Il cardinale Parolin in Messico per il trentennale del ristabilimento delle relazioni diplomatiche

Il nunzio apostolico è un costruttore di ponti

 Il nunzio apostolico è un costruttore di ponti  QUO-095
27 aprile 2022

Quelli di oggi sono «tempi difficili», segnati «da varie ideologie e interessi di vario tipo che sembrano voler soppiantare i veri valori evangelici». Innumerevoli donne e uomini «continuano a soffrire di discriminazione, corruzione e mancanza di giustizia. Sono tutti volti che, soprattutto in questi giorni, abbiamo potuto vedere riflessi nel Volto del Crocifisso». Lo ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin durante la concelebrazione eucaristica presieduta lunedì pomeriggio, 25 aprile, nella basilica di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico, in occasione dell’apertura dell’assemblea plenaria dei vescovi e dell’incontro ecclesiale del Paese latinoamericano. Tra i concelebranti, monsignor Rogelio Cabrera López, arcivescovo di Monterrey e presidente della Conferenza episcopale messicana, e il cardinale Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di México.

Giunto in visita nel Paese giovedì 21, per le celebrazioni del trentesimo anniversario del ristabilimento delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede, il segretario di Stato ha celebrato la messa nella basilica mariana della capitale, offrendo ai presenti una riflessione calata nella vita quotidiana delle comunità e delle singole persone. «Il Signore — ha detto — ci chiama a prendere impegni, a rafforzare l’unità in tutti gli ambiti della nostra esistenza, a saper vedere e fare scelte utili ed efficaci per raggiungere il bene comune».

Il porporato ha fatto notare che l’appartenenza alla Chiesa non esclude quella alla comunità civile». Si tratta di una realtà che non può «non spingerci a guardare e considerare con attenzione e determinazione il presente e il futuro», per offrire a tutti «i frutti della nostra fede e della nostra speranza, del nostro impegno e della nostra fatica, della nostra coerenza e della nostra fedeltà»: in una parola, «del nostro essere veramente misericordiosi verso gli esseri umani e verso il mondo intero».

Ricordando il mandato che il Signore ha affidato ai suoi apostoli di andare in tutto il mondo a proclamare la buona novella a ogni creatura, il porporato ha sottolineato che si deve annunciare Gesù Cristo risorto, via, verità e vita, non solo a Gerusalemme, né solo nel proprio ambiente o territorio, ma a tutti e dappertutto; anche lì, soprattutto, dove sono oggi gli uomini e le donne più bisognosi. Occorre «andare incontro a tutti — ha aggiunto — alla maniera di Dio, cioè come ci ricorda san Pietro, rivestiti di umiltà e di grazia». Da qui l’invito a umiliarsi sotto la mano potente di Dio, ad affidare a lui ogni preoccupazione. Come gli apostoli che, «comprendendo la volontà del Risorto, la accettarono e andarono a predicare, sostenuti dalla grazia del Signore che confermava la sua parola con i segni che accompagnavano l’annuncio». Anche oggi, quando «la fatica e il dolore bussano forte alle porte della vita — ha assicurato Parolin — è e sarà il Signore a confortarci, a darci la forza di uscire, di camminare e di andare avanti».

Il giorno precedente, domenica 24, festa della Divina misericordia, il segretario di Stato aveva celebrato la messa nella cattedrale della capitale messicana. In quell’occasione aveva invitato a lasciarsi riempire dalla pace di Cristo e abbracciare dall’infinita misericordia del Padre. Il cardinale aveva poi fatto notare che Cristo invita, anzi, «ci supplica, di guardare e trattare il mondo e ogni essere umano con vero amore», di essere «misericordiosi con tutti e con ciascuno, di imparare a perdonare». Misericordia, amore, perdono, senza tuttavia chiudere gli occhi di fronte all’ingiustizia nè indulgere a «chi cerca i propri interessi personali, ideologici o di gruppo». Non si tratta infatti di rinunciare «alla propria capacità di analisi critica, né di astenersi dal denunciare ciò che è ingiusto o dannoso»; si tratta invece di guardare la realtà con un «cuore compassionevole per collaborare in modo solidale e coraggioso al cambiamento verso ciò che è veramente buono per tutti e per ciascuno».

