I giorni passati dal Beato presso il monastero delle Clarisse a Gerusalemme

Come un viaggiatore nella notte

 Come  un viaggiatore  nella notte  QUO-099
02 maggio 2022

Il beato Charles de Foucauld (1858-1916) ha lasciato un’imponente eredità di manoscritti: oltre settemila lettere, più di dodicimila pagine di appunti, scritti profani e spirituali, copie di testi altrui per uso personale, bozzetti e disegni, biglietti e numerosi altri oggetti… Un mare magnum non ancora completamente scandagliato. Le più recenti pubblicazioni, tuttavia, sono ormai in grado di fornire una ricostruzione completa di tutte le stagioni della sua vita: dalla giovinezza turbolenta, alla conversione appassionata, alla scelta religiosa, alla ricerca instancabile di una più esatta definizione della propria vocazione, fino alla sua silenziosa scomparsa nel nascondimento del deserto africano.

Tra le pagine forse meno conosciute della sua vita, si annoverano i giorni da lui trascorsi a Gerusalemme. Si tratta di periodi relativamente brevi, incastonati soprattutto nei tre anni, o poco più, che egli trascorse a Nazareth in qualità di domestico delle Clarisse. In questi soggiorni gerosolimitani, uno solo dei quali si è prolungato alquanto (circa sei mesi), sono maturate nel cuore di fratel Carlo decisioni e scelte molto significative. Certamente è la vita nascosta di Nazareth ad affascinare quest’uomo che, sulla soglia dei quarant’anni, abbandona la vita della trappa per obbedienza alla voce interiore che lo rendeva ancora inquieto, invitandolo a cercare un modo nuovo, tutto speciale, di imitare Gesù. Come risulta evidente dal carteggio con l’abbé Huvelin, suo padre spirituale, il suo habitat di elezione è l’oscura Nazareth, e non la santa città di Dio. Numerose lettere dell’abbé ripetono fino allo sfinimento al figlio spirituale: «restare, restare a Nazareth…». Gerusalemme appariva ai suoi occhi come uno sviamento dalla vocazione originaria, una seducente tentazione di orgoglio e di visibilità. E fr. Charles condivideva questa impressione. Tuttavia ciò che accadde presso le Clarisse di Gerusalemme merita di essere ricordato e ulteriormente sondato. Il monastero “Ste Claire” in un fondo d’archivio privato custodisce alcune preziose testimonianze che ormai — data l’imminente canonizzazione di fratel Carlo — possono essere legittimamente definite reliquie. Si tratta di materiali modesti, se messi a confronto con le oltre tremila pagine di appunti spirituali, meditazioni e ritiri che egli scrisse a Nazareth. Eppure proprio a Gerusalemme sembra siano germogliate in lui alcune decisioni importanti, prima fra tutte quella di accedere agli ordini sacri, grazie anche all’insistenza dell’abbadessa delle Clarisse, Madre Elisabetta del Calvario. La Provvidenza ha forse voluto che la novità sbocciasse a sorpresa nel provvisorio soggiorno di Gerusalemme.

