Il racconto

La sete di Cristo

 La sete di Cristo  QUO-087
15 aprile 2022

Una sorta di caos calmo riempiva l’altura del Calvario. La gente era tenuta a una certa distanza ma poteva guardare quello spettacolo senza nessun ostacolo. Solo un manipolo di soldati era il più vicino ai condannati. Tra loro e la folla un gomitolo di donne abbracciate guardava verso Gesù con lacrime senza più nessuna parola. Al centro di esse la madre, Maria, e accovacciato ai suoi piedi Giovanni, il discepolo amato. Fissavano tutti Gesù, storditi da tutto quel dolore e invasi da una sensazione di infinita impotenza.

Gesù respirava a fatica ma issato su quel patibolo aveva pronunciato parole di assoluzione: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. I soldati avevano riso davanti a quel perdono non richiesto e gli gridavano contro parole blasfeme, insultandolo e denigrandolo.

I capi del popolo e i sacerdoti dicevano: “Ha fatto tanti miracoli, ne faccia uno adesso salvandosi”. Persino uno dei briganti crocifisso con lui lo insultava e gli diceva: “Se sei veramente Dio salvati! E salva anche noi”. L’altro condannato invece rimproverava il compagno per quella cattiveria dell’ultima ora: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena?  Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”.  E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. Poi alzò lo sguardo verso la propria madre e il discepolo che amava e disse: “Donna, ecco tuo figlio. Figlio ecco tua madre”. Aveva così consegnato l’unica eredità di cui disponeva.

Si sentiva così solo. Dov’era suo Padre? Dov’era quella certezza interiore che lo aveva accompagnato lungo tutta la sua vita? Sperimentava così la povertà più radicale di ogni uomo: la solitudine e il dubbio. Gli risalirono sulle labbra le parole del salmo 22 che tante volte aveva pregato come ogni pio israelita: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”.

Respirava a fatica, e la bocca era asciutta, riarsa come il deserto di Giuda. Sussurò una richiesta come spinto da un intimo istinto: “Ho sete!”. Ma cosa poteva effettivamente dissetare quella sete? Quale acqua avrebbe potuto dargli sollievo? Era usanza all’epoca dare ai condannati a morte un calice di vino con un grano di incenso sciolto dentro, così da fargli perdere coscienza, ma i soldati romani avevano con sé dell’aceto che probabilmente usavano per disinfettare l’acqua che bevevano e che consideravano una bevanda dissetante. Uno di loro bagnò una spugna e la issò su una canna per avvicinarla alle sue labbra. Gesù a quell’odore ebbe come un fremito e non volle bere. Era un gesto di tenerezza di quel soldato o scherno? Davanti a simili orrori non si riesce più a capire l’intenzione vera di un gesto. Gli amici gli dicevano “avvicinagli ancora la spugna, vediamo cosa succede!”. Ma il volto di quel centurione romano era senza nessuna smorfia, bianco come un marmo, gli occhi tristi. Avrebbe voluto sottrarsi a quel gioco perverso, ma non ne ebbe il coraggio. Si sentì guardato da Gesù e gli lesse sulle labbra queste parole: “Tutto è compiuto”. Poi Gesù facendosi forza cercò di alzare la sua testa verso il cielo e pronunciò la sua ultima professione di fede: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò. Quel soldato si sentì attraversato da un brivido di freddo e allo stesso tempo da uno strano calore. Vedendolo morire in quel modo disse: “Davvero quest’uomo era il figlio di Dio!”. Dagli occhi cominciarono a scendergli lacrime. Un suo compagno lo spinse con forza come a scuoterlo da un sonno ad occhi aperti. Lui si asciugò in fretta gli occhi, ma avvertiva che qualcosa era cambiato in lui, come un macigno che da un momento all’altro non c’era più. Sentiva il respiro, il suo corpo, i suoi pensieri, la sua stessa vita con una percezione diversa. Era accaduto tutto in pochi istanti. Si chinò sul recipiente di acqua e aceto, sulla superficie liquida vide un volto che lo guardava, chi era quell’uomo? Cercò di mettere a fuoco l’immagine, fermando il movimento ma fu un attimo, subito confuso. Eppure sentiva che qualcosa era cambiato, che era diverso. Bevve con veemenza, ma gli sembrò di avere un’altra sete e di avere bisogno di un’altra acqua.

di Luigi Maria Epicoco