Testimonianze
La carità sulla linea del fronte: intervista a un parroco di Vorzel

Una tragedia non solo nostra ma del mondo intero

 Una tragedia non solo nostra ma del mondo intero  QUO-072
29 marzo 2022

Incontriamo don Igor Skomarovsky, padre spirituale nel seminario di Vorzel della diocesi di Kyiv-Zhytomyr e anche parroco nella stessa città della parrocchia di San Giovanni Paolo ii .

Qual è la situazione a Vorzel?

Il 24 febbraio Vorzel, Bucha, Gostomel, Nemishaevo, Klavdiyevo, Borodyanka sono diventate l’epicentro delle ostilità. Il 25 febbraio, al mattino, i nostri seminaristi e insegnanti hanno lasciato il seminario. Le truppe russe entrate in Ucraina attraverso il territorio della Belarus sono passate attraverso la zona di Chernobyl in diverse colonne passando sul territorio della nostra parrocchia per attaccare Kiev. All’inizio della guerra, una famiglia di Irpen è venuta da me. Non volevano andarsene via senza l’altro figlio, che era rimasto in una città vicino a Kiev. Il tempo passava e la situazione cominciava a essere pericolosa per le loro vite, quindi ho suggerito loro di fuggire. All’inizio, a Vorzel, abbiamo sentito solo esplosioni e non abbiamo capito cosa stesse succedendo, ma domenica 27 febbraio una granata ha colpito la recinzione del nostro seminario. I vetri delle finestre sono andati in frantumi. Una mattina, stavo andando alla messa delle 8, ma sono iniziati i bombardamenti e ci siamo nascosti nel seminterrato. Dopo il 10 marzo la situazione si è calmata. Vedevamo in tv colonne militari russe, spari, operazioni militari, esplosioni, uccisioni di civili. Dopo il 27 febbraio, senza più la tv non abbiamo però più saputo niente. Soltanto alcune esplosioni potevano essere sentite vicino al seminario. Così abbiamo vissuto le ultime settimane. Tutti i negozi sono stati saccheggiati. La casa dei vicini della mia famiglia di Irpen, che era con me, è stata bombardata. Così hanno lasciato Vorzel. Un giorno siamo andati a trovare la famiglia dei parrocchiani e abbiamo scoperto qual era la situazione nel villaggio. I parrocchiani ci hanno detto che i militari russi avevano ucciso i loro vicini di casa.

Perché lei ha deciso di rimanere in seminario anche quando i seminaristi lo hanno lasciato?

Il nostro vescovo Vitaliy Kryvytskyi ha chiesto che tutti i parroci rimanessero nelle loro parrocchie per stare con la gente e io sono rimasto.

Come siete riusciti a vivere dopo l’occupazione?

Ogni martedì c’era l’acquisto di prodotti alimentari per il seminario. Questo ci ha salvati perché l’occupazione è iniziata di giovedì, e quindi il frigorifero e il congelatore erano pieni di cibo. Purtroppo, domenica 27 febbraio alle 5.50 è andata via l’elettricità. Però grazie al freddo notturno all’esterno, siamo riusciti a conservare i prodotti in contenitori di plastica. Tra noi abbiamo impostato un orario quotidiano di vigilanza. La mattina ci alzavamo per la preghiera e la santa messa, poi facevamo una colazione tardiva e una cena anticipata. Affinché i prodotti bastassero, dovevamo limitare l’assunzione di cibo. Non c’erano nemmeno internet o servizio di telefonia mobile. Però siamo riusciti a caricare i cellulari dalla batteria dell’auto al mattino e mantenere le comunicazioni per inviare messaggi e informare i parenti che eravamo vivi.

Come siete riusciti a fuggire?

Il nostro vescovo, quando ha saputo da me che quasi tutti i nostri parrocchiani erano stati evacuati, mi ha inviato un messaggio dicendomi di cercare un’opportunità per lasciare Vorzel. Il 10 marzo, sono andato nella piazza vicino alla stazione ferroviaria di Vorzel, erano circa le 9, ma non c’era nessun mezzo di trasporto in partenza dalla città. Così sono tornato al seminario. Poi, ho incontrato un conoscente, un disabile senza una gamba, ma che è un autista di autobus. Abbiamo parlato con lui e abbiamo deciso di provare a fuggire. Sono tornato in piazza e ho chiamato la linea di assistenza. Dopo esserci consultati con altri conducenti di quelle auto che erano in piazza, abbiamo deciso di andare anche senza seguire una colonna di evacuazione ufficiale, quindi a proprio rischio. Quel mio conoscente ha preso un autobus pieno di donne e bambini, io ho preso quattro anziane nella mia auto. Sapevamo che un convoglio di auto era stato colpito due giorni prima, così siamo andati su un’altra strada dove la gente era riuscita a passare. Quando abbiamo raggiunto il primo check-point, ci siamo uniti a un convoglio di auto che erano partite prima di noi. Siamo andati a parlare noi stessi con i soldati russi. Loro hanno controllato tutto e ci hanno permesso di passare. Poi, nello stesso modo siamo stati controllati in altri cinque check-point. Finalmente abbiamo raggiunto Kiev. È così che siamo riusciti a fuggire. È stato un miracolo.

Qual è il suo stato psicologico?

Probabilmente sto vivendo la sindrome del sopravvissuto. Penso che se qualcuno dei parrocchiani fosse rimasto a Vorzel, sarei rimasto con loro fino alla fine. Attualmente, mi sono unito ai nostri seminaristi, che si sono trasferiti con il rettore al seminario della diocesi di Kamyanets-Podilskyi.

Quanto è importante per voi la vicinanza con il Santo Padre?

La mattina del giorno in cui sono partito ho celebrato la santa messa e mi sono affidato alla volontà di Dio. Pregando, di fronte all’altare, ho pensato a cosa avrei potuto portare con me, e mi sono ricordato delle reliquie di Giovanni Paolo ii , che ora sono con me. È importante vedere quanto la Chiesa cattolica fa per l’Ucraina. Quanto aiuto e assistenza per chi è nel bisogno, soprattutto l’ho notato nelle parrocchie di Kiev nel giorno dopo che sono arrivato. Sono molto grato a Papa Francesco per le sue parole e alle nostre parrocchie per aver aiutato tutti questi rifugiati che hanno perso le loro case.

Quali sono le sue aspettative e cosa vuole trasmettere alla comunità internazionale?

In unità spirituale con il Santo Padre e i nostri vescovi, vedo che la nostra tragedia non è solo nostra, ma è comune al mondo intero. Dall’inizio della guerra, ho celebrato ogni santa messa con due intenzioni: per i vivi — resistenza, coraggio, sopravvivenza; e per i caduti — vita eterna.

di Pavlo Basisky