Uno sguardo sulla poetica dell’opera

La lotta contro le ingiustizie
nel nome
di una fraternità solidale

     La lotta contro le ingiustizie nel nome  di una fraternità solidale  QUO-104
07 maggio 2022

La fredda luminosità della ragione strumentale ci ha reso spaventati dal nostro stesso accecante potere. A chi si è fatalmente illuso di un delirante senso di onnipotenza, potrebbe parlare un poema del popolo qual è il testo più rappresentativo della letteratura argentina: il Martín Fierro. Un testo che parla con l’accento diverso della periferia. Il poema fu pubblicato nel 1872 con il titolo El gaucho Martín Fierro ed è considerato un capolavoro del genere gauchesco in Argentina e Uruguay. Un seguito dell’opera, intitolata La vuelta de Martín Fierro (Il ritorno di Martín Fierro) fu pubblicata dal suo autore, José Hernández, nel 1879.

L’autore, avendo partecipato fianco a fianco dei settori popolari nelle lotte d’indipendenza, è profondamente impegnato nella vita politica e sociale dell’Argentina di fine Ottocento che sta cercando il proprio modello di organizzazione sociopolitica. José Hernández sceglie di scrivere un testo di genere poetico, a conferma di quanto il suo carattere di uomo di azione lo spingesse all’esplorazione della realtà nella possibile attuazione della domanda di giustizia.

La sua scelta letteraria è correlata e intimamente coerente alla sua preferenziale opzione per i poveri: Hernández è consapevole che l’Argentina, come ogni società impegnata in processi di costituzione di una comunità politica organizzata, deve radicare i suoi progetti nel fertile terreno della cultura popolare che, come il fuoco per riscaldare, deve partire sempre dal basso.

José Hernández immagina che sia difficile parlare male e pensare bene. Anzi, si rende conto di quanto difficile sia pensare il bene della giustizia parlando il male dell’avarizia, dove «non è strano che a qualcuno manchi ciò che a qualcun altro avanza». Hernández sa perfettamente quanto sia arduo pensare il bene della fraterna solidarietà parlando il male della violenza e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il Martín Fierro è un testo consapevole dell’importanza di parlare la lingua del popolo per pensare la giustizia.

La narrazione poetica del Martín Fierro attesta la condizione etico esistenziale dell’umano come lotta, agonico combattimento del bene contro il male, che assume nel testo le caratteristiche di una implacabile quanto coraggiosa denuncia della situazione di ingiustizia e violenta oppressione provocata dalla classe dominante nell’Argentina di fine Ottocento.

In questo gaucho, oppresso e ribelle, uomo di dolori e poeta di libertà, la gelida solitudine dell’uomo contemporaneo potrebbe scaldarsi al fuoco di una fraternità finalmente ritrovata. La lingua di questo gaucho, uomo del popolo, è canto. Attraverso quest’arte fattiva e creativa — poíēsis — il canto del Martín Fierro assume il logos del linguaggio popolare: non mera descrizione del già dato, ma narrazione del possibile, del non ancora realizzato, ma reale.

Il poema è stato riconosciuto nella sua peculiare espressività di classe, ma non classista. Il Martín Fierro è il canto del popolo, in quanto raccoglie il sordo clamore della classe maggioritaria, i poveri senza potere, assediati dal progetto “civilizzatore” di stampo capitalistico che le classi dirigenti e le oligarchie volevano imporre in Argentina con virulenta ferocia. Il modello di industrializzazione forzata rappresentava l’assetto di organizzazione sociale portato avanti dall’élite contro la barbarie delle culture popolari. Il popolo percepisce che i gruppi di potere stanno organizzando definitivamente il paese contro di lui. È in atto un processo di modernizzazione capitalistica che aliena le classi popolari, promovendo quasi un programma di vera e propria mutazione antropologica. Il canto del gaucho Martín Fierro si fa eco di un’esperienza collettiva di sventura sociale condivisa. Facendosi voce dei senza voce, articola una presa di coscienza comunitaria attraverso la poetica della sapienza popolare.

Le due parti in cui si divide l’opera corrispondono, più intimamente, ad un’esperienza spirituale, di forte rilievo etico-politico, nella quale il gaucho Martín Fierro attraversa la vita nel deserto, così chiamato non tanto per i tratti fisico-geografici del territorio ma per le condizioni di vita dei suoi abitanti: luogo ostile e inospitale che accoglieva gli scarti di una società che si andava costituendo di spalle e contro il popolo, soprattutto contro i poveri. Da questo luogo, segnato dalla fame e dalla violenza quale espediente di sopravvivenza forzata, il gaucho Martín Fierro farà ritorno alla città, per consegnare in eredità, a chi vorrà ascoltare il suo canto, la sapienza maturata nel dolore dell’ingiustizia. Dolore che ha anche assaporato amaramente con i suoi compagni di sventura nell’esperienza della prigione: (in)civile non-luogo inventato per spezzare il cuore umano, fracassandolo nelle tenebre della solitudine più efferata e disumana.

Dal profondo della condizione umana degli ultimi, l’arte poetica e sapienziale del Martín Fierro dispiega le potenzialità storiche della domanda di giustizia. Prendendo distanza poeticamente dalla realtà e, interrompendo la sua fattuale quotidianità, spalanca il nuovo del possibile. Canto di coloro che abitano in terra scura — i popoli che camminano nella notte oscura dell’ingiustizia — il Martín Fierro è testimone di una domanda diversa: l’istanza altra della vita buona, dove il gaucho deve avere «casa, scuola, chiesa e diritti». Il nuovo, il possibile che il poema gaucho ci pone davanti: il mondo della domanda di giustizia articolata come agonica lotta per la pratica di una fraternità solidale e universale.

di Diego Flores