Il magistero

 Il magistero  QUO-102
05 maggio 2022

Venerdì 29 aprile

Un cammino
di guarigione
e giustizia

Ringrazio tutti per la dedizione al lavoro di protezione dei bambini. I minori e le persone vulnerabili sono oggi più sicuri nella Chiesa. Vorrei ringraziare il “gran testardo” di questa causa, il Cardinale O’Malley, che va avanti contro tutto.

C’è bisogno di continua attenzione affinché la Chiesa sia non solo luogo sicuro per i minori e luogo di guarigione, ma risulti pienamente affidabile.

A volte la realtà dell’abuso e il suo impatto devastante sulla vita dei piccoli sembrano sopraffare gli sforzi di quanti cercano di rispondere con amore.

La strada verso la guarigione è lunga, difficile, richiede speranza... Gesù risorto porta per sempre le cicatrici della sua crocifissione nel suo corpo glorificato.

Queste piaghe dicono che Dio ci salva non “saltando” le sofferenze, ma attraverso le nostre sofferenze, trasformandole.

Dobbiamo solo avere fede e posare la vita nelle ferite del corpo risorto di Gesù.

L’abuso in ogni sua forma è inaccettabile. L’abuso sessuale sui bambini è particolarmente grave perché offende la vita mentre sta sbocciando. Le persone abusate si sentono come intrappolate tra la vita e la morte. Sono realtà che non possiamo rimuovere.

La testimonianza dei sopravvissuti rappresenta una ferita aperta nel corpo di Cristo che è la Chiesa. Vi esorto a lavorare coraggiosamente per cercare coloro che soffrono.

Vescovi, superiori religiosi, presbiteri, diaconi, persone consacrate, catechisti, laici: ogni membro della Chiesa è chiamato ad assumersi la responsabilità di prevenire gli abusi e lavorare per la giustizia e la guarigione.

Con la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium ho istituito la Commissione come parte della Curia Romana, nell’ambito del Dicastero per la Dottrina della Fede.

Qualcuno potrebbe pensare che questa collocazione possa mettere a rischio la libertà di pensiero e azione o togliere importanza alle questioni. Questa non è la mia intenzione. E invito a vigilare affinché ciò non accada.

Desidero che proponiate i metodi migliori affinché la Chiesa protegga i minori e le persone vulnerabili e aiuti i sopravvissuti, tenendo conto che giustizia e prevenzione sono complementari.

Importanti semi sono stati gettati, ma c’è ancora molto da fare. È vostro compito espandere la portata di questa missione in modo che la tutela e la cura delle persone che hanno subito abusi diventi norma in ogni ambito della vita della Chiesa.

La vostra collaborazione con il Dicastero per la Dottrina della Fede e dovrebbe arricchire il vostro lavoro e a sua volta arricchire quello della Curia e delle Chiese locali. Operando insieme esse danno attuazione al dovere della Chiesa di proteggere i vulnerabili.

I semi che sono stati sparsi stanno cominciando a dare frutti. L’incidenza degli abusi sui minori da parte del clero ha evidenziato un calo dove sono disponibili dati e risorse.

Vorrei che mi preparaste un rapporto sulle iniziative... Questo potrà essere difficile all’inizio, ma vi chiedo di incominciare... in modo che le autorità competenti possano agire.

Sarà un fattore di trasparenza e responsabilizzazione e darà un riscontro dei nostri progressi... Se non dovessero esserci i fedeli continuerebbero a perdere fiducia nei pastori.

Ho seguito i modi in cui la Commissione ha fornito luoghi di ascolto e incontro con vittime e sopravvissuti. Siete stati di aiuto nella mia missione verso quanti si sono rivolti a me per le loro dolorose esperienze. Vi esorto ad aiutare le Conferenze Episcopali a realizzare centri dove le persone che hanno subito abusi e i loro famigliari possano trovare accoglienza e ascolto ed essere accompagnate in un cammino di guarigione e giustizia.

Tale impegno sarà anche espressione dell’indole sinodale della Chiesa, di comunione, di sussidiarietà.

Le Conferenze episcopali devono costituire le commissioni e i mezzi per portare avanti i processi del prendersi cura delle persone abusate, e anche degli abusatori, come punirli. E voi dovete sorvegliare.

