Il cardinale Parolin nel 30° del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Messico

Aprire nuovi spazi di dialogo e di collaborazione istituzionale

 Aprire nuovi spazi di dialogo   e di collaborazione istituzionale  QUO-096
28 aprile 2022

A trent’anni dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche, il Messico e la Santa Sede guardano «insieme al futuro, condividendo gli stessi valori di pace, fraternità, giustizia sociale e rispetto dei diritti umani, per raggiungere lo stesso obiettivo: il bene comune del popolo messicano». Lo ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin durante l’incontro accademico e commemorativo della ricorrenza anniversaria, svoltosi martedì 26 aprile, nell’antico palazzo della Escuela de Medicina, a Città del Messico, dove il segretario di Stato si trova in visita da giovedì 21.

Alla presenza di Marcelo Ebrard Casaubón, segretario di Stato per gli Affari esteri, dell’arcivescovo Rogelio Cabrera López, presidente della Conferenza episcopale, e dei vescovi del Paese, il porporato ha tenuto un’articolata relazione sul tema «Laicità positiva e libertà religiosa: una visione contemporanea», facendo riferimento alle riforme costituzionali che hanno permesso il riconoscimento legale delle Chiese da parte dello Stato messicano. «Ricordo con emozione — ha detto — il mio servizio come giovane sacerdote assegnato alla delegazione apostolica in Messico tra il 1989 e il 1992», ma anche «l’intensa attività della Conferenza episcopale messicana, delle autorità civili e di coloro che, a nome della Santa Sede, in particolare il nunzio, monsignor Girolamo Prigione, hanno cercato di aiutare l’inizio di un nuovo cammino nella storia del Paese».

La Chiesa cattolica, ha evidenziato il porporato, è «in prima linea per servire tutta la popolazione nei diversi ambiti della sua azione pastorale di evangelizzazione: tra gli altri, la dimensione liturgica e catechetica, la dimensione della carità e della salute, la dimensione culturale ed educativa». Infatti, il cristianesimo non è semplicemente «un culto che riguarda la sfera privata di una persona, ma una fede che trasforma il modo di interagire nella vita e nella società». Nel corso dei secoli, ha aggiunto, il Vangelo «ha ispirato la filosofia, la politica, il diritto e l’economia». Il segretario di Stato ha poi fatto riferimento ad alcuni contributi della dottrina cristiana che «sono alla base di vari programmi politici ed economici nelle società democratiche attuali». Tutto ciò mostra che la Chiesa cattolica è una collaboratrice preziosa degli Stati in cui «esercita la sua attività pastorale per la promozione dell’armonia sociale e la ricerca del bene comune».

In questo senso, la laicità “positiva” consiste proprio «nel superare la tentazione di possibili incomprensioni tra lo Stato e la Chiesa e nel riconoscere reciprocamente il ruolo e i valori che ciascuno è chiamato a offrire nella società». Da qui l’invito a guardare al futuro, continuando a preparare «insieme meccanismi di cooperazione per servire tutto il popolo messicano, cominciando dai più bisognosi». Affinché la Chiesa possa svolgere la sua funzione pastorale, ha bisogno che lo Stato «garantisca la libertà religiosa, che è un diritto umano fondamentale», in quanto «non solo protegge i diritti dei credenti ma anche dei non credenti di vivere in piena libertà, individualmente o in associazione, nella vita privata o nello spazio pubblico, secondo le loro convinzioni sul senso ultimo della vita».

Il cardinale ha ricordato che alle origini della nazione messicana erano presenti «dinamiche diverse e persino opposte, che non erano facili da discernere o da risolvere all’epoca». L’espansione della corona spagnola con mezzi militari coesisteva «contemporaneamente con l’evangelizzazione degli indigeni, cioè con la proclamazione della potenza dell’amore di Gesù Cristo, che offriva a tutti le vie della libertà». Allo stesso tempo, la fiducia che gli aztechi avevano riposto negli europei, «immaginando che questi avrebbero realizzato le loro antiche profezie», si era mescolata «con l’opportunità per altri popoli indigeni di sfuggire alle forme di dominazione e sottomissione a cui erano sottoposti».

