Il racconto di Stefano e Silvia, i genitori adottivi della Nona stazione

«Dobbiamo amare l’abbandono che i nostri figli non potranno mai cancellare»

13 aprile 2022

«I nostri figli sono fragilissimi ma fortissimi». Non è un controsenso l’affermazione che Stefano Zappa e Silvia Ferrari, milanesi di 56 e 51 anni, mettono come a suggello della loro esperienza di genitori adottivi di Sandra Paola, 19 anni, colombiana, in Italia dal 2006 e ora studentessa all’Accademia di Brera, di Hegan, detto Kakà, cinese di 14 anni e in Italia da 12, e di Dongchen, ma tutti lo chiamano Chencheng, anche lui cinese, arrivato nel 2016 quando non aveva neppure 2 anni.

Non è un controsenso perché non lo è assolutamente l’esperienza che i coniugi Zappa vivono ogni giorno, portando una croce «che di certo non è leggerissima», ma anche raccogliendo «le tante gioie che i nostri figli ci danno, ogni giorno».

Come un incontro continuo, come quello (Gesù incontra le donne di Gerusalemme) che suggella la nona stazione della Via Crucis affidata a questa famiglia che ha adottato ed è stata adottata.

Un’esperienza che Stefano e Paola porteranno lungo la Via Crucis e che sottolineano all’unisono «perché la nostra vuole essere una testimonianza soprattutto di accoglienza: quando due persone decidono di sposarsi e creare una famiglia, non è detto che debba essere necessariamente una famiglia biologica. E già far capire questo ad una società che sa tutto, ma molto poco della famiglia, sarebbe una grande cosa».

E qui Paola rimarca il suo di perché: «Perché ogni figlio è un dono di Dio, che poi arrivi dalla mia pancia o da quella di un’altra mamma che l’ha generato e che ha deciso comunque di metterlo al mondo, è sempre un atto di amore. E non sta a noi giudicare quello che è avvenuto e che ha portato all’abbandono, ma è una realtà che comunque c’è stata e non si può nascondere ai nostri figli, e loro non la possono dimenticare, perché è una ferita, un qualcosa che fa parte della loro vita. Noi possiamo aiutarli a portare questo fardello, che vi assicuro è pesantissimo e che ogni due per tre ricorre nella loro vita. Lo dico sempre ai miei figli: io sono contenta, felicissima che voi siete qua, ma lo sarei stata di più se foste rimasti con la vostra mamma perché per voi sarebbe stata la cosa più bella in assoluto».

E qui le voci dei coniugi tornano a farsi una sola: «Dobbiamo amare quell’abbandono che i nostri figli non potranno mai cancellare. Dobbiamo amarlo, perché da lì è nato un dono. E non siamo noi che abbiamo adottato, ma loro che ci hanno adottati, altrimenti saremmo genitori solo sulla carta».

Nella meditazione della Via Crucis, Stefano e Paola vogliono portare anche tanta speranza «proprio come ci succede nella vita di ogni giorno, quando i nostri ragazzi ci danno tante e infinite gioie. Perché In fondo sono fragilissimi ma fortissimi!».

E se i più grandicelli sono emozionati dall’esperienza romana, il più piccolino ha comunque capito che rivedrà quel Papa Francesco che nell’agosto del 2016 lo volle prendere in braccio al termine di un’udienza del mercoledì in piazza San Pietro, e di cui porta il nome, visto che Dongchen significa proprio Francesco: «Era arrivato da appena un mese e tra noi pensammo – ricordano ora i coniugi Zappa, con un sorriso grande come una casa – chissà cosa dovrà succedere a questo piccolo se il Papa lo ha voluto abbracciare…».

E invece è successo che anche lui, fragile ma forte, ha adottato i suoi genitori… adottivi. E anche lui accompagna papà e mamma ai corsi per fidanzati nella loro parrocchia milanese, anche per spiegare ai futuri sposi che si può essere genitori pure così «e lo facciamo per tutti i bambini rimasti in Colombia o in Cina o in altri posti e che sentiamo come figli nostri».

di Igor Traboni