(Alla Pontificia commissione
per la tutela dei minori
)

Sabato 30

La guerra
fa violenza
ai legami
famigliari

Porto nel cuore i nostri incontri del settembre scorso a Bratislava, Prešov, Košice e al Santuario nazionale della Madonna dei Sette Dolori a Šaštín.

È stato per me un piacere vedere come la Chiesa in Slovacchia vive la ricchezza della diversità dei riti e delle tradizioni, come un ponte che unisce Occidente e Oriente cristiano.

Nonostante la pandemia, ho potuto visitare il Paese... incoraggiarvi a camminare nello stile dell’incontro, tutti: giovani, famiglie, anziani, le diverse comunità che storicamente fanno parte della società.

La cultura dell’incontro si costruisce nella ricerca dell’armonia tra le diversità, e richiede accoglienza, apertura e creatività.

Alla radice c’è il Vangelo, c’è lo Spirito Santo. Ma nella storia e nella vita questa armonia è a volte ferita dai nostri peccati e limiti. Per questo abbiamo pregato per la guarigione. Non stancatevi di invocare lo Spirito, il Creatore dell’armonia, il balsamo delle ferite!

Il tappeto usato per il palco durante l’incontro con la comunità Rom è stato tagliato e distribuito tra le famiglie del quartiere; può servire per l’accoglienza alla porta di ogni casa.

Recentemente la vostra accoglienza si è dimostrata di nuovo nel contesto tragico della guerra. Tante famiglie, parrocchie e istituzioni hanno ricevuto sotto il loro tetto le mamme con i bambini delle famiglie ucraine costrette a dividersi per mettersi in salvo, arrivate con il loro povero bagaglio.

Guardando i loro occhi siete testimoni di come la guerra fa violenza ai legami familiari, priva i figli della presenza del papà, della scuola, e lascia abbandonati i nonni.

Continuate a pregare e lavorare per la pace, che si costruisce ogni giorno, con gesti di carità accogliente.

Chi accoglie un bisognoso compie non solo un atto di carità, ma anche di fede, perché riconosce Gesù nel fratello.

Siete fieri dell’eredità di santi Cirillo e Metodio. Vi invito a costruire ponti di fraternità insieme a tutti i popoli che si nutrono dalle stesse radici dell’evangelizzazione dell’Europa, con ambedue i polmoni del cristianesimo, di cui parlava san Giovanni Paolo ii .

Grazie per la vostra fedeltà, manifestata nella testimonianza della fede, nell’ecumenismo pratico delle relazioni con i vicini, nella carità accogliente anche di chi è diverso, nel rispetto di ogni vita umana e nella cura responsabile per l’ambiente.

(A un pellegrinaggio dalla Slovacchia)

Lunedì 2 maggio

Assistenza
sanitaria
a misura
d’uomo

La pandemia da covid-19 ha posto i farmacisti in prima linea. I cittadini smarriti hanno trovato in voi un punto di riferimento per avere assistenza, consigli, informazioni, e anche per poter fare rapidamente i test necessari alle attività quotidiane.

Penso che questa situazione di crisi abbia anche provocato nel vostro ambiente l’esigenza di “fare corpo”, di sostenersi a vicenda.

Mi congratulo con la vostra Federazione perché ha saputo leggere questa crisi come opportunità. I farmacisti sono un “ponte” tra i cittadini e il sistema sanitario.

Questo è molto burocratizzato e la pandemia lo ha messo a dura prova, rallentando, se non paralizzando, le procedure. Ciò comporta per chi è malato maggiori disagi, sofferenze e danni ulteriori per la salute.

La categoria alleggerisce il peso sul sistema sanitario e allenta la tensione sociale. Questo ruolo va svolto con prudenza e serietà professionale, ma per la gente è importante l’aspetto della vicinanza, del consiglio, di quella familiarità che dovrebbe essere propria di un’assistenza sanitaria “a misura d’uomo”.

Nei quartieri i farmacisti sono la casa. Si deve andare dal medico, ma dai farmacisti vai, suoni il campanello e li trovi alla mano, è una cosa più famigliare, più vicina.

Un altro aspetto è il contributo che i farmacisti possono dare per la conversione a un’ecologia integrale. Tutti siamo chiamati a imparare uno stile di vita più rispettoso dell’ambiente, della casa comune.

