Nell’Aula Paolo VI il giuramento di 36 Guardie Svizzere Pontificie

Al servizio della pace

 Al servizio della pace  QUO-104
07 maggio 2022

Operatori di pace e di fraternità, al servizio del Papa e della Chiesa. È la missione dei 36 nuovi alabardieri della Guardia Svizzera Pontificia, che hanno prestato giuramento in Vaticano ieri pomeriggio, venerdì 6 maggio. La cerimonia, che doveva tenersi, come da tradizione nel cortile di San Damaso, si è svolta in forma ridotta, anche a causa del maltempo, nell’Aula Paolo vi . Erano presenti l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, che presiedeva, i genitori e i fratelli dei giovani che prestavano giuramento, i rappresentanti ufficiali della Chiesa e della Confederazione Elvetica, e del cantone ospitante di Nidvaldo.

Le reclute hanno promesso fedeltà al Papa e alla Chiesa, nello stesso giorno in cui si commemora il sacrificio di 147 guardie che trovarono la morte nel 1527 per difendere la vita del Pontefice. Rivolgendosi ai 36 alabardieri, il benedettino Kolumban Reichlin, cappellano del Corpo, ha sottolineato che la scelta per il servizio nella Guardia Svizzera Pontificia non è scontata. «Non lo è — ha detto — a maggior ragione alla vostra età e alla luce delle possibilità e delle comodità pressoché illimitate che la Svizzera vi offre e che lasciate intenzionalmente alle spalle per un certo periodo di tempo con la scelta della guardia». Per questo, il “sì” ad almeno due anni di servizio nel Corpo è «una decisione coraggiosa e degna di nota contro il comfort personale e contro l’orientamento dominante». In un’età piena di «tempesta e impeto», la decisione volontaria di «interrompere il percorso veloce della carriera e del buon guadagno, per mettere due anni nella pienezza della vostra vita al servizio della chiesa, un’istituzione la cui credibilità, di tanto in tanto, e, in parte non a torto, è messa in discussione proprio nel nostro Paese».

D’altra parte, ha proseguito, per due anni «rinunciate ad alcune comodità: la vostra casa famigliare, il vostro proprio letto, l’intimo contatto con la vostra famiglia, la vostra cerchia di amici e colleghi, a volte anche il rapporto stretto con la vostra ragazza». Questo comporta dire “sì” a molte sfide: alla disciplina, alla conoscenza di «una nuova lingua, di una nuova cultura e stile di vita, alla convivenza in uno spazio ristretto con la grande famiglia della guardia di cui non avete scelto voi stessi i membri, alla rinuncia di buona parte della sfera privata, all’autodeterminazione e all’indipendenza; e tutto ciò non per due o tre settimane, ma per almeno ventisei mesi».

In questo, ha ribadito il cappellano, si manifesta qualcosa «della forza e dell’attrattiva della vocazione personale. Quando facciamo ciò che con la mente e con il cuore riconosciamo come il nostro destino originario, come ciò che è giusto e importante per noi, diventiamo anche determinati a rinunciare a molte cose piacevoli e vantaggiose». Poi, ha letto la formula di giuramento. Anche Christoph Graf, comandante del Corpo, nel suo discorso ha messo in evidenza che attraverso l’atto solenne del giuramento ogni nuova recluta «testimonierà la propria disponibilità a mettersi al servizio della protezione del Papa e, se la situazione lo dovesse richiedere, di dare anche la vita per il Santo Padre». Le guardie, ha aggiunto, svolgono «un servizio molto esigente. Richiede loro rinunce e disponibilità al sacrificio. Mi sta molto a cuore che a tale proposito siano ben radicati nella mentalità che contraddistingue noi svizzeri: integrità, affidabilità, fedeltà, tolleranza, apprezzamento reciproco e dialogo ne sono l’espressione». Anzitutto, però, ha fatto notare Graf, una guardia deve essere «un cristiano, deve vivere i valori cristiani e farsi plasmare da essi. Allora non sarà solo collaboratore per una buona convivenza, ma anche, secondo la preghiera di san Francesco, uno strumento al servizio della pace». E ciò è imprescindibile «per una vita piena, che di cuore auguro a ogni guardia».

La pace, ha spiegato, è stata e continua «a essere ripetutamente scossa nella maniera più crudele. Quante persone e quanti popoli soffrono oggi nel mondo a causa di conflitti bellici». Graf ha poi ricordato il grido della gente dopo le due guerre mondiali: “Mai più la guerra!”. Quel grido è stato «dimenticato, ha perso vigore, quando in Europa è tornata la guerra, durante la terribile guerra dei Balcani e adesso, di nuovo, con immutata brutalità. La guerra però non è un crimine solo contro l’umanità e il creato, ma anche contro Dio».

Hanno partecipato alla cerimonia, tra gli altri, monsignor Felix Gmür, vescovo di Basilea e presidente della Conferenza episcopale svizzera, e il benedettino Urban Federer, abate del monastero di Einsiedeln; tra le autorità, il presidente del Consiglio federale Ignazio Cassis, la presidentessa del Consiglio nazionale Irène Kälin e il presidente del Consiglio degli stati Thomas Hefti. La delegazione del cantone ospitante di quest’anno, quello di Nidvaldo, era guidata da Karin Kayser-Frutschi.