Quarant’anni fa l’uscita del disco

Quel Titanic
cantato da De Gregori

 Quel Titanic  cantato  da De Gregori  QUO-085
13 aprile 2022

Era l’anno dei mondiali, quelli del 1982.

Ed era anche l’anno di Titanic, l’album—capolavoro di Francesco De Gregori, del quale cade in questo 2022 il quarantesimo anniversario della pubblicazione, che avveniva a sua volta in occasione di un’altra ricorrenza: i settant’anni del naufragio del transatlantico britannico (1912) da cui il disco prende il nome.

Ovviamente, evocata da quel tragico incidente e sedimentatasi nell’immaginario collettivo, la metafora dell’affondamento delle magnifiche sorti e progressive novecentesche, e in generale della sempre in agguato tracotanza umana, riecheggia, mutatis mutandis, anche nel lavoro del cantautore romano, che una volta ha raccontato.

«I discografici mi guardavano come un matto, come uno che non aveva capito niente; un pazzo che narrava la storia di un naufragio all’inizio di un decennio che invece propagandava il protagonismo assoluto, il rampantismo, l’essere vincenti».

Ma “i pazzi siete voi”, avrebbe potuto rispondergli, autocitandosi, De Gregori dopo l’uscita del disco, visto anche soltanto il suo successo commerciale — lentamente, ma costantemente, consolidatosi nel tempo — e, soprattutto, considerata la bellezza delle canzoni che contiene.

Delle quali solo tre, su un totale di nove, fanno esplicito riferimento al disastro navale del 1912: L’abbigliamento di un fuochista, Titanic, I muscoli del capitano. In questi testi, intonati su cadenze musicali della tradizione italiana e su ritmi sudamericani, stillano dolenti lacrime materne sul destino di figli senza domani.

Ragazzi e ragazze danzano al tempo di desideri foggiati sulle misure delle classi sociali di provenienza; l’incipiente secolo esplode come torpedine e sfreccia come palla di cannone accesa verso uno scintillante futuro.

Senza dubbio, le bellissime canzoni di Titanic hanno fornito una “lettura” suggestiva del presente di quarant’anni fa, e non solo. Nel bel libro—intervista con Antonio Gnoli Passo d’uomo, del 2016, l’artista, più di tre decenni dopo l’uscita dell’ellepì, accennando al concept che lo connota, commentava: «Molti di coloro che allora vissero quell’esperienza non sapevano nulla del funzionamento di una nave, dei motori, delle paratie stagne; non erano lì a misurare la temperatura dell’acqua e probabilmente era la prima volta che vedevano un iceberg. Improvvisamente sentirono che qualcosa gli arrivava addosso e gli stava cambiando l’esistenza. Ecco, a noi sta arrivando addosso qualcosa di cui non abbiamo mai sentito parlare. Non credo che sia sufficiente analizzare la temperatura del mare o il modo in cui si è formato il ghiaccio».

Fa un certo effetto leggere queste frasi pronunciate pochi anni prima dell’arrivo della pandemia che ha colpito il mondo.

Nella splendida collezione di brani ci sono perle come La leva calcistica del ’68 («il 1968 sarà importante perché è nato un bambino, non perché qualcuno ha pensato alla rivoluzione»), Caterina (l’amica musicista Caterina Bueno, scomparsa nel 2007, della quale «credo non sia possibile parlare veramente… se non in termini poetici») e Belli capelli («… che stanotte è notte ma verrà mattino»).

Chiude l’album un brano dedicato a un altro evento storico, il bombardamento alleato del 19 luglio 1943 sul popolare quartiere romano che gli dà il titolo, San Lorenzo.

Un pezzo delicato, “a passo d’uomo”, per pianoforte e voce.

«E un giorno credi questa guerra finirà / Ritornerà la pace e il burro abbonderà / E andremo a pranzo la domenica fuori porta a Cinecittà / Oggi pietà l’è morta / Ma un bel giorno rinascerà / E poi qualcuno farà qualcosa / Magari si sposerà».

Bello riascoltarlo oggi, questo piccolo commovente inno alla speranza.

di Paolo Mattei