All’inizio di questo complicato processo di incontro «con mondi ugualmente religiosi e fedeli alle loro credenze, ma disuguali per visione del mondo, risorse e cultura, in alcune occasioni non solo fiorirono abusi e maltrattamenti nei confronti dei conquistati, ma anche un netto rifiuto delle culture indigene e una mancanza di comprensione dei loro valori profondi». Ciò portò alla «resistenza e persino al rifiuto dell’evangelizzazione da parte di alcuni indigeni, secondo la testimonianza di alcuni cronisti». In questa situazione difficile e contraddittoria, «non mancarono evangelizzatori coraggiosi che difesero la dignità e i diritti umani di tutti».

È interessante notare che «il primo trampolino di lancio, la prima premessa per introdurre un’ipotesi diversa, basata sull’amore per la libertà e la dignità di tutti, non è venuta da una strategia pastorale o politica più o meno accorta». Quello che dal punto di vista umano sembrava portare «a un’altra forma di colonizzazione e di sottomissione, prese una piega inaspettata grazie alle miracolose apparizioni di santa Maria di Guadalupe a san Juan Diego nel 1531. In esse, il Vangelo viene proclamato in una logica diversa da quella delle forze della corona». Infatti, ha ricordato il cardinale Parolin, un fedele laico, marginale e indigeno è stato scelto dalla Vergine per portare la buona notizia al vescovo. Del resto, nel messaggio guadalupano «non ci sono rimproveri o minacce», né «imposizione o violenza»; al contrario, «una grande tenerezza e pazienza che assume i linguaggi e i segni propri della cultura pre-ispanica si propone come metodo». Per questo si dice spesso che «nel volto meticcio della Vergine del Tepeyac» c’è «un grande esempio di evangelizzazione perfettamente inculturata». A tale proposito, il porporato ha ricordato le parole dei vescovi messicani: «Non è stata né la violenza della spada né la conversione forzata, ma la misteriosa attrazione di Maria di Guadalupe che ha portato entrambi i popoli e le culture, spagnoli e indios, a un nuovo modo di comprendersi e relazionarsi a partire dalla fede in Gesù Cristo già presente nella Chiesa nascente di questo continente».

Successivamente, il pensiero, l’opera e la testimonianza di Bartolomé de Las Casas, Vasco de Quiroga, Toribio de Benavente “Motolinía”, san Junípero Serra e molti altri «contribuirono enormemente non solo alla creazione di proposte integrali di liberazione e promozione umana, ma anche all’integrazione dei popoli in una nuova comprensione del mondo». Tutto questo è stato fatto in parallelo «con la creazione di un nuovo diritto internazionale che assunse come principio fondamentale l’uguale dignità di tutti come persone, il riconoscimento internazionale del valore di ogni popolo e della sua cultura, e i semi per immaginare un’autorità politica che custodisca il bene comune globale». Anche oggi, in Messico, la Chiesa e lo Stato sono chiamati a essere «un esempio per gli altri Paesi, per mostrare che è possibile superare l’estremismo e la polarizzazione, creando sempre più una cultura di fraternità, libertà, dialogo e solidarietà».

Trent’anni — tanti ne sono trascorsi dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra il Messico e la Santa Sede, e dal riconoscimento dello status giuridico della Chiesa cattolica nel Paese — «sono molti nella vita di una persona, ma sono molto pochi nel corso della storia». Forse, ha affermato il segretario di Stato, è «prematuro oggi fare un bilancio, ma consapevoli del lungo e complesso cammino storico compiuto in Messico nelle relazioni tra Stato e Chiesa, è importante guardare al futuro aprendo nuovi spazi di dialogo e collaborazione istituzionale». Ci sono, ha fatto notare, molte questioni internazionali che «richiedono una nuova promozione del multilateralismo a favore di una politica internazionale al servizio dell’uomo e del bene di tutti i popoli». Da parte sua, la Santa Sede ribadisce «la sua piena disponibilità a offrire il suo contributo alla pace e al bene di tutti. Sono sicuro — ha sottolineato — che anche lo Stato messicano potrà offrire le sue capacità e la sua creatività per promuovere una sempre migliore collaborazione nella dimensione pubblica della società civile messicana e nell’ambito internazionale». I grandi temi fondamentali come la pace, lo sviluppo umano integrale, la fraternità tra i popoli e «una visione inclusiva del mondo in cui viviamo — è stato il suo auspicio — saranno i catalizzatori che ci permetteranno di valutare nei prossimi anni il cammino compiuto fino a qui e le speranze di tante persone di buona volontà».