Charles aveva visitato per la prima volta la Terra Santa in pellegrinaggio tra fine novembre 1888 e febbraio 1889. Anche in quella circostanza il suo cuore era rimasto catturato più dal silenzio di Nazareth che dal fascino solenne di Gerusalemme. Certamente la conoscenza di quei luoghi avrà svolto un ruolo non secondario nella scelta di farsi monaco trappista proprio in Siria. Ma dopo alcuni anni nella trappa di Akbés e un soggiorno di un anno a Roma per studiare teologia, egli era di nuovo in cammino verso la terra di Gesù. Anche stavolta, sbarcando a Jaffa, era stato alcuni giorni a Gerusalemme; ma stavolta la meta era chiara: Nazareth. Vi giunse ai primi di marzo 1897, sperando di fermarvisi a lungo. E così accadde, non però — come gli aveva suggerito il padre spirituale — in qualità di operaio dei frati francescani della Custodia, ma come domestico delle clarisse. E probabilmente da Nazareth non si sarebbe mosso, se non fosse stata la badessa di Nazareth a inviarlo a Gerusalemme. Formalmente si trattava di svolgere il servizio di postino; in realtà ella desiderava che quel personaggio fuori dagli schemi consueti della vita religiosa e abbigliato in maniera a dir poco stravagante — di cui però aveva iniziato ad apprezzare le straordinarie qualità — potesse incontrare la badessa di Gerusalemme, più anziana ed esperta di lei. Charles volle coprire a piedi, nella calura estiva, i circa 120 chilometri che separano le due località. Arrivò a Gerusalemme il 10 luglio 1898 (o il 24 giugno, secondo altra fonte) e vi si fermò solo quattro giorni, per dare ristoro ai piedi sanguinanti. Furono però sufficienti per effettuare alcuni colloqui con l’abbadessa, madre Elisabetta del Calvario. La donna, informata dalla consorella di Nazareth, aveva prontamente intuìto la santità di quell’uomo singolare e, da persona determinata e pragmatica qual era, gli aveva chiesto senza troppi giri di parole di trasferirsi a Gerusalemme, magari con un altro compagno, progettando di farne il cappellano del monastero. La richiesta di quell’abbadessa — dinamica e coinvolgente, ma a lui pressoché sconosciuta — lasciò piuttosto sconcertato Charles, che ritornò a Nazareth turbato e confuso. Come sempre, scrisse all’abbé Huvelin per consultarlo in merito, e questi – sorprendentemente – accondiscese alla richiesta della Madre, raccomandando però al figlio spirituale di rimanere in costante ascolto di Dio. Charles ricevette la lettera di risposta l’8 settembre, e due giorni dopo era già in viaggio per tornare nella città santa.

Il secondo soggiorno di Charles a Gerusalemme durò sei mesi pieni: dal 13 settembre 1898 al 20 febbraio 1899. Qualcosa di insolito si era acceso in lui: il desiderio di fondare una nuova forma di vita religiosa, per seguire fino in fondo la sua personalissima ispirazione interiore. Appena giunto al monastero Ste Claire chiese a madre Elisabetta del Calvario se fosse ancora disposta ad accogliere stabilmente «all’ombra del monastero» lui, ed eventualmente un altro confratello. Ottenuto il consenso, Charles riprese subito il cammino per Jaffa, da dove voleva imbarcarsi alla volta della Siria, sperando di convincere un antico compagno di trappa, che aveva abbandonato la vita religiosa per tornare dalla sua famiglia, a seguirlo nel nuovo progetto.

Charles si trova dunque al porto di Jaffa quando compie i suoi 40 anni, il 15 settembre, e annota: «Soccorretemi, mio Dio, soccorretemi, fate morire in me l’uomo vecchio, vile, tiepido, ingrato, infedele, debole, indeciso, languido; create in me un cuore nuovo, caldo, coraggioso, riconoscente, fedele, forte, deciso, energico… Vi consacro tutti gli istanti di questa seconda parte della mia vita che inizia oggi e che andrà dai miei quarant’anni fino alla mia morte». Si percepisce il desiderio di imprimere una svolta decisiva alla sua consacrazione religiosa. Ma il progetto di iniziare subito una nuova vita comune fallirà, e Charles dovrà tornare a Gerusalemme da solo. I mesi di Gerusalemme saranno comunque mesi decisivi: era «il tempo in cui cercava la sua vera strada e attendeva l’ora di Dio», come diranno di lui le clarisse di Gerusalemme, in una testimonianza scritta negli anni Venti del secolo scorso e pubblicata solo nel 2016.