Sabato 23, nella cappella del seminario di Autlán, alla vigilia della festa della Divina misericordia, il cardinale aveva presieduto l’ordinazione episcopale di monsignor Javier Herrera Corona, nominato da Papa Francesco nunzio apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon, e allo stesso tempo elevato alla dignità di arcivescovo titolare di Vulturara. Durante l’omelia, il porporato aveva sottolineato che il «dono dello Spirito, la pienezza del sacerdozio e il potere di insegnare, santificare e governare la porzione di popolo di Dio affidata» richiedono una «risposta generosa, coraggiosa e coerente». Rivolgendosi al neo vescovo, il segretario di Stato lo aveva invitato a coltivare la «relazione personale con il Signore», che «sarà la tua più grande forza e consolazione, il porto sicuro a cui tornare e da cui ripartire per evitare il pericolo del naufragio e per discuterne tutto alla luce del Vangelo, con mente aperta e saggia prudenza». Si tratta di proporre Cristo, in armonia con tutta la Chiesa e in obbedienza al Papa, che ha ricevuto dal Signore il sicuro carisma di unità e discernimento; di diventare, «con la propria condotta di vita, un testimone credibile dell’amore di Dio per il suo popolo e per ogni essere umano che l’infinita misericordia di Dio vuole salvare»; di agire in modo che «i carismi e i doni degli individui e dei gruppi trovino una sintesi efficace che non soffochi la creatività e le buone iniziative che lo Spirito risveglia in ciascuno, ma le coordini e le armonizzi». In questo modo la Chiesa, «illuminata dalla luce che viene da Cristo e armoniosamente adornata di una bellezza multiforme, non si ritirerà in se stessa, ma risplenderà nella sua vita fraterna e sarà sempre nuova e attraente».

Ai compiti che sono propri di ogni vescovo, il rappresentante pontificio ne aggiunge altri che sono specifici e propri. Il nunzio apostolico è infatti «un costruttore di ponti, un “pontefice” in un senso molto speciale». Ogni sacerdote porta «l’essere umano in relazione con Dio, fa da ponte tra l’umano e il divino affinché la comunicazione reciproca non si interrompa». Ogni anima consacrata parla a Dio dell’uomo e all’uomo di Dio, «intercede presso Dio per il popolo, insegna e ammonisce a rispettare la legge di Dio, che non è una legge che opprime e rende schiavi ma una legge di salvezza e di autentica liberazione, perché libera dal peccato, fonte di ogni schiavitù».

Se ogni prete, ogni vescovo è dunque un “pontefice”, il nunzio è, in particolare, «un ponte tra il Papa e la Santa Sede e gli Stati e le organizzazioni internazionali». Egli è anche un ponte «tra la Chiesa universale e ogni Chiesa particolare». Farà quindi conoscere «i principali orientamenti della dottrina sociale della Chiesa e del magistero dei Papi sulla difesa della vita umana in ogni sua fase, dal concepimento alla morte naturale», mostrerà la preoccupazione del Papa per «il deterioramento delle condizioni ambientali e climatiche di tutto il pianeta, fonte di squilibri e rischi per l’umanità», e agirà in ogni contesto «per promuovere la comprensione e la pace tra le nazioni», che «è sempre in pericolo a causa delle ingiustizie e dell’avidità che l’egoismo umano non cessa di suscitare». D’altra parte, il nunzio apostolico, «coltivando buone relazioni con le diocesi e i loro vescovi, conoscendo i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici e in generale il popolo di Dio, sarà nella posizione migliore per informare la Santa Sede sulla vita delle Chiese, sulle loro qualità particolari, sulle loro peculiarità e sulle questioni e problemi aperti che, anche nei momenti più sereni, non mancano mai».