Colloquio con Simona, una madre vedova, che ha scritto la Decima stazione

La Croce albero della vita

 La Croce  albero della vita   QUO-085
13 aprile 2022

Il Venerdì Santo sono le famiglie le protagoniste della Via Crucis presieduta dal Papa al Colosseo. In occasione dell’anno dedicato alla famiglia, con cui la Chiesa celebra i 5 anni dalla pubblicazione dell'esortazione apostolica Amoris laetitia, Francesco ha infatti affidato la preparazione dei testi delle meditazioni e delle preghiere ad alcuni nuclei familiari. La meditazione della decima stazione nasce dall’esperienza di una madre, rimasta vedova otto anni fa, e dei suoi due figli. Simona Spinelli, 44 anni, ha perso improvvisamente il marito, Dario, nel 2014, quando i figli, Margherita e Giovanni, avevano 6 e 4 anni. Simona li ha cresciuti con grande forza d’animo e attenzione, ricoprendo contemporaneamente ruoli lavorativi impegnativi. Nel testo della sua meditazione la storia di questo lutto sfocia nella testimonianza concreta dell'amore di Cristo che non ti abbandona anche nei momenti più bui.

«Nella vita di tutti i giorni a volte, anche una parola gentile e lo sguardo di qualcuno che capisce il tuo malessere, sono lo sguardo di Gesù» sottolinea Simona Spinelli nell’intervista a Radio Vaticana — Vatican News, aggiungendo che «la croce rappresenta il massimo della vicinanza nel dolore».

Le chiedo un commento su questo testo che ascolteremo Venerdì Santo alla decima Stazione. Lei ha scritto che «sotto la croce ogni famiglia, anche la più sbilenca, la più dolente, la più strana, la più monca, trova il suo senso profondo». Cosa significa questo in concreto?

Significa che la croce, in fondo, è anche l’albero della vita. È un legno conficcato nel terreno e viene innalzato per la scelta che Dio ha fatto di sacrificare suo Figlio. C’è Maria, la madre di Gesù, che sta sotto la croce. Da madre, posso soltanto immaginare quello che si può provare in un momento simile. Mi vengono i brividi: una sofferenza simile si sente, si vede, solo con gli occhi del cuore. Ma ogni famiglia si può ritrovare in questo. È difficile spiegarlo a parole: è un po' come sentire intimamente la voce dello Spirito che parla al nostro cuore. Questa profonda umanità di Gesù sulla croce comprende tutte le famiglie. La mancanza è una cosa sperimentata da tutti, ma ogni famiglia è felice a modo suo e ciascuna è anche infelice a suo modo. Quindi è importante capire — al di là di ogni singola storia — il senso profondo di un’umanità trasversale che le lega tutte. E io credo che ogni storia familiare di sofferenza si possa rivedere nella croce.

Lei ha anche scritto: «Abbiamo sperimentato, non senza lacrime e dolore, che Gesù in quell’abbraccio di travi inchiodate ci guarda e non ci lascia mai soli». Quanto è difficile nella vostra esperienza, come quella di altre famiglie segnate da un lutto, scoprire e intercettare lo sguardo di Cristo nei momenti più dolorosi?

Da una parte è difficile, dall’altra stupisce sempre quante occasioni di grazia ci capitino: lo sguardo di Gesù è, in realtà, lo sguardo di tutte le persone che ci sono state molto vicine. C’è una solitudine esistenziale: alla fine ogni uomo è solo. Ma nella vita di tutti i giorni a volte, anche una parola gentile e lo sguardo di qualcuno che capisce il tuo malessere, sono lo sguardo di Gesù. Io dico sempre che Gesù l’ho incontrato perché ho incontrato una persona, delle persone che sono state Gesù nella mia vita. La croce rappresenta il massimo della vicinanza nel dolore. Anche se questa è la cosa più difficile da vivere. Il Papa lo dice: ogni volta che si incontra una persona dobbiamo sforzarci di pensare a che cosa ci possa essere dietro di lei. Questo può aiutarci veramente a diventare compassionevoli e ci spinge anche a condividere la gioia. Ho scoperto anche questo: si può provare un grandissimo dolore, ma anche nel dolore si possono vivere momenti di gioia. I sentimenti non sono escludenti: la ricchezza dei nostri cuori e il messaggio della croce ci dicono che c’è già un pizzico di resurrezione in questa vita. Anche se a volte, almeno per me, è più facile sentirsi vicino a Gesù sulla croce che a Gesù risorto.

Come hanno accolto i suoi figli questa iniziativa, hanno collaborato?

Un po’ stupiti e un po’ spaventati. Loro hanno collaborato perché abbiamo elaborato insieme questo essere una famiglia a “tre gambe”. Hanno collaborato per essere e diventare quello che siamo. E questo anche con aiuti esterni. Non ce la fai mai da solo. Nessuno si salva da solo, ha ragione il Papa...

Anche i nonni paterni vi danno una grossa mano…

Sì, i nonni paterni ci danno una grossa mano. Ci ha aiutato pure mio padre, finché non ho perso anche lui. Due terapeuti sono stati veramente preziosi. A volte, anche riconoscere che non si può andare avanti da soli è un primo passo per accogliere l’aiuto degli altri, anche nella Chiesa.

Nel suo testo ricorda proprio quanto sia importante una Chiesa che tende la mano, pur con tutte le sue fragilità…

Assolutamente, per noi è stato fondamentale.

di Fabio Colagrande
e Amedeo Lomonaco