Quando fece ritorno a Nazareth, fratel Charles scrisse al padre spirituale per ringraziarlo di averlo «incomparabilmente diretto in mezzo alle difficoltà di quest’inverno», averlo restituito alla sua vocazione autentica e «ritirato dai pericoli di Gerusalemme» (lettera a Huvelin del 22 maggio 1899). I mesi trascorsi a Gerusalemme sono stati dunque mesi di esplorazioni interiori, di discernimento e di grandi progetti, ma anche di incertezza e dubbio. Da un lato, il desiderio di dare vita a una nuova fondazione, certamente sollecitato anche dalle parole e dall’esempio di Madre Elisabetta del Calvario, a cui si dovevano i monasteri di Nazareth e Gerusalemme. Poi l’idea, fino allora sempre rifiutata, di diventare sacerdote, il che gli avrebbe conferito maggiore autorevolezza nel guidare un nascente gruppo di fratelli; ma quest’aspirazione sembrava contraddire la scelta del nascondimento e dell’abiezione, dalla quale sentiva di non doversi allontanare. Erano questi, certamente, i «pericoli di Gerusalemme», di cui scriveva all’abbé Huvelin: l’attrazione per una vita più attiva e pubblica — come del resto anche Gesù aveva fatto a Gerusalemme! — ma lontana dal nascondimento e dall’oscurità di Nazareth. Il tempo metterà a fuoco le cose, riuscendo a coniugare ciò che allo sguardo umano appariva impossibile: fratel Charles sarà ordinato sacerdote e riuscirà a vivere il suo carisma di fondatore, senza tuttavia smentire in alcun modo lo spirito di Nazareth. L’inverno trascorso a Gerusalemme è dunque stato un tempo di vivace e sofferta elaborazione interiore.

L’archivio delle Clarisse di Gerusalemme documenta questa fase turbolenta e feconda del cammino interiore di fratel Charles. Rimangono un paio di lettere e alcuni altri manoscritti; altri preziosi materiali composti nella città santa — come ad esempio il piccolo quaderno del Regolamento provvisorio degli Eremiti del S. Cuore di Gesù, redatto davanti all’Eucaristia il 6 gennaio 1899 — sono ora conservati altrove. Ma alcuni oggetti rimasti a Gerusalemme possono illuminare cosa si muoveva nel cuore di fratel Charles durante quella stagione, e forse possono farlo in maniera ancor più efficace di altri documenti. In essi, infatti, si manifesta il cuore di fratel Charles senza il filtro della razionalità, come inevitabilmente accade invece quando si tratta di lettere o di appunti di meditazione. In un certo senso, qui emerge l’inconscio di fratel Charles, e fanno capolino i diversi tasselli della sua personalità che ancora, all’età di quarant’anni, non avevano trovato in lui una collocazione definitiva.

Un esempio di ciò sono i disegni del monastero, rappresentato sullo sfondo di Gerusalemme. Ne restano un paio: un bozzetto di modeste dimensioni e uno più grande, di cui egli stesso fece alcune copie. Lo spirito del cartografo e dell’esploratore era tutt’altro che sopito in lui, e a suo tempo riaffiorerà: il tratto è sicuro, il disegno magnifico, e documenta la sua grande abilità nel riprodurre alla perfezione gli spazi geografici. Colpisce soprattutto la scelta di alcuni dettagli: la città santa, pur rispettandone le proporzioni, è riprodotta non tanto come “è”, ma soprattutto “come egli la vede”. Le imponenti mura ottomane sono appena accennate, relegate alla periferia del disegno; maggior rilievo hanno il Golgota, il Santo Sepolcro e il Cenacolo. Al centro dell’immagine domina il monte degli Ulivi, solcato dalla strada che conduce verso Gerico, e che nella rubrica è descritta come “Chemin de Gethsémani à Béthanie”. Anche Betania — il piccolo villaggio arabo di El—Azariya — è disegnata in tutta evidenza. Non dunque la grandiosità di Gerusalemme, ma il Getsemani e Betania ricevono il massimo rilievo: ossia, i luoghi del nascondimento di Gesù a Gerusalemme. Il monte degli Ulivi, infatti, prima ancora che il luogo dell’agonia è per fratel Charles il luogo dell’abituale preghiera notturna di Gesù, dell’intimità raccolta con il Padre. Betania invece è la casa di Marta, Maria e Lazzaro, la casa dell’amicizia, dove Gesù stava “in famiglia” quando saliva a Gerusalemme per le feste di pellegrinaggio. E proprio a Betania, dove ancora mancava un santuario cattolico, fratel Charles aveva desiderato di comprare un terreno per edificarvi, con i beni di famiglia, una “pia fondazione” e rimanere lì a custodirla. Lo sguardo di fratel Charles cerca sempre la vita nascosta, cerca — per così dire — “Nazareth a Gerusalemme”. Forse nulla più di questi disegni ci rivela il suo sguardo interiore e la sua costante ricerca dell’ultimo posto.