In questo rientra anche un modo sano di alimentarsi e vivere. I farmacisti possono “fare cultura”, promuovendo una maggiore sapienza nel condurre una vita sana. Vi può ispirare la tradizione millenaria che in Europa risale alle antiche farmacie dei monasteri.

Ma oggi queste radici si possono arricchire con le conoscenze e le pratiche proprie di altre culture, come quelle orientali o dei popoli nativi dell’America.

Potete aiutare a smascherare gli inganni di un falso benessere e a educare a un vero “buon vivere”, che non sia privilegio di pochi ma alla portata di tutti.

(Ai dirigenti della federazione internazionale
dei farmacisti cattolici
)

Mercoledì 4

Credere non è una cosa
“da vecchi”

Incontriamo un personaggio biblico, Eleazaro, la [cui] figura consegna una testimonianza dello speciale rapporto fra la fedeltà della vecchiaia e l’onore della fede.

[Quest’ultima] si trova periodicamente sotto la pressione, anche violenta, dei dominatori, che cercano di svilirla, trattandola come reperto archeologico, vecchia superstizione, puntiglio anacronistico.

Il racconto narra l’episodio degli ebrei costretti da un decreto del re a mangiare carni sacrificate agli idoli.

No all’ipocrisia religiosa

Quando viene il turno di Eleazaro, novantenne stimato e autorevole, gli ufficiali lo consigliano di fare una simulazione... Ipocrisia religiosa, clericale.

Gli dicono: “fa’ l’ipocrita, nessuno se ne accorgerà”. Così Eleazaro si sarebbe salvato [con] un gesto minimo, insignificante.

Ma la pacata e ferma risposta di Eleazaro fa leva su un argomento: disonorare la fede nella vecchiaia, per guadagnare una manciata di giorni, non è paragonabile con l’eredità che essa deve lasciare ai giovani.

Bravo Eleazaro! Un vecchio che è vissuto nella coerenza della propria fede per un’intera vita, e ora si adatta a fingerne il ripudio, condanna la nuova generazione a pensare che l’intera fede sia stata una finzione, un rivestimento esteriore che può essere abbandonato, pensando di poterlo conservare nel proprio intimo.

Non è così, dice Eleazaro. Tale comportamento non onora la fede, neppure di fronte a Dio. L’effetto di questa banalizzazione esteriore sarà devastante per l’interiorità dei giovani.

La coerenza di quest’uomo che pensa ai giovani, all’eredità futura, al suo popolo!

La vecchiaia appare qui il luogo decisivo, insostituibile, di questa testimonianza. Un anziano che, a motivo della sua vulnerabilità, accettasse di considerare irrilevante la pratica della fede, farebbe credere ai giovani che la fede non abbia rapporto con la vita. Apparirebbe come un insieme di comportamenti che possono essere simulati, perché nessuno è importante.

L’antica gnosi eterodossa, un’insidia molto potente per il cristianesimo dei primi secoli, teorizzava che la fede è una spiritualità, non una pratica; una forza della mente, non una forma della vita.

La fedeltà e l’onore della fede, secondo questa eresia, non hanno a che fare con i comportamenti della vita, le istituzioni della comunità, i simboli del corpo. La seduzione di questa prospettiva è forte, perché interpreta, a suo modo, una verità indiscutibile: che la fede non si può mai ridurre a un insieme di regole alimentari o di pratiche sociali. La fede è un’altra cosa.

Il guaio è che la radicalizzazione gnostica vanifica il realismo della fede cristiana, perché la fede cristiana è realistica, non è soltanto dire il Credo, ma pensare il Credo, sentire il Credo, fare il Credo.

Operare con le mani. Invece questa proposta gnostica è un “fare finta”: l’importante è che tu dentro abbia la spiritualità e poi puoi fare quello che vuoi.

Questo non è cristiano. È la prima eresia degli gnostici, molto alla moda in questo momento in tanti centri di spiritualità.

Svuota la testimonianza di questa gente, che mostra i segni concreti di Dio nella vita della comunità e resiste alle perversioni della mente attraverso i gesti del corpo.

La tentazione gnostica

La tentazione gnostica è una delle deviazioni religiose di questo tempo, rimane sempre attuale.

In molte linee di tendenza della società e nella nostra cultura, la pratica della fede subisce una rappresentazione negativa, sotto forma di ironia culturale, a volte con un’occulta emarginazione. La pratica della fede per questi gnostici che già c’erano al tempo di Gesù, è considerata come un’esteriorità inutile e anzi nociva, un residuo antiquato, una superstizione mascherata, una cosa per i vecchi.

