L’importanza del processo sinodale

Il momento del coraggio

 Il momento  del coraggio   QUO-082
09 aprile 2022

La lettera sul percorso sinodale che il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, e l’arcivescovo Lazarus You Heung-sik, prefetto della Congregazione per il clero, hanno inoltrato lo scorso 19 marzo ai sacerdoti della Chiesa cattolica, è un documento importante che suscita un’appropriata riflessione e capacità di discernimento. È importante innanzitutto perché si esprimono in trasparenza e parresia, e perciò senza nascondere una preoccupazione circa gli atteggiamenti che potrebbero deviare il percorso sinodale dagli obiettivi indicati dal documento preparatorio «La Chiesa di Dio è convocata in Sinodo».

Sicuramente l’esperienza sinodale va sviluppandosi nei diversi contesti con modalità, velocità e i più diversi accenti. Le testimonianze che raccogliamo nella nostra attività giornalistica ce lo dicono, pur senza la pretesa di fornire un quadro esauriente e puntuale del processo in corso. E in tal senso i pericoli paventati dalla lettera non costituiscono un’alea meramente teorica. Dal nostro punto di osservazione, registriamo ad esempio che in alcuni casi si fa fatica ad interpretare il Sinodo fuori degli schemi di ruolo disegnati dalla pastorale ordinaria, e pertanto ad uscire da una prassi più propriamente catechetica. In altri casi la pur necessaria contemplazione preliminare ed ispiratrice della Parola di Dio rischia di avvilupparsi in un’esperienza tutta e solo spirituale. In altri casi ancora il confronto sinodale tende a restringersi alla piccola schiera dei cattolici praticanti e militanti, lasciando fuori quell’ampia porzione del popolo di Dio, che invece proprio per il suo sguardo non immediatamente coinvolto potrebbe donare contributi ricchi di significato. Molto spesso infine si tende ad orientare il confronto sui toni della prudenza, ma, lo sappiamo, è spesso invalso nella Chiesa l’antico retaggio della confusione lessicale tra prudenza e paura.

Certo, accanto a questi timori e rallentamenti del processo sinodale, registriamo anche — e cerchiamo di darne puntuale racconto su questo giornale — tante storie esemplari di parrocchie, comunità e diocesi che non solo discutono di sinodo, ma già vivono una genuina esperienza sinodale. Questa fase “territoriale” o periferica del Sinodo è in realtà quella decisiva, ancorché prima in ordine di tempo. Chi si illudesse di traguardare l’obiettivo guardando soltanto all’assise conclusiva dei vescovi, o alla disamina di ogni singola parola dei documenti conclusivi, semplicemente non ha capito il Sinodo. Il Sinodo sulla sinodalità non è un evento che serve a fare il punto e fissare direttive su un dato argomento; non è un evento ma l’avvio di un processo. Non ha un traguardo temporale o normativo, ma è l’avvio di un modo nuovo (ma anche molto antico) di essere Chiesa, di un “camminare insieme”, come abbiamo voluto titolare la rubrica sinodale del nostro giornale.

I due firmatari della lettera, non si limitano ad elencare le possibili deviazioni del percorso sinodale, ma, con molta chiarezza, indagano anche sulle ragioni a monte di queste deviazioni. Prima fra tutte l’enfasi posta sul sacerdozio comune e battesimale, che, se non correttamente interpretata e vissuta, rischia di pregiudicare il corretto equilibrio tra le diverse ministerialità. Dal tempo del concilio Vaticano ii è andata infatti sempre più affermandosi la percezione di un passaggio dalla teologia della “consacrazione sacerdotale” a una teologia del “ministero”. Sicuramente si tratta di un problema reale, che implica anche una riconsiderazione della formazione attuale al sacerdozio. Ora, se è vero che la costituzione dogmatica sulla Chiesa uscita dal concilio Vaticano ii argomenta un’ampia valorizzazione del sacerdozio comune (Lumen gentium, 34) e significativamente antepone il capitolo sul Popolo di Dio a quello sulla Costituzione gerarchica della Chiesa, è anche vero che sul piano teologico una “teologia dei ministeri” presenta tutt’oggi ampi spazi aperti di definizione dei ruoli.

Certamente il passaggio da un modello di Chiesa “verticale” (Cristo, gerarchia, popolo) ad un modello “comunionale” (Spirito, comunità, ministeri) è ancora oggi in itinere. Non è ancora metabolizzata — tanto tra i presbiteri quanto tra i laici — l’idea che all’interno della Chiesa non ci sia diversità ontologica, ma solo di missione e testimonianza.

C’è dunque, sicuramente, la necessità di un approfondimento teologico intorno ai temi implicati dalla “Chiesa dei ministeri”, ma è evidente che la questione ha anche una dimensione “culturale’” nella misura in cui implica un ripensamento profondo dell’essere Chiesa tanto dei presbiteri che dei laici. È evidente che i pericoli paventati da Grech e You Heung-sik riguardino anche i laici, troppo spesso accomodati in un ruolo di delega, ed incapaci di immaginare con creatività un proprio protagonismo ecclesiale. L’evento che stiamo vivendo ha le potenzialità di ridisegnare la Chiesa del futuro. Non cogliere questa straordinaria opportunità, per pigrizia mentale, tutela di un ruolo privilegiato, mancanza di coraggio e creatività, avrebbe conseguenze pesanti sulla capacità della Chiesa di annunciare Cristo ad un mondo in continuo divenire.

Il segretario generale della Commissione teologica internazionale, Piero Coda, per rilevare il carattere epocale del Sinodo ha recentemente affermato che tra qualche decennio se ne possa parlare così come oggi, dopo 60 anni, parliamo del concilio Vaticano ii. L’invito di Grech e You Heung-sik, e che noi sottoscriviamo, è che si sappia, tutti noi, emulare il coraggio che i padri conciliari seppero allora esprimere.

di Andrea Monda