Benedetta vecchiaia

 Benedetta  vecchiaia  QUO-106
10 maggio 2022

Esce oggi, 10 maggio, nelle librerie La scelta di Enea. Per una fenomenologia del presente (Milano, Rizzoli, 2022, pagine 192, euro 16), il nuovo volume di don  Luigi Maria Epicoco, un testo che nasce per interpretare il mondo contemporaneo attraverso alcune chiavi di lettura tratte dal poema di Virgilio. Enea viene così proposto non come eroe ma come testimone “di chi davanti alla tragedia ha reagito osando la vita”. Pubblichiamo stralci del paragrafo intitolato «La vecchiaia come benedizione».

Nel racconto dell’Eneide troviamo Anchise come figura di una vecchiaia che si converte dalla rassegnazione all’opportunità, al tesoro. È interessante come anche visivamente l’idea di caricarsi il padre sulle spalle, da parte di Enea, rappresenti il salvare il necessario, ciò di cui si ha bisogno per poter vivere, per poter affrontare un viaggio. Enea non salva delle cose, salva qualcuno. Sa che per poter affrontare l’ignoto non ha bisogno di denaro, ha bisogno invece di radici. Ecco perché convince il padre a quel viaggio e il padre, anche se inizialmente pensa a se stesso come a un ostacolo, qualcosa che può rallentare il passo veloce dei fuggiaschi, a un certo punto accetta di essere portato da suo figlio sulle spalle, accetta cioè di ricoprire un ruolo decisivo attraverso proprio l’esperienza della sua anzianità. Infatti, in definitiva dovremmo dire che la vecchiaia è una risorsa, non è semplicemente una stagione della vita, ma è quell’opportunità che può dare un senso più umano alla vita stessa, perché la vecchiaia è portatrice di memoria, di esperienza, di capacità di discernere, di vedere dov’è l’essenziale. È attraverso proprio l’esperienza della vecchiaia che l’umanità non è condannata a dover ricominciare costantemente da capo. Quando noi rimettiamo in contatto ciò che è memoria con ciò che è sogno, utopia, da quel momento in poi il presente diventa sempre più fecondo.

Se la nostra società, alla maniera di Enea, non si prende la responsabilità di portarsi sulle spalle la vecchiaia, non semplicemente come un problema da gestire ma come qualcosa da includere, allora non riuscirà a tirarsi fuori da quel pantano che la vede sempre più incapace di traghettare la cultura verso un nuovo che non è semplicemente evoluzione tecnica ma è consapevolezza più profonda dell’essere umano. Se volessimo in un certo senso forzare la mano e portare questo termine di paragone all’interno della cultura, dovremmo dire che la fatica che in questo momento si fa negli studi storici, filosofici, umanistici, è proprio lo specchio di ciò che sta accadendo a livello antropologico. Se la vecchiaia è solo un problema da gestire e non invece una risorsa da integrare all’interno della società, allo stesso modo lo studio della storia oppure le ricerche di senso della filosofia, l’approccio umanistico alla vita attraverso la letteratura, l’arte e la musica saranno viste semplicemente come qualcosa al margine della cultura stessa, come un sapere riservato semplicemente a qualcuno ma non più come un sapere decisivo per l’umanità stessa.

