Se la sete prova
l’esistenza dell’acqua

 Se la sete prova l’esistenza dell’acqua  QUO-098
30 aprile 2022

«Fino a oggi nessuno ha veduto gli uccelli migratori dirigersi verso sfere più calde che non esistono, o i fiumi dirottare attraverso rocce e pianure per correre in un oceano che non può essere trovato. Perché Dio non crea un desiderio o una speranza senza aver pronta una realtà che la esaudisca. Il nostro desiderio è la nostra certezza e beati siano i nostalgici, perché torneranno a casa». 

(Karen Blixen, Capricci del destino)


Luciano Floridi rintraccia nella componente relazionale dell’uomo la sua chiave di lettura più affidabile. Ha ragione nel dire che la felicità è incomprensibile senza l’altro. Abbiamo bisogno di relazioni per poter cogliere una profondità del reale più grande dei semplici ragionamenti. La felicità è una pienezza che si dà solo e soltanto quando è condivisa, diversamente ci marcisce dentro come il suo contrario, come un’angoscia insopportabile.

Mi torna alla mente un episodio della vita di Goethe: è il 1786 e Goethe, a 37 anni, intraprende il suo primo viaggio in Italia che durerà ben due anni. Arrivato ad Affi, piccolo comune della provincia di Verona con una vista mozzafiato sul Lago di Garda, ammira da quell’altezza un paesaggio di struggente bellezza: il lago di Garda è un immenso blu che dialoga con l’orizzonte stesso del cielo. È sopraffatto da quella visione tanto che fa fermare il cocchiere per scendere e sostare davanti ad essa. Un istante dopo tutta quella bellezza lo trafigge all’idea di non avere nessuno con cui condividerla, un amico, una donna, qualcuno di caro.

Se la felicità si dà solo nel gesto di condivisione e mai in un atteggiamento di autosufficienza allora, così come fa Floridi, bisogna avere il coraggio di portare questo ragionamento sino all’estreme conseguenze. Se non esiste un’alterità che trascende l’umanità nella sua totalità, allora il doversi accontentare di un “noi” autosufficiente trasforma la felicità in qualcosa di inaffidabile, e proprio per questo di menzognero. Ne consegue che dopo un simile ragionamento anche le piccole felicità perderebbero di consistenza perché collocate in un orizzonte senza senso. Se siamo soli, e non c’è altro fuori dal “noi”, allora ciò significa che la felicità vera esiste come un’ipotesi che però non si dà mai in maniera radicale nella realtà. Ma la fede in questa trascendenza è come il coraggio di manzoniana memoria, se uno non ce l’ha non può darsela da solo attraverso una serie di ragionamenti più convincenti.

Vorrei proprio per questo offrire una breve alternativa alla profonda riflessione di Floridi. Tutto ciò che esiste, che è reale, ed è essenziale alla vita, ha nell’uomo una corrispondenza a cui abbiamo dato il nome di “bisogno”. Ad esempio l’acqua, che è essenziale alla vita, ha nell’uomo una corrispondenza nella sete, cioè nel “bisogno” dell’acqua; ugualmente il cibo nella fame, e così via. Ma la vita umana vive di cose essenziali alla vita che esulano le mere cose materiali. La vita umana ad esempio per essere umana ha bisogno di amore, ne sente l’esigenza, anzi la sua mancanza è ciò che molte volte guida la vita stessa. Solo quando una persona è nelle condizione di amare, di aver trovato cioè l’amore come esperienza, solo allora percepisce la vita come significativa.

Quando la filosofia greca diceva laicamente che ogni vita è ordinata a uno scopo in realtà ci suggeriva che non può darsi nessuna vita senza uno scopo, la sua mancanza è la radice di ogni inquietudine umana. Portando lo stesso ragionamento sul piano della felicità dovremmo dire che se anche il nostro semplice ragionamento non riesce a concepire nulla fuori dal mondo come fondamento di ogni felicità, il fatto stesso di sentirne il bisogno, lancia nel buio dei nostri ragionamenti limitati un bagliore di luce. Un agnostico può non avere nessuna prova della trascendenza, ma il suo bisogno può rappresentare un’evidenza in forma negativa, un’affermazione in forma di mancanza. Abbiamo le prove che ci manca Dio, e non è forse proprio questa evidente mancanza il primo tassello di una probabile sua esistenza come realtà? Potremmo provare il bisogno di una cosa che non esiste? Non sarebbe irragionevole l’esistenza di un bisogno che non è ordinato a una qualche realtà?

Questo ragionamento non fonda la fede, semplicemente però non la considera poi così irragionevole, e proprio per questo ci si può ribellare a ogni tentativo di accontentarsi per coltivare invece un sano desiderio di essere felici in pienezza.

di Luigi Maria Epicoco


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