Bailamme

L’altra guancia

FILE PHOTO: A woman cries as she waits for news of her relative, in front of a destroyed Ukrainian ...
01 aprile 2022

Alla radice del pacifismo radicale troviamo la raccomandazione di pregare per il nemico e l’invito a porgere l’altra guancia rivolti da Gesù ad apostoli e discepoli. Che si trattasse di ammonizioni da intendere in senso letterale risulta evidente dal numero di santi che subirono il martirio per essersi rifiutati di impugnare le armi obbedendo agli ordini dell’imperatore. Da san Maurizio e la legione tebana a san Vittore, da san Trifone a san Sergio, da sant’Ippolito a san Fermo.

Alla tradizione pacifista appartiene anche un filone orientale, inaugurato dal Budda.

Tra le grandi personalità del Panteon pacifista, interreligioso e comprensivo di figure laiche, spicca san Francesco, mentre la contemporaneità annovera tra gli altri Tolstoj, Gandhi, Madre Teresa di Calcutta, don Milani, Dorothy Day, Desmond Tutu, Martin Luther King. Per ciascuno di loro l’esperienza del pacifismo ha avuto risvolti drammatici, che sono arrivati fino al sacrificio della vita per testimoniare il proprio rifiuto della violenza.

Nella forma radicale il pacifismo rappresenta una scelta che porta con sé l’accettazione di un triste paradosso: l’assoluta personalità della decisione, a nessuno può essere imposto di sopportare un’aggressione senza difendersi. Si può essere pacifisti per sé e non per gli altri, si tratta di una disposizione al sacrificio che per sua natura non è trasferibile. La si può solamente testimoniare e suggerire attraverso l’esempio.

Il rifiuto di rispondere alla violenza con la violenza, la determinazione a subire prepotenze e maltrattamenti senza reagire se non in modo passivo rappresenta una scelta a volte quasi incomprensibile. Comporta l’apparente accettazione dell’ingiustizia, nella convinzione che opporre armi alle armi, brutalità a brutalità, guerra alla guerra non produca altro che un accrescimento del dolore e della disumanizzazione del mondo. Significa piangere per il male che viene commesso, pregare perché esso cessi, senza fare altro che testimoniare in ogni modo possibile la propria compassione, in senso letterale, con chi subisce la violenza.

L’ atteggiamento pacifista è sempre propositivo, comporta una scelta consapevole, che non ammette mediazioni. Soprattutto non le ammette quando ci si trova in un contesto protetto, al riparo dalle offese dirette che altri subiscono. Bisogna interrogarsi su quanto sia lecito abbandonare a se stesso chi si vuole difendere da un’aggressione, magari rimproverandogli qualche colpa nello sviluppo della vicenda che ha portato allo scontro, forti del fatto che in nessuna questione la ragione si trova tutta da una sola parte?

Nel concreto, le grandi scelte morali non sono quasi mai semplici, immediate, nette, senza costi collaterali, senza drammi per chi le compie, abbandoni laceranti, timori di cedere al proprio tornaconto immediato. Le decisioni che donne e uomini devono prendere in tema di pace e guerra sono difficili, sofferte. Richiedono preghiera, contemplazione, conforto di letture e sacramenti. Non la foga del confronto nei salotti televisivi.

In ogni caso, non è lecito offrire un’altra guancia che non sia la propria.

di Sergio Valzania