Un’altra testimonianza di sicuro interesse dell’archivio sono i numerosi cartamodelli di paramenti sacerdotali. Come noto, le claustrali sono abilissime ricamatrici. Ma altro è eseguire un ricamo, altro idearne il disegno. «Avendoci donato qualche immagine che aveva dipinto — è ancora la citata testimonianza delle monache a riferirlo — gli si domandò parecchi disegni di ornamenti sacri, che eseguì con gusto perfetto e che noi conserviamo preziosamente». Spicca, tra i tanti esempi, il profilo di un meraviglioso pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi piccoli, corredato con l’indicazione dettagliata dei colori da utilizzare per ciascuna parte del ricamo. Non sapremo mai se la richiesta di disegnare cartamodelli di paramenti per l’altare sia stato uno stratagemma di Madre Elisabetta per indurre implicitamente il riluttante Charles a contemplare il mistero del sacerdozio. Di fatto, in quei mesi di travaglio egli trascorse molte ore a disegnare vesti sacre: quelle vesti che allo stesso momento lo attiravano e lo spaventavano.

Un’altra testimonianza, tanto curiosa quanto interessante, è costituita da un mazzo di singolari “carte da gioco” confezionate una per una da fratel Charles. Si tratta evidentemente di un passatempo spirituale prodotto per le Clarisse. Sono conservate solo 29 carte, ma è verosimile immaginare che il mazzo si componesse di 40 pezzi. Ciascuna carta, di circa 11,5 x 6,5 cm., è composta da un cartoncino rigido, al quale è incollato, su ambo i lati, un sottile foglio di carta con disegni e scritte a mano libera. Un lato delle carte è identico per tutte, e riporta, in rosso, il cuore di Cristo sormontato dalla croce, con le parole “JESUS CHARITAS” vergate, sempre in rosso, sopra e sotto; nella parte inferiore, in nero corsivo, si legge: «Per essere santo, bisogna volerlo. S. Benedetto». Il rovescio è invece diverso per ogni carta, ma seguendo uno schema rigoroso: in alto alcune righe della Scrittura o della liturgia, poi una pratica ascetica o di orazione da svolgere, e infine un’annotazione: «Per 30 giorni applicare tutte le indulgenze alle nostre Sorelle defunte». Il tutto — comprese le citazioni della Scrittura — in lingua francese. Non si tratta, quindi, di vere carte da gioco: piuttosto, era un “gioco spirituale” ideato per aiutare le claustrali a vivere più intensamente l’impegno ascetico e di santificazione. Scegliendone una a caso, ciascuna religiosa era invitata ad accogliere come ispirazione celeste una data pratica, e ad eseguirla con scrupoloso amore. Si tratta, probabilmente, di un manufatto realizzato su commissione; ma è utile analizzare le pratiche di pietà suggerite, scelte sicuramente in maniera autonoma da fratel Charles. Alcune di esse sono ripetute su più di una carta, mentre i versetti biblici cambiano sempre. I “doppioni” registrati nelle carte superstiti impongono le seguenti penitenze: “30 pratiche di umiltà”, “30 volte abbandonarci a Dio nelle prove interiori”, “30 pratiche di dolcezza”. Queste, e non altre sono le penitenze ricorrenti. Non mancano, ovviamente, pratiche ascetiche più tradizionali, come il digiuno, le veglie o la volontaria sopportazione del freddo. Ma dall’analisi complessiva di queste carte emerge senza ombra di dubbio che l’amore, il silenzio, l’abbandono a Dio, la dolcezza e il nascondimento sono già gli strumenti di santificazione prediletti da fratel Charles.