La pressione che questa critica indiscriminata esercita sui giovani è forte.

Tocca a noi vecchi una missione importante: restituire alla fede il suo onore, farla coerente fino alla fine. La pratica della fede non è il simbolo della nostra debolezza, piuttosto il segno della sua forza.

Non siamo più ragazzi. Non abbiamo scherzato quando ci siamo messi sulla strada del Signore! La fede merita rispetto e onore fino alla fine: ci ha cambiato la vita, purificato la mente, insegnato l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo. È una benedizione! Ma tutta la fede, non una parte.

Non baratteremo la fede per una manciata di giorni tranquilli, ma faremo come Eleazaro, coerente fino al martirio. Dimostreremo nella vecchiaia che credere non è una cosa “da vecchi”.

Guardiamo ai giovani. Loro ci guardano. Mi viene in mente quel film del Dopoguerra bello: “I bambini ci guardano”.

Noi possiamo dire lo stesso con i giovani: ci guardano e la nostra coerenza può aprire loro una strada di vita bellissima. Invece, un’eventuale ipocrisia farà male.

(Udienza generale in piazza San Pietro)

Per una
economia
della cultura
e della
solidarietà

Fin dall’inizio del Pontificato ho richiamato l’attenzione sulla gestione dei beni temporali ecclesiastici, nella convinzione che la Chiesa è consapevole della responsabilità di tutelare e gestire con attenzione i propri beni, alla luce della sua missione di evangelizzazione e con particolare premura verso i bisognosi.

Da alcuni anni la Congregazione per i consacrati si preoccupa di orientare i vari istituti alla gestione dei rispettivi beni a servizio dell’humanum.

Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica sono stati e continuano a essere promotori dell’arte e della cultura al servizio della fede, custodi di una parte molto rilevante del patrimonio culturale della Chiesa e dell’umanità: archivi, libri, opere artistiche e liturgiche, immobili.

Vi è l’esigenza di individuare elementi di comprensione specifici di tali beni, in modo da definirne le caratteristiche storiche, spirituali, teologiche, ecclesiologiche e giuridiche.

Catalogazione

Occorre poi promuovere la catalogazione dei beni nella loro totalità e varietà, come atto primario di conoscenza e quindi di studio, di tutela giuridica, di conservazione scientifica, di valorizzazione pastorale.

La catalogazione è necessaria per motivi di servizio alla cultura, di trasparenza gestionale e di prudenza, considerando i mille pericoli naturali e umani a cui sono esposti questi fragili tesori.

La tecnologia informatica mette oggi a disposizione strumenti che permettono di raccogliere un’infinità di dati e di immagini e di renderli pubblici o riservati in modo selettivo ed estremamente accurato.

Gestione
e sostenibilità

Importante è anche affrontare le tematiche inerenti alla gestione dei beni culturali, sia per quanto concerne la loro sostenibilità economica sia per il contributo che essi possono dare all’evangelizzazione e all’approfondimento della fede.

Infine occorre mettere a tema il riuso del patrimonio immobiliare dismesso, oggi tanto più urgente a causa della contrazione numerica delle comunità di vita consacrata e della necessità di reperire risorse necessarie alla cura delle sorelle e dei fratelli anziani e ammalati, e anche degli effetti del cambiamento legislativo e delle doverose esigenze di adeguamento.

La dismissione è causata da oneri economici di manutenzione e conservazione a carico delle comunità, soprattutto in Europa.

Il problema va affrontato non con decisioni affrettate, ma all’interno di una visione complessiva e di una programmazione lungimirante, e possibilmente attraverso il ricorso a esperienze professionali.

Il problema
della
dismissione

La dismissione del patrimonio è un argomento complesso, che può attirare interessi fuorvianti da parte di persone senza scrupoli ed essere occasione di scandalo.

Di qui la necessità di agire con prudenza e accortezza e creare strutture istituzionali di accompagnamento.

È particolarmente attraverso l’uso dei beni immobili che la Chiesa e, quindi, tutte le comunità che la compongono possono dare una buona testimonianza e annunciare la possibilità di un’economia della cultura, della solidarietà e dell’accoglienza.

(Messaggio a un convegno sul patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata)