Il magistero

epa09901966 A volunteer picks up plastic waste and other forms of litter during a beach clean-up ...
28 aprile 2022

Sabato 23

Quello sguardo di chi soffre
per la guerra

Ringrazio il Signore per l’opera del Cardinale Suenens e di Veronica O’Brien, che prosegue nel vostro apostolato... Siete impegnati a condividere il Vangelo con ogni persona che la Provvidenza mette sul vostro cammino.

Siamo tutti interpellati ad essere protagonisti di una Chiesa in uscita, sotto l’impulso dello Spirito.

Il mondo diventa sempre più secolarizzato. Questo va avanti in modo accelerato e abbiamo bisogno di discepoli convinti nella loro professione di fede e capaci di trasmettere la fiamma della speranza.

Le tragedie che viviamo, particolarmente la guerra nell’Ucraina, richiamano l’urgenza di una civiltà dell’amore.

Nello sguardo dei nostri fratelli e sorelle vittime degli orrori della guerra, leggiamo il bisogno pressante di una vita improntata alla dignità, alla pace e all’amore.

Come Maria, dobbiamo coltivare lo spirito missionario per farci prossimi di coloro che soffrono... camminare con loro, lottare per la loro dignità.

La nostra casa comune è scossa da molteplici crisi. Non dobbiamo avere paura; le crisi ci purificano, ci fanno uscire migliori.

Costruire un’umanità, una società di relazioni fraterne. Essere testimoni della misericordia, della tenerezza di Dio.

Vi esorto a dare, con le parole, le azioni un messaggio forte al mondo, così povero di umanità.

Possiate attingere, con la preghiera e con la missione stessa, alla sorgente della bontà e della verità, e trovare nella comunione con Cristo la forza di vedere il mondo con uno sguardo positivo, d’amore, di speranza, di compassione e di tenerezza, con speciale attenzione per le persone svantaggiate ed emarginate.

(Al simposio promosso dall’associazione “Fiat”
sulle orme del cardinale Suenens)

Rialzati
prenditi cura
e testimonia

La missione è giorno dopo giorno, non una volta per sempre; si deve vivere ogni giorno. Vorrei consegnarvi tre verbi... Li ritrovo in passi del Nuovo Testamento, che vedono in azione Gesù e i discepoli: rialzati, prenditi cura e testimonia.

Esprimono movimenti che mi auguro possano sostenere il vostro percorso.

Il primo è tratto dall’episodio del Vangelo di Luca in cui Gesù ridà vita al figlio della vedova di Nain.

Gesù arriva in questa cittadina e vede un corteo funebre; una madre vedova accompagna la bara del figlio;

Gesù si interessa del dolore degli ultimi, di chi soffre spesso in modo composto e dignitoso, di chi ha perso la speranza, di chi non vede più un futuro.

La morte di un figlio significava la perdita di tutto.

Gesù si avvicina alla bara e la tocca. Non gli interessa se questo contatto lo può rendere impuro, come diceva la Legge.

Mettiamo l’immaginazione: davanti alla bara di questo ragazzo come voi: “Dico a te: alzati!”. Ridare vita a questo ragazzo significa restituire il futuro alla madre e alla comunità.

Gesù ci dà la forza per alzarci e ci chiede di sottrarci alla morte del ripiegamento su noi stessi, alla paralisi dell’egoismo, della pigrizia, della superficialità.

Queste paralisi sono un po’ dappertutto... ci bloccano e ci fanno vivere una fede da museo, più morta che viva.

Gesù per risolvere questo atteggiamento brutto, dice: “Alzati!”. “Alzatevi!” verso un futuro carico di speranza e carità.

Un altro aspetto si trova nel brano del Buon Samaritano. Poche pennellate per descrivere il prendersi cura, vivere la carità in modo dinamico.

Oggi abbiamo bisogno di giovani, che abbiano occhi per vedere le necessità dei più deboli e un cuore grande che li renda capaci di spendersi totalmente.

Siete chiamati a mettere a frutto le vostre competenze e mettere a servizio la vostra intelligenza, per organizzare la carità.

Tocca a voi, ma non siete i primi! Quanti “buoni samaritani” hanno vissuto la missione prendendosi cura dei fratelli e delle sorelle feriti lungo la strada!

Sulle loro orme, con lo stile e le modalità adatte al nostro tempo, adesso tocca a voi realizzare una carità non episodica ma continua, capace di accompagnare nel cammino di guarigione e crescita.

Infine, un terzo aspetto si trova in un episodio degli Atti degli Apostoli.

Dopo la risurrezione, Gesù ai discepoli dice: «Riceverete la forza dallo Spirito e di me sarete testimoni... fino ai confini della terra».

Ogni cristiano battezzato è chiamato a vivere immerso in una Pasqua perenne, a vivere da risorto. Non come un morto!

Questo dono non è per noi soltanto, ma è destinato a essere condiviso.

Niente assegni in bianco

Un’esperienza della fede bella e arricchente, che sa anche affrontare le inevitabili resistenze della vita, diventa quasi naturalmente convincente.

