La netta distinzione tra amore di Patria e nazionalismo esasperato

Un’idea di pace fondata
su giustizia e carità

 Un’idea di  pace fondata  su giustizia e carità  QUO-103
06 maggio 2022

Nella Caritate Christi compulsi c’è una condanna netta del «nazionalismo esagerato» che appare oggi di grande attualità. Non è l’unica volta in cui Pio xi ha parlato di nazionalismo: si è occupato molte volte di questo problema, insieme a quello della pace, una delle maggiori preoccupazioni di questo papa, come pure del suo predecessore, Benedetto xv , e dei suoi successori, da Pio xii a Papa Francesco. La pace ha infatti rappresentato, in modi e forme diverse, una priorità per tutti i Papi del periodo contemporaneo, di cui il nazionalismo ha costituito e costituisce anche oggi una delle più grandi minacce.

Papa Ratti intervenne molte volte per illustrare la sua idea di pace, fondata sul diritto naturale, sulla giustizia e sulla carità, o per raccomandare la collaborazione economica internazionale, soprattutto dopo la crisi del 1929. Il suo atteggiamento verso la Società delle Nazioni e altre iniziative internazionali per favorire la pace fu complesso: ne condivise gli scopi, ne criticò i criteri ispiratori, ebbe scarsa fiducia nella loro efficacia. Fin dalla sua Enciclica programmatica condannò «l’amore immoderato per la nazione», criticando una concezione assoluta e illimitata della sovranità nazionale, pur riconoscendo la legittimità del patriottismo, e contrastò vigorosamente la strumentalizzazione della religione da parte del nazionalismo, come avvenne con l’Action Francaise. Pio xi ebbe invece simpatia verso governi capaci di coniugare ispirazione cattolica e difesa della civiltà cristiana contro il comunismo con il «nazionalismo moderato», nella convinzione che ciò potesse impedire gli eccessi nazionalistici salvaguardando «l’unità del genere umano». Negli stessi anni, invece, Luigi Sturzo vedeva nel nazionalismo il principale nemico della democrazia, oltre che della pace, contrapponendogli un patriottismo che si riconoscesse in una patria sempre più estesa, fino a comprendere il mondo interno. Nel 1929, nel suo esilio londinese, il fondatore del Partito popolare scrisse un libro molto importante, dedicato alla Comunità internazionale e il diritto di guerra, in cui propose l’abolizione della guerra quale mezzo legittimo per la soluzione delle controversie internazionali.

Ma, a partire dal 1930-1931, il magistero di Pio xi su questi temi subì un cambiamento, la sua visione della situazione internazionale divenne sempre più negativa e la sua fiducia nel «nazionalismo moderato» quale argine contro il «nazionalismo esagerato» cominciò a diminuire. La Caritate Christi compulsi riflette indirettamente tale cambiamento. A partire dal 1935, nelle parole del Papa cominciò poi anche a comparire un grido di allarme, destinato ad intensificarsi negli anni successivi, per l’avvicinarsi di una guerra europea che egli sentiva sempre più imminente, anche se si trattava di «un delitto così enorme, una manifestazione di furore così folle, che lo riteniamo assolutamente impossibile. Non possiamo infatti persuaderCi che coloro ai quali deve stare a cuore la prosperità e il benessere dei popoli, vogliano spingere all’eccidio, alla rovina, allo sterminio, non solamente la propria nazione, ma gran parte dell’umanità». Sono parole che valgono anche per l’oggi. Gli allarmi per l’avvicinarsi di un così «nefando delitto» furono considerati esagerati dalle diplomazie europee che in seguito dovettero invece riconoscerne la fondatezza.

Un passo verso la Seconda guerra mondiale fu indubbiamente costituito dall’aggressione fascista all’Etiopia, cui Pio xi fu profondamente contrario. Prima della guerra, parlando di Giustino de Iacobis, sottolineò che per zelo apostolico questi si era spinto fino alla lontana Abissinia, dove morì stremato dal suo servizio e rimpianto non solo dai cattolici, ma anche da eretici, musulmani, pagani, che lo percepirono come un «benefattore e come il padre dell’Abissinia tutta quanta». Ricordando questo «grande italiano e questo grande abissino d’adozione, il Papa auspicò che non scoppiasse la guerra tra l’Italia e l’Etiopia e criticò esplicitamente l’aggressione fascista in un noto discorso alle infermiere che non fu mai pubblicato, ma venne ugualmente conosciuto dai diplomatici presenti a Roma.

Proprio in riferimento alla guerra d’Etiopia, Pio xi giunse a restringere ulteriormente la concezione tradizionale della guerra giusta, identificandola in pratica con il concetto di legittima difesa.

Verso la fine degli anni Trenta, il Papa constatò la crescita di un «nazionalismo totalitario» sempre più pericoloso, in Germania, in Italia e altrove. Tra le sue diverse prese di posizione a questo riguardo particolare rilievo riveste l’ “enciclica nascosta”, l’Humani generis unitas, preparata su sua indicazione ma poi non pubblicata a causa della sua morte e a lungo rimasta sconosciuta. Il documento condannava apertamente il «nazionalismo totalitario». Gli Stati, abbandonando un corretto esercizio dell’autorità che per sua natura implica sempre dei limiti e assumendo un’idea-simbolo — la nazione, la razza, la classe o quant’altro — come principio assoluto, assegnavano a tali idee-simbolo «un diritto primo e assoluto in tutti i campi della vita per sottomettere gli uomini a loro piacimento». La bozza dell’enciclica denuncia inoltre l’influenza devastante degli Stati totalitari sulle relazioni internazionali per la loro pretesa di un’espansione «imperialista».

L’enciclica Humani generis unitas ribadiva accoratamente che gruppi nazionali diversi potevano convivere pacificamente nello stesso Stato o che, viceversa, un’unica comunità nazionale poteva trovarsi divisa tra Stati diversi senza che ciò costituisse un problema. Perciò, nessuno Stato poteva rivendicare un potere sovrano su un gruppo nazionale inserito in un altro Stato o pretendere un territorio perché «appartenente» alla propria comunità nazionale. È «criminale», concludeva l’enciclica, diffondere, specie tra i giovani, le idee del nazionalismo, questa «vera perversione dello spirito».

di Agostino Giovagnoli