Quarta predica di Quaresima nell’Aula Paolo VI

La via dell’ecumenismo eucaristico

 La via dell’ecumenismo eucaristico  QUO-075
01 aprile 2022

Lo Spirito Santo sta compiendo ai nostri giorni un’opera meravigliosa tra tutti i cristiani. «Egli ci spinge a riconoscere quanta parte avevano, nelle nostre dispute eucaristiche, la presunzione umana di poter racchiudere il mistero in una teoria» o, addirittura, in una parola, come «pure la volontà di prevalere sull’avversario». In effetti, «spinge a pentirci di aver ridotto il supremo pegno d’amore e di unità lasciatoci da nostro Signore ad oggetto privilegiato dei nostri alterchi». Lo ha sottolineato il cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, durante la quarta predica di Quaresima, pronunciata alla presenza di Papa Francesco venerdì mattina, 1 aprile, nell’Aula Paolo vi .

Dopo le catechesi mistagogiche sulle tre parti della messa, la liturgia della parola, la consacrazione e la comunione, il porporato cappuccino ha invitato a meditare sull’Eucaristia «come presenza reale di Cristo nella Chiesa». Come affrontare, si è chiesto, un mistero così alto e così inaccessibile?. «Ci vengono subito alla mente — è stata la risposta — le infinite teorie e discussioni esistenti intorno a esso», le divergenze tra cattolici e protestanti, tra latini e ortodossi, che «riempivano i libri sui quali abbiamo studiato teologia noi che abbiamo una certa età». Si è tentati di pensare, ha aggiunto, che «è impossibile dire ancora qualcosa di questo mistero che possa edificare la nostra fede e riscaldare il nostro cuore, senza scivolare inevitabilmente nella polemica interconfessionale».

La via per incamminarsi su questa strada dell’ecumenismo eucaristico, ha detto Cantalamessa, è quella «del riconoscimento reciproco, la via cristiana dell’agápe, cioè della condivisione». Non si tratta di «passar sopra alle divergenze reali, o di venir meno in qualcosa all’autentica dottrina cattolica». Serve piuttosto «mettere insieme gli aspetti positivi e i valori autentici che ci sono in ognuna delle tre grandi tradizioni cristiane», in modo da costituire una “massa” di verità comune che «cominci ad attirarci verso l’unità».

È incredibile come «alcune posizioni cattoliche, ortodosse e protestanti, intorno alla presenza reale, risultino divergenti tra loro e distruttive, qualora vengano contrapposte e viste in alternativa tra di loro», mentre appaiono, «meravigliosamente convergenti, se tenute insieme in equilibrio». È la sintesi occorre cominciare a fare, passando al setaccio le grandi tradizioni cristiane, per ritenere di ognuna, come esorta l’Apostolo, «ciò che è buono» (cfr. 1 Ts 5, 21).

Nella visione della teologia e della liturgia latina, il «centro indiscusso dell’azione eucaristica, dal quale scaturisce la presenza reale di Cristo, è il momento della consacrazione». In esso, Gesù «agisce e parla in prima persona». Nella visione latina, ha fatto notare il cardinale, c’è «un realismo cristologico», perché tutta «l’attenzione è rivolta qui a Cristo, visto sia nella sua esistenza storica e incarnata che in quella di Risorto». Infatti, Egli «è sia l’oggetto che il soggetto dell’Eucaristia, cioè colui che è realizzato nell’Eucaristia e colui che realizza l’Eucaristia».

La teologia latina presenta «tante ricchezze, ma non esaurisce, né potrebbe farlo, il mistero», ha osservato. È mancato «ad essa, almeno in passato, il dovuto rilievo allo Spirito Santo», che pure «è essenziale per capire l’Eucaristia». Ecco, allora, che «ci volgiamo verso l’Oriente, per interrogare la tradizione ortodossa, con animo, però, ben diverso da un tempo: non più inquieti per la differenza, ma felici per il completamento che essa arreca alla visione latina». Nella prima infatti, «è messa in piena luce l’azione dello Spirito Santo nella celebrazione eucaristica. Questo confronto ha già portato i suoi frutti, dopo il concilio Vaticano ii ». Fino ad allora, nel canone romano della messa, infatti, «l’unica menzione dello Spirito Santo era quella, per inciso, della dossologia finale». Ora, invece, tutti i «canoni nuovi recano una doppia invocazione» del Paraclito: «una sui doni, prima della consacrazione, e una sulla Chiesa, dopo la consacrazione».

La tradizione latina, ha continuato il predicatore, ha messo in luce “chi” è «presente nell’Eucaristia, Cristo; la tradizione ortodossa ha messo in luce “da chi” è operata la sua presenza, dallo Spirito Santo; la teologia protestante mette in luce “su chi” opera tale presenza». In altre parole, a quali condizioni, il sacramento opera, di fatto, «in chi lo riceve, quello che significa. Queste condizioni sono diverse, ma si riassumono in una parola: la fede».

«Non fermiamoci subito alle conseguenze negative — ha esortato il cappuccino — tratte, in certi periodi, dal principio protestante» secondo cui i sacramenti non sono che “segni della fede”. Occorre oltrepassare «i malintesi e la polemica e allora troviamo che questo energico richiamo alla fede è salutare proprio per salvare il sacramento e non farlo scadere a una delle “buone opere”, o a qualcosa che agisce meccanicamente e magicamente, quasi all’insaputa dell’uomo». Si tratta «di scoprire il profondo significato di quell’esclamazione che la liturgia fa risuonare al termine della consacrazione» e che, una volta, «era addirittura inserita al centro della formula di consacrazione, quasi a sottolineare che la fede è parte essenziale del mistero: Mysterium fidei, mistero della fede!».

Dopo aver compiuto una sorta di breve pellegrinaggio eucaristico attraverso le varie confessioni cristiane, il cardinale per i presenti alla Predica ha idealmente «raccolto alcune ceste di frammenti avanzati dalla grande moltiplicazione dei pani avvenuta nella Chiesa». Ma, ha avvertito, non si può terminare «qui la meditazione sul mistero della presenza reale». Sarebbe come «un aver raccolto i frammenti e non mangiarli». La fede nella presenza reale «è una grande cosa, ma non basta». Non è sufficiente avere «un’idea teologicamente perfetta e ecumenicamente aperta, della presenza reale di Gesù nell’Eucaristia». Quanti, tra i teologi, «sanno tutto su tale mistero; ma non conoscono la presenza reale». Perché “conosce”, in senso biblico, «una cosa, solo chi» ne fa esperienza. Conosce veramente «il fuoco solo chi, almeno una volta, è stato raggiunto da una fiamma».

Come ai discepoli di Emmaus che riconobbero Gesù all’atto di spezzare il pane, una cosa simile avviene quando un cristiano, per un dono di grazia, lo “riconosce”. Dalla fede e dal “sentimento” della presenza reale, deve «sbocciare spontaneamente la riverenza» e, anzi, «la tenerezza verso Gesù sacramentato». È questo un sentimento «così delicato e personale che solo a parlarne si rischia di sciuparlo». San Francesco d’Assisi, ha concluso Cantalamessa, ebbe «il cuore ricolmo di tali sentimenti verso Gesù nell’Eucaristia. Egli si intenerisce davanti a Gesù sacramentato, come a Greccio si inteneriva davanti al Bambino di Betlemme; lo vede così abbandonato nelle nostre mani, così inerme, così umile».