Omelia del cardinale Cantalamessa nella celebrazione della Passione presieduta dal Papa nella basilica Vaticana

Testimoni della verità in un mondo dove tutto è passeggero

 Testimoni della verità  in un mondo dove tutto è passeggero  QUO-088
16 aprile 2022

Nel pomeriggio di ieri 15 aprile, Venerdì santo, Papa Francesco ha presieduto nella basilica Vaticana la celebrazione della Passione del Signore. Dopo la proclamazione del Vangelo di Giovanni (18, 1 - 19, 42), il cardinale cappuccino predicatore della Casa pontificia ha pronunciato l’omelia — sul tema «Pilato disse: cos’è la verità» — che pubblichiamo di seguito.

Nel racconto della Passione, l’evangelista Giovanni dà un’importanza particolare al dialogo di Gesú con Pilato ed è su di esso che vogliamo riflettere qualche minuto, prima di procedere oltre con la nostra liturgia.

Tutto inizia con la domanda di Pilato: «Sei tu il re dei Giudei?» (Gv 18, 33). Gesù vuole far capire a Pilato che la domanda è più seria di quanto egli creda, ma che ha un significato solo se non ripete semplicemente una accusa altrui. Perciò domanda a sua volta: «Dici ciò da te stesso, o altri te l’hanno detto di me?».

Cerca di condurre Pilato a una visuale superiore. Gli parla del suo regno: un regno che «non è di questo mondo». Il procuratore capisce solo una cosa: che non si tratta di un regno politico. Se si vuole parlare di religione, lui non vuole entrare in questo genere di questioni. Domanda perciò con una punta di ironia: «Dunque, tu sei Re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re» (Gv 18, 37).

Dichiarando di essere re, Gesù si espone alla morte; ma invece di discolparsi negando, lo afferma con forza. Lascia trapelare la sua origine superiore: «Sono venuto nel mondo…»: dunque misteriosamente esisteva prima della vita terrena, viene da un altro mondo. Egli è venuto sulla terra per essere testimone della verità. Tratta Pilato come un’anima che ha bisogno di luce e di verità e non come un giudice. Si interessa al destino dell’uomo Pilato, più che al suo personale. Con il suo appello a ricevere la verità vuole indurlo a rientrare in se stesso, a guardare le cose con occhio diverso, a porsi al di sopra della contesa momentanea con i giudei.

Il procuratore romano coglie l’invito che Gesù gli rivolge, ma circa questo genere di speculazioni è scettico ed indifferente. Il mistero che intravede nelle parole di Gesù gli fa paura e preferisce terminare la conversazione. Mormora perciò tra sé, scrollando le spalle: «Cos’è la verità?», ed esce dal Pretorio.

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Quanto è attuale questa pagina del Vangelo! Anche oggi, come in passato, l’uomo non cessa di domandarsi: «Cos’è la verità?». Ma, come Pilato, volta distrattamente le spalle a colui che ha detto «Sono venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità» e «Io sono la Verità!» (Gv 14, 6).

Attraverso Internet ho seguito innumerevoli dibattiti su religione e scienza, su fede e ateismo. Mi ha colpito una cosa: ore ed ore di dialogo, senza che venga mai fatto il nome di Gesù. E se la parte credente qualche volta osava nominarlo e addurre il fatto della sua risurrezione dai morti, subito si cercava di chiudere il discorso come non pertinente al tema. Tutto avviene etsi Christus non daretur: come se nel mondo non fosse mai esistito un uomo chiamato Gesù Cristo.

Qual è il risultato di ciò? La parola “Dio” diventa un contenitore vuoto che ognuno può riempire a suo piacimento. Ma, proprio per questo, Dio si è preoccupato di dare lui stesso un contenuto al suo nome: «Il Verbo si è fatto carne». La Verità si è fatta carne! Di qui lo strenuo sforzo di lasciare Gesù fuori del discorso su Dio: egli toglie all’orgoglio umano ogni pretesto per decidere, lui, cos’è Dio!

«Ah certo: Gesù di Nazareth!», si obbietta. «Ma se qualcuno dubita persino che sia esistito!» Un noto scrittore inglese del secolo scorso — conosciuto al gran pubblico per essere l’autore del ciclo di romanzi e di film Il Signore degli anelli, John Ronald Tolkien — in una lettera, dava questa risposta a suo figlio che gli faceva presente la stessa obiezione: «Occorre una stupefacente volontà di non credere per supporre che Gesù non è mai esistito o che non abbia detto lui le parole che gli vengono attribuite, tanto esse sono impossibili a inventarsi da nessun altro essere al mondo: “Prima che Abramo fosse, Io sono” (Gv 8, 58); e “Chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 9)».1

L’unica alternativa alla verità del Cristo, aggiungeva lo scrittore, è che si tratti di «un caso di demente megalomania e di una frode gigantesca». Potrebbe, però, un caso del genere, reggere a venti secoli di accanita critica storica e filosofica e produrre i frutti che ha prodotto?