Quando qualcuno racconta il Vangelo con la vita, fa breccia nei cuori più duri.

Quello che non dà testimonianza, che fa finta, è come uno che ha qualche assegno in mano ma non mette la firma. “Ti regalo questo”: non serve a nulla.

Testimoniare è mettere la firma sulle proprie ricchezze, sulle proprie qualità, sulla propria vocazione.

Una frase di sant’Óscar Romero: «Quanto più un uomo è felice, tanto più si manifesta in lui la gloria di Cristo».

L’annuncio va fatto col sorriso, non con la tristezza. San Paolo vi nell’Evangelii nuntiandi dice che è una cosa brutta vedere evangelizzatori tristi, melanconici.

L’annuncio va fatto non con il sorriso professionale o quello che fa la pubblicità. Quello non serve. Va fatto con il cuore.

(Al Convegno missionario giovani, promosso
dalla fondazione “Missio” della Cei
)

Le lacrime
di Maria

Le lacrime di Maria sono un riflesso delle lacrime di Gesù, che ha pianto sulla tomba di Lazzaro e davanti a Gerusalemme. In entrambi i casi lacrime di dolore.

Ma possiamo immaginare che Gesù abbia pianto pure di gioia, ad esempio quando vedeva i piccoli, gli umili del popolo accogliere con entusiasmo il Vangelo.

Maria, la Madre, è la prima discepola... Ha seguito il Figlio in tutto, anche nel riso e nel pianto.

Dai suoi occhi scesero lacrime di gioia quando diede alla luce Gesù e vide i pastori e i Magi prostrarsi davanti a Lui.

E pianse lacrime amare quando lo seguiva lungo la via dolorosa e sotto la croce.

Le lacrime di Maria sono state trasformate dalla grazia di Cristo. Perciò le lacrime della Madonna sono un segno della compassione di Dio, che perdona sempre; sono un segno del dolore di Cristo per i nostri peccati, per il male che affligge l’umanità, specie i piccoli e gli innocenti, che sono coloro che soffrono.

Le lacrime di Maria sono anche segno del pianto di Dio per le vittime della guerra che sta distruggendo non solo l’Ucraina; sta distruggendo tutti i popoli coinvolti.

Perché la guerra non solo distrugge il popolo sconfitto; distrugge anche il vincitore e coloro che la guardano con notizie superficiali per vedere chi è il vincitore.

Non dobbiamo vergognarci di piangere, anzi, i santi ci insegnano che le lacrime sono un dono, una grazia, un pentimento, una liberazione.

Piangere vuol dire rompere il guscio di un io chiuso in sé stesso e aprirsi all’Amore che sempre ci attende per perdonarci.

Aprirsi al Padre e anche ai fratelli. Lasciarsi intenerire, commuovere dalle ferite di chi incontriamo; saper accogliere, gioire con chi gioisce e piangere con chi piange.

Noi abbiamo perso l’abitudine di piangere “bene”.

Piangiamo quando succede qualcosa che ci tocca. Ma il pianto che viene dal cuore, vero come quello di Pietro quando si pentì, come quello della Madonna... La nostra civiltà, i nostri tempi, hanno perso il senso del pianto.

La grazia
di piangere

Dobbiamo chiedere la grazia di piangere davanti alle cose che vediamo... non solo le guerre, ma i vecchi scartati, i bambini scartati anche prima di nascere.

Tanti drammi: quel povero che non ha da vivere; le strade piene di persone senza fissa dimora. Le miserie del nostro tempo dovrebbero farci piangere.

C’è una Messa nella Liturgia cattolica per chiedere il dono delle lacrime. La preghiera dice: “Signore, Tu che hai fatto uscire dalla roccia l’acqua, fa’ che dalla roccia del mio cuore sgorghino le lacrime”.

È importante che il nostro io non sia chiuso... lasciarsi intenerire, commuovere dalle ferite di chi incontriamo.

“Madonna delle Lacrime”... In questo titolo c’è tutta una pastorale della tenerezza, della compassione, della vicinanza. Questo è lo stile di Dio.

Uno stile pastorale che riguarda tutti: preti, diaconi, fedeli laici, consacrati. E tutte le età, tutte le stagioni della vita.

(Al pellegrinaggio della comunità pastorale “Madonna delle lacrime” di Treviglio, Bergamo)

Domenica 24

Pace
per il Camerun

Oggi i Vescovi del Camerun compiono con i fedeli un pellegrinaggio nazionale al Santuario mariano di Marienberg, per riconsacrare il Paese alla Madre di Dio.

Pregano per il ritorno della pace nel Paese, da più di cinque anni, in varie regioni, lacerato dalle violenze.

Dio conceda una pace vera e duratura.

(Regina caeli in piazza San Pietro)

Lunedì 25

Promuovere
la cultura
dell’incontro

La fede cristiana è un incontro con Cristo. Se crediamo, dobbiamo comportarci come Gesù: incontrare chi ci sta accanto per condividere la verità del Vangelo.

Come cristiani, siamo fatti in modo che non possiamo vivere, crescere e realizzarci se non nel dono sincero di noi agli altri.

