DONNE CHIESA MONDO

Il buon samaritano

Quello che vedi ti guarda

 Quello che vedi ti guarda  DCM-006
04 giugno 2022

Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?».  Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Luca 10, 30-37


Perché questa parabola ha orientato in maniera determinante la mia esistenza? Accadde a Heidelberg molti anni fa. Stavo per laurearmi in legge e mi capitò di assistere a una lezione su Nietzsche e l’Espressionismo. In quell’ascolto intuii per la prima volta cosa volesse dire parlare di un’opera d’arte come atto d’amore verso il prossimo. Fu così che decisi di conseguire una seconda laurea in Filosofia e storia dell’arte.

In seguito fui talmente colpita dall’espressione di Didi-Huberman “quello che tu vedi ti guarda”, che mi sentii chiamata ad approfondire la fenomenologia dello sguardo e in particolare lo Sguardo di Cristo nella Katholische Weltanschauung di Romano Guardini. Compresi allora che l’opera d’arte e l’amore hanno una cosa in comune: originano entrambi da un atto creativo. L’una e l’altro configurano uno spazio di conoscenza in cui le cose e le persone si rivelano nel loro essere profondo. In una delle sue Omelie per l’anno liturgico Guardini si è accostato al mistero della prossimità, riflettendo sullo spazio a cui allude anche la parabola del Buon Samaritano. Siamo soliti credere che lo scopo di Luca sia quello di ricordarci che è nostro dovere amare “tutti”. Ma questo sarebbe vero solo se, osserva Guardini, l’amore verso il prossimo fosse, o venisse inteso, unicamente come una serie, seppur doverosa, di atti di buona volontà. Ed invece amare significa molto di più. Per poter amare l’altro è necessario anzitutto “vederlo” per quello che è, nel suo esser-ci (Da-Sein). Il mio sguardo deve essere rivolto all’altro senza riserve o pregiudizi in modo tale che, in un atto creativo, io riservi all’altro uno spazio in cui possa presentarsi davanti a me con tutto ciò che sente, soffre e desidera. E solo l’amore può “vedere”, perché è in grado di aprirsi a tutto ciò che già c’è e che è in divenire. Nello sguardo amorevole, infatti, permetto all’altro di prendere forma e manifestarsi davanti a me.

Non è forse questo che differenzia, nella parabola, lo sguardo del Samaritano dal modo di “vedere” del Levita e del Sacerdote? Ci deve essere, dunque, un’apertura iniziale, ancor prima che colui che mi è davanti si manifesti a me come mio prossimo. Un tale amore — continua Guardini — guarda con uno sguardo simile a quello dell’artista nell’atto creativo ed è un riflesso dell’amore di Dio che, nel suo creare, ci rende liberi di muoverci amorevolmente verso di Lui. Grazie a questa apertura entrano nella mia vita persone che, destinate a venirmi incontro, mi vengono affidate come prossimo. Guardini osserva: «La conoscenza è un atto creativo, nell’amore».

Nel Giudizio Universale Michelangelo mette in luce questo “spazio” di conoscenza. Mostra il popolo che guarda Cristo con uno sguardo atterrito e nell’atto di coprire lo sguardo con le mani o che, come san Pietro, gli si avvicina con fare rabbioso, mostrando a Cristo le chiavi di questa “apertura”. Il plethos (la folla) è in grado di cogliere con lo sguardo solo una delle due braccia del Cristo, quella che condanna. La verità sta “tra” gli opposti. Così Michelangelo nell’Ultimo Giudizio configura nell’opera d’arte uno spazio in cui l’umanità possa entrare, in cui è in grado di dare a Cristo lo spazio in cui Egli possa manifestarsi per ciò che è. In maniera analoga Barnett Newman nel suo quadro Who is Afraid of Red, Yellow and Blue costringe lo spettatore a porsi di fronte alla tela perché possa sperimentare uno spazio rosso di punti infiniti ed avvertirne fisicamente i pigmenti. Si crea così uno spazio sublime ed intimo allo spettatore in cui l’osservatore deve ritornare a se stesso e dove Dio può dimorare.

Guardini descrive l’amore del prossimo come criterio valido non solo per gli incontri d’amore umani, ma anche per gli incontri d’amore con altri “esseri”, con le cose e con le opere d’arte. A ben vedere l'arte stessa diventa “prossima” nell’atto d’amore della creazione artistica e finanche nello sguardo dell’osservatore quando incontra l’opera d’arte. Nell’Omelia guardiniana sulla parabola di Luca compaiono tutti i termini chiave di Guardini: “guardare”, ”configurare”, “atto creativo”, “spazio”, “incontro”. In una delle sue intuizioni più importanti Guardini sostiene che l’amore guarda in modo creativo perché in esso l’autoaffermazione egoistica si ritira e dà spazio all’essere umano che è lì davanti a me, perché possa diventare chiaro al mio mondo. Tutto questo per me traspare anche dalle parole di Gesù e dalla testimonianza del Samaritano, che continuano a toccarmi nel profondo come donna, madre, moglie, credente, docente e amante dell’arte.

di Yvonne Dohna Schlobitten