Oggi si va oltre lo scetticismo di Pilato. C’è chi pensa che non si deve neppure porre la domanda «Cos’è la verità?», perché la verità, semplicemente, non esiste! «Tutto è relativo, nulla è certo! Pensare diversamente è intollerabile presunzione!». Non c’è più spazio per «le grandi narrazioni sul mondo e sulla realtà», comprese quelle su Dio e su Cristo.

Fratelli e sorelle atei, agnostici o ancora in ricerca (se ce n’è qualcuno in ascolto): non è un povero predicatore come me che ha pronunciato le parole che ora sto per dirvi. È uno che molti di voi ammirano, di cui scrivono e di cui, forse, si considerano anche discepoli e continuatori: Søren Kierkegaard, l’iniziatore della corrente filosofica dell’Esistenzialismo: «Si parla tanto — dice egli — di miserie umane; si parla tanto di vite sprecate. Ma sprecata è soltanto la vita di quell’uomo che mai si rese conto, perché non ebbe mai, nel senso più profondo, l’impressione che esiste un Dio e che egli — proprio lui, il suo io — sta davanti a questo Dio»2.

Si dice: c’è troppa ingiustizia e troppa sofferenza nel mondo per credere in Dio! È vero, ma pensiamo a quanto più assurdo e intollerabile diventa il male che ci circonda, senza la fede in un trionfo finale della verità e del bene. La Risurrezione di Gesù dai morti che celebreremo fra due giorni è la promessa e la garanzia che quel trionfo ci sarà, perché è già iniziato con lui.

Se avessi il coraggio dell’apostolo Paolo, dovrei gridare anch’io: «Vi scongiuro: Lasciatevi riconciliare con Dio!» (2 Cor 5, 20). Non “sprecate” anche voi la vita! Non uscite da questo mondo come Pilato uscì dal Pretorio, con quella domanda in sospeso: «Cos’è la verità?». È troppo importante. Si tratta di sapere se abbiamo vissuto per qualcosa, oppure invano.

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Il dialogo di Gesù con Pilato offre però l’occasione anche per un’altra riflessione, rivolta, questa volta, a noi credenti e uomini di Chiesa, non a quelli di fuori. «La tua gente e i sacerdoti ti hanno consegnato a me!»: Gens tua et pontifices tradiderunt te mihi (Gv 18, 35). Gli uomini della tua Chiesa, i tuoi sacerdoti ti hanno abbandonato; hanno squalificato il tuo nome con orrendi misfatti! E noi dovremmo ancora credere in te? Anche a questa terribile obiezione vorrei rispondere con le parole che lo stesso scrittore ricordato scriveva al figlio: «Il nostro amore potrà essere raffreddato e la nostra volontà scalfita dallo spettacolo delle deficienze, della follia, e dei peccati della Chiesa e dei suoi ministri, ma non credo che chi ha creduto davvero una volta abbandona la fede per queste ragioni, meno di tutti chi ha qualche conoscenza della storia… Ciò fa comodo perché ci spinge a distogliere lo sguardo da noi stessi e dalle nostre colpe e trovare un capro espiatorio… Penso di essere sensibile agli scandali come lo sei tu e ogni altro cristiano. Ho sofferto molto nella mia vita a causa di preti ignoranti, stanchi, deboli e a volte anche cattivi».

Un risultato del genere c’era, del resto, da aspettarselo. Cominciò prima della Pasqua con il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Simon Pietro, la fuga degli apostoli... Piangere, allora? Sì — raccomandava Tolkien al figlio —, ma per Gesú — per quello deve sopportare lui —, prima che per noi. Piangere — aggiungiamo noi oggi — con le vittime e per le vittime dei nostri peccati.

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Una conclusione per tutti, credenti e non credenti. Quest’anno celebriamo la Pasqua non al suono gioioso di campane, ma con il rumore sinistro di bombe ed esplosioni devastanti che avvengono non lontano da qui. Ricordiamo quello che rispose un giorno Gesù alla notizia del sangue fatto scorrere da Pilato, e del crollo della torre di Siloe: «Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13, 5). Se non cambiate le vostre lance in falci, le vostre spade in aratri (Is 2, 4) e i vostri missili in fabbriche e case, perirete tutti allo stesso modo!

Una cosa gli eventi recenti ci hanno improvvisamente ricordato. Gli assetti del mondo possono cambiare da un giorno all’altro. Tutto passa, tutto invecchia; tutto — non soltanto “la beata gioventù” — vien meno. C’è un solo modo di sottrarsi alla corrente del tempo che trascina tutto dietro di sé: passare a ciò che non passa! Mettere i piedi sulla terra ferma!

Pasqua significa passaggio: facciamo tutti quest’anno una vera Pasqua, Venerabili Padri, fratelli e sorelle: passiamo a Colui che non passa. Passiamo ora con il cuore, prima di passare un giorno con il corpo!

1 From the Letters of J.R.R. Tolkien, ed. Humphrey Carpenter, with Christopher Tolkien, Houghton Mifflin 1981. (trad. Ital., Rusconi, Milano 1990)

2 Søren Kierkegaard, La malattia mortale, ii , in Opere, a cura di C. Fabro, Firenze 1972, p. 633.

di Raniero Cantalamessa