Nel pieno della Grande Depressione Pio XI denuncia i rischi dell’egoismo

La fraternità umana abbraccia tutti i popoli

 La fraternità umana abbraccia tutti i popoli   QUO-103
06 maggio 2022

Il 3 maggio 1932 Papa Pio XI promulgava l'Enciclica Caritate Christi compulsi, dedicata al Cuore di Gesù, al quale il Pontefice invita a ricorrere per «opporsi con tutte le forze ai mali che opprimono l’intera umanità e a quelli ancora peggiori che la minacciano». Pio xi parla della grande crisi economica, a tre anni di distanza dalla grande depressione del 1929, una crisi per la prima volta “globale”, e poi si sofferma sul tema della fraternità messa in rischio da un "nazionalismo esagerato". Ripubblichiamo un brano tratto dal capitolo 1 che è di grande attualità ancora oggi, in un momento così delicato per il mondo e soprattutto per l’Europa.

Se riandiamo con la mente alla lunga e dolorosa serie di mali che, triste retaggio del peccato, hanno segnato all’uomo decaduto le tappe del pellegrinaggio terreno, dal diluvio in poi, difficilmente c’incontriamo in un disagio spirituale e materiale così profondo, così universale, come quello che ora attraversiamo: anche i più grandi flagelli, che pure lasciarono tracce indelebili nella vita e nella memoria dei popoli, si abbattevano ora sopra una nazione, ora sopra l’altra. Ora invece l’umanità intera è stretta dalla crisi finanziaria ed economica così tenacemente, che quanto più si agita, tanto più insolubili ne sembrano i lacci; non vi è popolo, non vi è Stato, non società o famiglia che, in un modo o in un altro, direttamente o indirettamente, più o meno, non ne senta il contraccolpo. Quegli stessi, assai pochi di numero, che sembrano avere nelle loro mani, insieme con le ricchezze più ingenti, le sorti del mondo; quegli stessi pochissimi uomini che, con le loro speculazioni, sono stati e sono in gran parte la causa di tanto male, ne sono essi stessi ben sovente le prime e più clamorose vittime, trascinando con sé nell’abisso le fortune di innumerevoli altri; verificandosi in modo terribile e per tutto il mondo quanto lo Spirito Santo aveva già proclamato per i singoli peccatori: «Per quelle cose per le quali uno pecca, per le medesime è tormentato» (Sap 11, 17).

Lacrimevole condizione di cose, Venerabili Fratelli, che fa gemere il Nostro cuore paterno e Ci fa sentire sempre più intimamente il bisogno di imitare, secondo la Nostra pochezza, il sublime sentimento del Cuore SS. di Gesù: «Ho compassione di questa folla» (Marc 8, 2). Ma ancor più lacrimevole è la radice da cui nasce questa condizione di cose: poiché, se è sempre vero quello che afferma lo Spirito Santo per bocca di San Paolo: «Radice di tutti i mali è la cupidigia» (I Tim 6, 10), molto più ciò è vero nel caso presente.

E non è forse quella cupidigia dei beni terreni, che il Poeta pagano chiamava già con giusto sdegno «esecranda fame dell’oro»; non è forse quel sordido egoismo, che troppo spesso presiede alle mutue relazioni individuali e sociali; non è insomma la cupidigia, qualunque ne sia la specie e la forma, quella che ha trascinato il mondo all’estremo che tutti vediamo e tutti deploriamo? Dalla cupidigia, infatti, proviene la mutua diffidenza, che inaridisce ogni commercio umano; dalla cupidigia, l’esosa invidia che fa considerare come proprio danno ogni vantaggio altrui; dalla cupidigia, il gretto individualismo che tutto ordina e subordina al proprio vantaggio, senza badare agli altri, anzi conculcando crudelmente ogni diritto altrui.

Di qui il disordine e lo squilibrio ingiusto, per cui si vedono le ricchezze delle nazioni accumulate nelle mani di pochissimi privati, che regolano a loro capriccio il mercato mondiale, con danno immenso delle masse, come abbiamo esposto l’anno scorso nella Nostra Lettera Enciclica Quadragesimo anno.

Se questo stesso egoismo (abusando del legittimo amor di patria e spingendo all’esagerazione quel sentimento di giusto nazionalismo, che il retto ordine della carità cristiana non solo non disapprova, ma con proprie regole santifica e vivifica) si insinua nelle relazioni tra popolo e popolo, non vi è eccesso che non sembri giustificato; e quello che tra individui sarebbe da tutti giudicato riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d’encomio se si compie in nome di tale esagerato nazionalismo. Alla grande legge dell’amore e della fraternità umana, che abbraccia tutte le genti e tutti i popoli in una sola famiglia con un solo Padre che sta nei cieli, subentra l’odio che spinge tutti alla rovina. Nella vita pubblica si calpestano i sacri princìpi che erano la guida di ogni convivenza sociale; vengono manomessi i solidi fondamenti del diritto e della fedeltà su cui dovrebbe basarsi lo Stato; sono violate e chiuse le sorgenti di quelle antiche tradizioni che nella fede in Dio e nella fedeltà alla sua legge vedevano le basi più sicure del vero progresso dei popoli.

3 maggio 1932