoluto Tutto» che è Dio, si riscopre misteriosamente «piccolo-tutto», in quanto è partecipe della vita di Dio senza essere Dio. Per lui, dunque, Dio e l’uomo sono due soggetti integranti: Dio Amore che si comunica in «eterno dare» e l’uomo che si dispone in un  «sempiterno ricevere per poi dare».  Così travolto dalla corrente calda di quell’Amore divino che lo fonda, lo motiva e lo soddisfa ontologicamente, l’uomo può gridare estasiato: «Eccomi... ora riposerò tranquillo, adagiato nel mistero del tuo amore...». 

La dinamica della «immagine e somiglianza» con Dio, nel pensiero di Giustino Russolillo, non riguarda solo l’«esistere» vocazionale dell’uomo come atto evocativo, ma riguarda anche il suo «divenire» vocazionale in una corrispondenza di amore in piena libertà. Un divenire che Giustino Russolillo interpreta così: «Eccomi... poiché mi hai chiamato dal nulla alla vita, tra i viventi alla fede, tra i cristiani a uno stato progressivo di santità sempre maggiore...». 

Partendo dalla dinamica della vita come “vocazione” alla vita, alla fede, alla santità, Giustino Russolillo intuisce genialmente come queste vocazioni fondamentali-battesimali necessitano, per il raggiungimento del loro fine, di quelle vocazioni particolari ministeriali. Egli impernia così il suo carisma fondazionale: «Ora al servizio della santificazione delle anime per la loro unione con la Ss. Trinità, sta interamente e lavora nella Chiesa la minima Società delle divine vocazioni». Un lavoro specifico determinato così: «L’opera che a me pare comprendere tutte le altre opere è il suscitare, cercare, coltivare le vocazioni al sacerdozio e allo stato religioso», estendendo questa passione d’amore per le vocazioni sacerdotali «non bene coltivate, perdute, tradite».

 Davanti a questa «croce di fuoco», Giustino Russolillo esclama solo: «Che io sia per tutti, ma specialmente per le divine vocazioni, come Te Gesù Ostia, sacrificio e sacramento, e la mia povera umanità sia solo velo insignificante, attraverso il quale Tu o Signore stai con esse, tratti con esse, le cresci nel tuo cuore, le alimenti con la tua luce e le formi con le tue opere e missioni». Con questo stile  si rivela educatore vero, capace di addentrare il chiamato nel mistero di quell’Amore che lo ha guardato, amato e sedotto. 

La postazione giusta per cogliere la genialità del suo carisma fondazionale è, da lui stesso, offerta in un piccolo opuscolo dal titolo Logica delle tre opere; qui, infatti, con logica sequenziale, passa a ridisegnare il volto tridimensionale del suo progetto carismatico: tendere all’opera dell’unione divina in relazione sponsale; lavorare con l’opera della santificazione universale in chiave ascensionale; privilegiare l’opera delle vocazioni sacerdotali in dimensione di servizio. Tre opere che, raccordate da una sapiente logica, vanno dal fine ai mezzi o dai mezzi al fine, escludendo ogni aspetto parziale. Del resto «il sacerdote effettivamente deve portare con la sua azione il popolo a Dio e Dio al popolo» in dimensione di santificazione personale per la santificazione universale. 

Davvero provvidenziale la scelta di canonizzare Giustino Russolillo nel contesto del nostro tempo, dato il fenomeno fallimentare di quella a-progettualità che segna il volto dell’uomo come «volto senza vocazione». La parola «vocazione — ha detto Papa Francesco — non è scaduta». Serve, perciò, dare dinamicità all’idea di vocazione. Non è un caso che lo stesso Pontefice, in linea di continuità con il pensiero profetico di Giustino Russolillo, abbia rilanciato questo indirizzo: «Dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale, ogni spiritualità è vocazionale». Un indirizzo che ci fa cogliere in Giustino Russolillo un profetico maestro che lo Spirito regala anche al nostro tempo, per la Chiesa e per l’umanità.

di Giuseppe Sannino