[...] La vecchiaia diventa tempo di benedizione quando porta con sé [la] capacità di saper rintracciare il bene dentro l’esperienza. Un anziano può far tesoro della propria vita e aiutare le nuove generazioni a saper trovare il bene nascosto delle cose, una dimensione cui è possibile accedere soprattutto attraverso la gratitudine. Per molta parte della nostra vita viviamo nel fraintendimento del bene, cioè chiamiamo bene ciò che bene non è. E con il tempo ci accorgiamo che quello non era un bene, e lo capiamo dai frutti che ha portato all’interno della nostra vita. Chi ha vissuto più a lungo è avvantaggiato nel riconoscimento del bene proprio perché per primo è passato attraverso il vaglio dell’esperienza. Allora la vita di un anziano è benedizione perché aiuta sempre a rintracciare quel bene nascosto che molto spesso è celato allo sguardo della nuova generazione. Qualcosa di simile accade soprattutto in quella relazione così particolare e intima che è l’accompagnamento spirituale. Da sempre, in tutti i secoli e in diverse culture, viene raccontato di questo legame significativo che si viene a creare tra due persone che in genere hanno un rapporto non alla pari, asimmetrico. E l’asimmetria è dovuta molto spesso al fatto che il maestro è tale soprattutto per l’esperienza che ha vissuto. Non è semplicemente una persona preparata, è una persona vissuta, cioè attraversata da una vita di cui ha potuto fare esperienza in prima persona. E nell’accompagnamento spirituale il maestro non dà delle nozioni, non insegna delle teorie, questo potrebbe farlo tranquillamente un testo, un insieme di regole o una tecnica codificata, ma mette invece a disposizione soprattutto la sua capacità di trovare il bene nascosto nelle cose.

[...] Il secondo modo attraverso cui la vecchiaia può diventare benedizione viene dal fatto che essa è maestra non soltanto di discernimento del bene, ma soprattutto di pace. [...] L’esperienza della pace di cui è portatrice la vecchiaia è innanzitutto un’esperienza di pacificazione. Essa non consiste nel trovare un modo per cancellare i problemi o per risolverli, ma nella capacità di educarsi a reagire in un certo modo proprio davanti alle difficoltà e ai problemi. Infatti, se vuoi misurare la maturità di una persona, non devi misurare la sua intelligenza, la sua competenza, non devi domandargli semplicemente la capacità di analizzare le cose. La maturità di una persona la si vede da come reagisce a una difficoltà, al vento contrario, davanti a un imprevisto.

[...] Il tempo della vecchiaia è il tempo del disincanto, e proprio per questo si ha la capacità di leggere in maniera pacifica la realtà. Non si è più influenzati dall’ebbrezza degli entusiasmi, e se si è passato il vaglio anche di una rassegnazione cinica, allora lo sguardo dell’anziano è lo sguardo realistico che ci aiuta a guardare le cose nella loro verità, e a comprendere che l’unico modo di corrispondere alla verità delle cose è reagire nella maniera più umana possibile. Bisogna infatti restare umani affinché gli eventi e le circostanze della vita non ci facciano perdere la nostra vera identità, il nostro vero specifico.

La gratitudine e la pace lasciano il posto al terzo e ultimo aspetto della vecchiaia come benedizione, che consiste in un gesto semplice e allo stesso tempo rivoluzionario. È il gesto del togliersi, del diminuire, del lasciare il posto, del tramontare. Una vecchiaia è benedetta quando lascia spazio, quando rende possibile la vita degli altri, quando si accorge che dal proprio arretrare può emergere anche la propria eredità. Solo e soltanto quando si ha a cuore questo meccanismo generativo di filiazione, di prolungamento del proprio bene attraverso lo spazio lasciato agli altri, solo in quel momento la benedizione da ostacolo diventa invece fecondità.

[...] In un contesto in cui cresce una consapevolezza ecologica rispetto alla relazione che l’uomo ha con il creato e con il mondo che abita, emerge questa domanda: il mondo che noi viviamo, che usiamo, che manipoliamo, che consumiamo sarà ancora un mondo adatto alla vita? E se noi non valutiamo le conseguenze delle nostre scelte sbagliate, ci accorgiamo che questo cadrà sulla generazione successiva? Come possiamo dire di amare un figlio, quando non gli lasciamo un mondo in cui la vita sia ancora possibile? In questo senso l’anzianità è una benedizione non soltanto quando sa lasciare il passo, quando sa tramontare, far emergere la generazione successiva, ma soprattutto quando, come adulto che ha responsabilità, sa guardare in prospettiva alle conseguenze delle proprie scelte e fa in modo che chi verrà dopo troverà un bene, un mondo migliore e non semplicemente un’incognita, un mistero o, molto spesso, un mondo peggiore di come lo ha trovato. 

di Luigi Maria Epicoco