Il repertorio dell’archivio di Gerusalemme annovera anche alcune immagini sacre, confezionate con maestria da fratel Carlo per le religiose. In qualche caso si tratta di vere e proprie miniature, che non sfigurerebbero al confronto con i più preziosi manoscritti medievali. Più spesso si tratta di immagini improvvisate, talvolta semplici bozzetti improvvisati a penna su foglietti occasionali per fungere da segnalibro. Anche in questo caso, ci interessa soprattutto il risvolto spirituale, la luce che queste testimonianze proiettano sull’interiorità di Charles. Alcune cartoline riproducono la Santa Famiglia di Nazaret. Seguono uno schema iconografico ricorrente, ripetuto con minime varianti sia negli esemplari più rudimentali che in quelli più raffinati, evidentemente pensati come regalo per qualche circostanza più solenne. La santa Famiglia è sempre raffigurata al lavoro: Giuseppe e Gesù sono al banco di falegname; Maria è intenta a filare la lana, talvolta in piedi, talvolta seduta. Gesù è sempre al centro, qualunque sia la disposizione delle altre figure. Il quadretto di umile lavoro “operaio” è circondato da citazioni bibliche e giaculatorie: «Gesù, mite e umile di cuore, rendete / il mio cuore conforme al vostro / (300 giorni d’indulgenza)»; «Discese con loro, e giunse a Nazaret, ed era loro sottomesso»; «JESUS MARIE, JOSEPH, / attiratemi: corriamo dietro di voi all’odore dei vostri profumi»; «Imparerò da voi a tacere, / A passare oscuro sulla terra / Come un viaggiatore nella notte». La descrizione della vita nascosta di Gesù a Nazareth, non a caso — forse — proprio «dopo il suo smarrimento e ritrovamento al tempio di Gerusalemme» (cfr Lc 2, 51), viene accostata agli aromi seducenti del Cantico dei Cantici (cfr Ct 1, 3-4): quel nascondimento e quell’«ultimo posto» attiravano prepotentemente fr. Charles, come l’amata del Cantico. Non sorprende la tradizionale giaculatoria al Sacro Cuore, conoscendone la devozione di fratel Charles. Più originale è l’altra preghiera, presente in almeno due immagini, che esprime in sintesi il suo programma di vita: passare oscuro e silenzioso sulla terra «come un viaggiatore nella notte». La metafora del furtivo viaggiatore notturno è ricorrente in tutte le immagini della Santa Famiglia, e perfettamente espressiva della spiritualità del futuro «piccolo fratello», tanto che è stata scelta come titolo di una delle più significative raccolte dei suoi scritti. Vederla sistematicamente accostata alla vita ordinaria della Santa Famiglia spiega meglio di mille parole lo stile di vita cercato da quel misterioso domestico delle clarisse.

Numerosi altri materiali, disegni e manoscritti del fondo delle Clarisse di Gerusalemme meriterebbero un adeguato approfondimento. Ad esempio, un pregevole quaderno manoscritto che riporta 103 poesie e canti natalizi: è una conferma di quanto fratel Charles sia stato affascinato dal mistero del Verbo fatto carne (non si dimentichi che egli trascorse a Gerusalemme il Natale del 1898). Probabilmente progettato per allietare le pie ricreazioni delle monache, il quaderno è inedito e meriterebbe uno studio a parte. Oppure i disegni del complesso di Ste Claire ancora in fase di edificazione, o della cappella provvisoria ove fratel Charles aveva trascorso tante ore di orazione: uniche testimonianze che possono restituirci la storia dell’edificio che tutt’ora ospita la comunità delle Clarisse. O ancora, diverse immagini di soggetto sacro, spesso tratteggiate a matita su carta comune, tra cui uno ieratico Gesù Risorto, con il Sacro Cuore — sempre sormontato dalla croce — a vista sul petto: mostra le stimmate e dona la pace ai discepoli. Sorprende il contrasto fra la solennità della figura e la modestia del supporto cartaceo (la carta semitrasparente su cui disegnava i cartamodelli dei paramenti). Nell’insieme, non si tratta di materiali innovativi, o che rivelino un volto sconosciuto di fratel Charles; piuttosto, ormai sono preziose reliquie. Le clarisse di Gerusalemme avevano intuito la verità: «abbiamo a casa un santo!». Ora la Chiesa lo conferma solennemente.

di Filippo Morlacchi