Costruire una cultura dell’incontro al servizio di Dio ci impegna personalmente.

Si tratta non semplicemente di vedere, ma di guardare; non di sentire, ma di ascoltare; non basta incontrare o passare accanto alle persone, ma occorre fermarsi per impegnarsi con loro.

È esaltante, perché condividiamo il viaggio con gli altri, ci sosteniamo a vicenda nella ricerca della verità e ci sforziamo di tessere una rete di relazioni che possa rendere la vita «una esperienza di fraternità, una carovana solidale».

Ognuno possa farsi promotore di questa cultura dell’incontro nell’ambiente universitario e contribuire a tenere vive le nobili tradizioni irlandesi di ospitalità, riconciliazione, fedeltà al Vangelo e perseveranza.

(A studenti irlandesi della cappellania cattolica
della Queen’s University di Belfast)

Mercoledì 27

La giovinezza
ridà
entusiasmo
agli anziani

Oggi ci lasceremo ispirare dalla parabola di Rut [che] illumina la bellezza dei legami famigliari, nei quali si irradia la perfezione di quel poliedro degli affetti fondamentali che formano la grammatica famigliare dell’amore.

Il libro di Rut celebra la potenza e la poesia che devono abitare i legami di generazione, di parentela, di fedeltà che avvolgono l’intera costellazione famigliare. E diventano capaci, nelle congiunture drammatiche della vita, di portare una forza d’amore inimmaginabile.

I luoghi comuni sui legami creati dal matrimonio, soprattutto fra suocera e nuora, parlano contro questa prospettiva.

Ma per questo, la parola di Dio diventa preziosa. L’ispirazione della fede sa aprire un orizzonte di testimonianza in controtendenza rispetto ai pregiudizi.

Il libro di Rut contiene un prezioso insegnamento sull’alleanza delle generazioni: dove la giovinezza si rivela capace di ridare entusiasmo all’età matura.

E dove la vecchiaia si scopre capace di riaprire il futuro per la giovinezza ferita.

Noemi e Rut,
e il legame tra suocera e nuora

In un primo momento, l’anziana Noemi, pur commossa per l’affetto delle nuore vedove dei suoi due figli, si mostra pessimista. Incoraggia le giovani a ritornare nelle loro famiglie per rifarsi una vita.

Questo appare un atto d’amore: la donna anziana, senza marito e senza più figli, insiste perché le nuore la abbandonino.

Rut resiste a questa offerta, non vuole andarsene. Il legame fra suocera e nuora è stato benedetto da Dio.

Noemi appare più rassegnata che felice: pensa che questo legame aggraverà il rischio per entrambe.

In certi casi, la tendenza dei vecchi al pessimismo ha bisogno di essere contrastata dalla pressione affettuosa dei giovani.

Noemi, commossa dalla dedizione di Rut, uscirà dal suo pessimismo e prenderà l’iniziativa. Istruisce e incoraggia la vedova di suo figlio a conquistarsi un nuovo marito in Israele.

Booz, il candidato, mostra la sua nobiltà, difendendo Rut dagli uomini suoi dipendenti. Purtroppo, è un rischio che si verifica anche oggi.

Il nuovo matrimonio di Rut si celebra e i mondi sono di nuovo pacificati. Le donne di Israele dicono a Noemi che Rut, la straniera, vale “più di sette figli” e che quel matrimonio sarà una “benedizione”.

Noemi, che diceva che il suo nome è amarezza, nella vecchiaia conoscerà la gioia.

Quanti “miracoli” accompagnano la conversione di questa anziana donna [che] si rende disponibile per il futuro di una generazione ferita dalla perdita e a rischio di abbandono.

Fede e amore
superano
i pregiudizi

I fronti della ricomposizione sono gli stessi che, in base alle probabilità disegnate dai pregiudizi dovrebbero generare fratture.

Invece la fede e l’amore consentono di superarli: la suocera supera la gelosia per il figlio, amando il nuovo legame di Rut; le donne di Israele superano la diffidenza per lo straniero (e se lo fanno le donne, tutti lo faranno); la vulnerabilità della ragazza sola, di fronte al potere del maschio, è riconciliata con un legame d’amore e rispetto. E questo perché Rut si è ostinata a essere fedele a un legame esposto al pregiudizio etnico e religioso.

Rispetto per le donne anziane

Oggi la suocera è un personaggio mitico: non dico che la pensiamo come il diavolo, ma come una brutta figura. Ma è la mamma di tuo marito, di tua moglie.

Pensiamo a questo sentimento un po’ diffuso che la suocera tanto più lontano meglio è. No! È madre, è anziana. Una delle cose più belle delle nonne è vedere i nipotini.

E se hanno qualche difetto bisogna aiutarle a correggersi.

Anche a voi suocere dico: state attente con la lingua, perché è uno dei peccati più brutti.

Se i giovani si aprono alla gratitudine per ciò che hanno ricevuto e i vecchi prendono l’iniziativa di rilanciare il loro futuro, niente potrà fermare la fioritura delle benedizioni di Dio!

(Udienza generale in piazza San Pietro)