Titus Brandsma

Un frate carmelitano giornalista e martire
nel campo di Dachau

 Un frate carmelitano giornalista e martire nel campo di Dachau  QUO-108
12 maggio 2022

Domenica 15 maggio, il beato Titus Brandsma verrà iscritto come martire nell’albo dei santi insieme ad altri nove beati. Si concluderà così il lungo iter iniziato nel 1955, non molto tempo dopo la sua morte in nome della verità evangelica nei confronti del paganesimo antiumano nazista.

Lo uccise l’acido fenico iniettatogli da una giovane olandese a servizio delle ss nel campo di Dachau, il 26 luglio 1942. Poco prima di morire, il carmelitano le aveva donato il rosario che un compagno di prigionia gli aveva fabbricato con dei pezzetti di legno e dei bottoni, ad Amersfoort.

Era l’ultimo atto della vita di Anno Sjoerd Brandsma, nato a Ugoklooster, nella Frisia olandese, il 23 febbraio 1881, da Titus e Tjitsje Postma. Dalla loro unione nacquero sei figli, quattro femmine e due maschi; tutti, eccetto una, sarebbero divenuti religiosi. La famiglia profondamente cattolica fu la culla della primissima formazione umana e religiosa di Anno. Durante il ginnasio, frequentato presso la scuola francescana di Megen, maturò la vocazione del ragazzo, ma i Frati minori non lo accolsero per via della costituzione gracile. Egli, dunque, si orientò al Carmelo, a lui noto per via di un cugino della mamma frate carmelitano, ma anche per la forte devozione mariana. Il 22 settembre 1898, iniziò il noviziato col nome di Titus ed emise i voti il 3 ottobre 1899; il 17 giugno 1905 fu ordinato presbitero.

Dal 1906 al 1909 fu inviato al collegio internazionale Sant’Alberto di Roma in vista del dottorato in filosofia presso la Pontificia università Gregoriana; lo avrebbe ottenuto il 25 ottobre 1909, a fatica, soprattutto a causa dei risorgenti disturbi allo stomaco. Durante il soggiorno romano poté seguire anche alcuni corsi di sociologia presso l’istituto Leoniano.

Benché fosse disponibile a restare a Roma per insegnare, Titus fu richiamato in patria come docente nel collegio carmelitano di Oss. In quel periodo consolidò il proprio impegno nel giornalismo, in realtà già iniziato durante il noviziato. Non avrebbe più abbandonato la scrittura: numerosissimi articoli uscirono su riviste interne all’ordine e su testate laiche. La penna facile divenne lo strumento per un’efficace predicazione intrisa di autentica spiritualità vissuta nella piena osservanza dei suoi doveri di carmelitano e di verità quanto all’informazione e alla lettura dei segni del tempo.

Uno dei principali interessi di Titus fu lo studio della mistica; oltre ad approfondire i maestri carmelitani si rivolse ai grandi mistici renano-fiamminghi medievali. Fu però la riformatrice del Carmelo, santa Teresa di Gesù, la vera compagna della sua vita religiosa. Ne aveva tradotto alcuni testi già da novizio e in seguito promosse una nuova edizione in olandese delle opere della santa e, durante la prigionia a Scheveningen, ne scrisse la vita come aveva desiderato fare da tempo.

Nel 1923, fu tra i fondatori dell’Università cattolica di Nimega, in cui insegnò Filosofia e Storia della mistica. Nel 1932, ne divenne rettore; all’inizio del mandato pronunciò un discorso «Sul concetto di Dio», un invito a riconsiderare la prospettiva teista in cui rileggere l’antropologia nel senso di libertà donata e interpellata a rispondere. D’altra parte, benché molto attivo e impegnato su vari fronti, non tralasciò la vita di preghiera e la vita comunitaria; per lui «la preghiera è vita, non un’oasi nel deserto della vita».

Viaggiò in Europa e negli Stati Uniti per tenere corsi e conferenze oppure per partecipare a congressi. Nell’estate del 1935, tenne una serie di lezioni all’Università cattolica di Washington d.c., in seguito pubblicate con il titolo Carmelite Mysticism. Historical Sketches (Chicago 1936). Titus ebbe una grande sensibilità ecumenica; non solo prese parte a incontri ma soprattutto durante la prigionia conservò sempre un clima di dialogo e di profonda amicizia spirituale con i compagni di prigionia di altre confessioni cristiane. La meditazione del Venerdì Santo del 1942 restò nel cuore di molti di loro. In questo senso è interessante ricordare l’adesione al movimento esperantista iniziato dall’oculista polacco Zamenhof.

Innamorato di Maria, promosse e partecipò a incontri di studio in campo mariologico: era convinto che un carmelitano, e in genere un cristiano, deve essere un «generatore di Dio» come Maria.

Il motivo del martirio di Titus Brandsma va ricercato nella sua ferma opposizione all’ideologia e alla politica nazionalsocialista. Egli ne colse con chiarezza il fondamentale neopaganesimo. Già prima dell’occupazione nazista dei Paesi Bassi, nel giugno 1940, in diversi discorsi e sulla stampa Titus denunciò il pericolo della montante onda nazionalista e soprattutto il pericolo che il nazismo rappresentava per la pace e la verità dei rapporti sociali e umani. Da assistente delle scuole cattoliche Titus fece di tutto per difendere l’accoglienza dei bambini ebrei. Il conflitto diventò insanabile nel 1941 dopo che, su ordine dell’arcivescovo di Utrecht, in quanto assistente dei giornalisti cattolici, Titus girò il Paese per convincere i direttori a non cedere alle pressioni del governo occupante.

Il 19 gennaio 1942 fu arrestato e internato a Scheveningen, dove venne interrogato. Di quel periodo, oltre ai testi degli interrogatori salvati dalla distruzione dall’ufficiale nazista che lo interrogò, ci restano una poesia scritta di fronte al crocifisso e una sorta di diario in cui Titus descrive la sua vita da recluso, finalmente fermo dopo tanti anni di attività frenetica. In certo senso, quello fu un breve periodo di calma prima della tragedia finale, un tempo di preghiera e contemplazione oltre che di ulteriore riflessione sull’inconciliabilità tra cristianesimo e nazismo. Il carmelitano venne quindi trasferito in diversi luoghi di detenzione: ad Amersfoort, di nuovo a Scheveningen, poi nel campo di trasferimento di Kleve e infine a Dachau, dove giunse il 19 giugno. Stanco e malato, il 18 luglio entrò nel Revier, l’infermeria del campo, dove morì.

Il 3 novembre 1985, san Giovanni Paolo ii lo dichiarò beato come martire; il 9 novembre 2021 la sessione ordinaria della Congregazione delle cause dei santi ha riconosciuto miracolosa la guarigione di un carmelitano statunitense e Papa Francesco, dopo aver autorizzato il cardinale prefetto Marcello Semeraro a pubblicare il decreto, il 4 marzo di quest’anno ha fissato la data della canonizzazione.

di Giovanni Grosso
Preside dell’Institutum Carmelitanum di Roma