Il racconto

Come tessere di un mosaico

 Come tessere di un mosaico  QUO-107
11 maggio 2022

Cristina e Francesco. Questioni di sguardi. E di sorrisi, anche quando malattia e disabilità potrebbero rendere umanamente difficile sorridere. È un’esperienza di autentica inclusione quella vissuta dalla comunità “Il mosaico” giunta da Varese per incontrare il Papa: sono persone con disabilità intellettivo-relazionale e fisica protagoniste della loro vita e ciascuna — dicono con la concretezza di chi non ama giri di parole — è la tessera del grande “mosaico” della bellezza della vita. E se manca anche una sola tessera, fosse pure quella apparentemente più marginale e periferica, il mosaico è incompleto.

Francesco stamani all’udienza generale, come sempre, ha voluto accarezzare, a una a una, tutte le tessere del “mosaico” dell’inclusione. E un incoraggiamento particolare lo ha rivolto alla comunità della casa della carità “La piccola Betlemme” di Pannaconi, in Calabria. Vi sono accolti coloro che non hanno nessuno e sono scartati, spiega don Felice Palamara, facendo riferimento alla testimonianza del beato Francesco Mottola. Al Papa ha presentato questa famiglia composta anche da «Teresa, una donna disabile che viveva tra i topi, e una donna incinta, con il figlio, provenienti dalla Romania, che hanno subito maltrattamenti».

Accanto a loro ecco Adolfo Taccini, 68 anni, che una poliomielite ha costretto fin da bambino su una sedia a rotelle, ma non gli ha tolto la passione per la vita. E con sette amici che, a turno, hanno spinto la carrozzina Adolfo è arrivato in piazza San Pietro da San Miniato: 18 tappe e 360 chilometri. Rilanciando l’impresa compiuta nella primavera 2019: il Cammino di Santiago de Compostela.

I rappresentanti del Comitato “Mani unite per Padova” hanno voluto condividere con il Pontefice le loro esperienze solidali. A Padova e Lanciano si sono messi a disposizione, come volontari, per assistere le persone colpite dal covid.
E, con lo scoppio della guerra nel cuore dell’Europa, hanno accompagnato tre bambini ucraini (3 mesi, 8 mesi e 8 anni) gravemente malati dalla loro terra all’ospedale Bambino Gesù e al policlinico Gemelli. Un viaggio di tre giorni, dall’Ucraina a Roma, con tre ambulanze “umanitarie”.

L’incontro del Papa con i cappellani della Stella Maris in Europa è stato anche un momento di incoraggiamento per l’apostolato del mare, e cioè per la missione “di frontiera” di offrire assistenza spirituale e materiale a tanti marittimi, pescatori e alle loro famiglie.

La vita dei “lavoratori del mare” è segnata da isolamento e da lontananza e, in tante situazioni, è anche ferita da gravi esperienze di abusi e di ingiustizie, dalle insidie dei trafficanti di persone umane, dai ricatti del lavoro forzato.

Francesco stamani ha rinnovato l’incoraggiamento ai cappellani, e anche ai volontari, di Stella Maris a intensificare gli sforzi per affrontare proprio le questioni che sono troppo spesso il risultato dell’avidità umana: a cominciare dalla tratta di esseri umani, per finire al lavoro forzato e alla violazione di diritti umani. Insomma, un servizio per restituire a queste persone il senso della loro dignità. L’arcivescovo Luigi Bressan ha presentato al Pontefice i contenuti del musical che racconta la testimonianza di padre Kino, il gesuita Eusebio Francesco Chini (1645-1711), originario del Trentino, che svolse la sua missione in quella terra che oggi è a cavallo tra Messico e Stati Uniti d’America. L’arcivescovo è vice-postulatore della causa di canonizzazione.

Significativo, poi, l’abbraccio con i rappresentanti — musulmani e cristiani — del Centro di collaborazione interreligiosa di Elbasan in Albania. E con venti rettori e vice rettori dei seminari maggiori dei territori di missione che stanno partecipando al terzo corso di formazione organizzato dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Infine, a Francesco è stato consegnato il Premio internazionale Charlot, «dedicato alla maschera del vagabondo malinconico che ha saputo incarnare uno sguardo umano sulle nostre fragilità e ci ha fatto sorridere, intrecciando l’umorismo con i valori irrinunciabili per la nostra civiltà: pietà, amore, umanità e anche accoglienza» fa presente Paolo Logli. Istituito 33 anni fa sotto l’egida dei figli di Charlie Chaplin, il Premio «vuol essere un segno di riconoscenza a coloro che regalano alla vita quotidiana un segno di lievità e di speranza».

di Giampaolo Mattei