Jean-Jacques Annaud racconta «Notre-Dame brûle»

Tra le fiamme
il miracolo della speranza

 Tra le fiamme  il miracolo della speranza  QUO-066
22 marzo 2022

È come riaprire una ferita. Questa volta, però, la capacità visionaria di Jean-Jacques Annaud e la forza delle storie narrate lasciano intravvedere i segni di una possibile rinascita, non di una dimenticanza quanto piuttosto di una passione che sa ripartire e vuole restituire all’affetto e alla memoria. Questi i primi pensieri e le prime emozioni che si riescono a cogliere subito dopo aver visto in anteprima il film Notre-Dame brûle, coproduzione franco-italiana, uscito nei cinema francesi dal 16 marzo 2022 e firmato dal regista francese Jean-Jacques Annaud.

È la storia del drammatico incendio divampato nella Cattedrale di Notre-Dame la sera del 15 aprile del 2019, che diventa racconto capace di tenere insieme cronaca e inchiesta in un film spettacolare che lambisce i confini della poesia. Un incendio che ha rischiato di far implodere e cancellare per sempre uno dei luoghi simbolo della memoria storico-culturale e religiosa della Francia, e dell’Europa tutta. Fiamme prepotenti contro cui hanno lottato il coraggio e la tenacia di uomini e donne, pompieri e volontari, religiosi e cittadini comuni. Nella consapevolezza che pur vivendo in un tempo e in uno spazio preciso, il senso di quella esperienza, come di ogni esperienza personale, rinvia a uno stato d’animo. «Anche nel campo pratico — afferma Ernst Cassirer nel suo Saggio sull’uomo — l’uomo non vive in un mondo di puri fatti secondo i suoi bisogni e i suoi desiderio più immediati. Vive, piuttosto, fra emozioni suscitate dall’immaginazione, fra paure e speranze, fra illusioni e disillusioni, fra fantasie e sogni».

Quella notte buia di Parigi ci viene declinata da uno dei maestri del cinema d’oltralpe, dalla solida carriera giocata dagli anni Settanta in poi tra Europa e Stati Uniti, autore di opere di grande suggestione visiva per lo più di matrice storico-letteraria. Tra i suoi titoli più noti: Bianco e nero a colori (1976, Oscar miglior film straniero), La guerra del fuoco (1981, Premio César miglior film e regia), Il nome della rosa (1986, cinque David di Donatello e tre Nastri d’argento) dal capolavoro di Umberto Eco, Sette anni in Tibet (1997), Il nemico alle porte (2001) e la serie Tv La verità sul caso Harry Quebert (2018) dal bestseller di Joël Dicker. E ora Notre-Dame brûle.

Notre-Dame brûle non è solo la potente e accurata ricostruzione di una tragedia realizzata da un regista da sempre alla ricerca di soluzioni sperimentali, innovative, pur rispettando i canoni del cinema classico; il film è anche un addentrarsi, da dichiarato non credente, nei territori della fede, sino ai confini del miracolo. La tragedia del fuoco infatti ha schiuso al regista, ma non solo a lui, non poche domande sul perimetro della vita. Potremmo dire ha aperto il passaggio dalla pretesa dell’uomo all’ascolto di una promessa, quella di Dio. Ora la parola a lui.

Nel film «Notre-Dame brûle» attorno al drammatico incendio della Cattedrale parigina si snodano vicende umane fatte di passione e di determinazione: il giovane che inizia a lavorare alla sicurezza (il suo primo giorno di lavoro sarà anche l’ultimo), la bambina che sfida l’allarme e accende la candela a cui lega con l’elastico dei capelli un cuore, volontari che mettono in campo trasporto e competenze pur di salvare la Cattedrale. Che umanità ha voluto raccontare?

Ho desiderato portare sullo schermo ciò che ho provato durante quell’avvenimento e soprattutto dopo, quando ho incontrato quasi tutti gli operatori che sono intervenuti quella sera, gli ecclesiastici, i responsabili amministrativi, i pompieri che mi hanno commosso per la loro umiltà, la loro dedizione al servizio degli altri. Ho fatto il giro delle cattedrali di Francia, ho visto molti bambini pregare sotto la statua della Vergine, come me quando ero bambino davanti a una piccola Santa Vergine fosforescente in plastica che mia zia mia aveva regalato in occasione di una visita a Lourdes. Ogni sera, prima di addormentarmi, pregavo pur non essendo credente, ma pregavo perché papà non fosse più malato e per avere bei voti al compito di aritmetica.

Sembra che il dispiegamento enorme di mezzi e di persone non abbia potuto fare quello che la “follia” appassionata di giovani ha saputo e potuto fare.

Non si vince una guerra senza essere sul campo, a contatto con il nemico. Il fuoco è un nemico demoniaco, affascinante, fotogenico, charmant quando ci riscalda e illumina, temibile e senza pietà quando ci brucia.

Torniamo alla bambina che, dopo aver acceso la candela, segue da casa alla tv l’incendio. Alla fine la notizia dell’incendio cessato, la madre stesa sul divano rimane ferma e lei le da un bacio andando presumibilmente a letto. Sembra che l’incendio, ma soprattutto il lavoro fatto per salvare la Cattedrale, conduca tutto nel credere ai miracoli. Uno sguardo spirituale della storia e degli accadimenti?

I miei amici, spesso atei o ferventi di altre religioni, rispettano come me la fede degli altri. Nel linguaggio comune quasi tutti hanno parlato di miracolo, nel constatare che la statua della Madonna col Bambino, la personificazione della Cattedrale di Parigi, detta anche Madonna “al pilastro”, non era stata colpita dai pesanti detriti caduti intorno a Lei. Qualche candela bruciava ancora la mattina presto nonostante il tornado di fuoco provocato dal crollo di una parte della volta.

Film visivamente potente con mix di immagini documentate e ricostruzioni straordinarie, visual effect come la scena della presenza del presidente Emmanuel Macron, movimenti camera e punti di vista spettacolari. Tempi e modi del lavoro?

Sono abituato ai film complessi. Amo giocare con le molteplici possibilità che l’arte cinematografica offre. Tutto è leggero quando si padroneggiano le diverse tecniche della sceneggiatura, dell’immagine, del montaggio, della musica e del suono. È un apprendimento lungo. Ma quanto è bello portare una squadra di attori e tecnici di talento, altamente specializzati, in un’avventura inedita, entusiasmante.

Lei ha uno sguardo che si muove tra i sentieri della storia e della letteratura sino a lambire tracce di spiritualità. Proprio alla ricerca interiore fatta tra luci e ombre, ha realizzato due film tra loro diversi: «Il nome della rosa» (1986) dal romanzo di Umberto Eco e «Sette anni in Tibet» (1997) di Heinrich Harrer. Cosa hanno significato questi due film nella sua carriera da regista? Cos’è per lei la spiritualità?

Io, figlio unico in una famiglia dallo spirito profondamente democratico e tollerante, sono stato attratto dai luoghi di culto sin dall’infanzia. Mi commuovo quando entro in un tempio, una moschea in fango a Djenné in Mali, una chiesa ortodossa ai confini dell’Estonia, un monastero buddista ai piedi dell’Himalaya. Amo l’architettura. Ammiro gli splendori di Versailles o del Colosseo. Ma sento un brivido entrando in una Cattedrale, in particolare nel bel mezzo dell’Île de la Cité, a Notre-Dame.

Non solo cinema, ma anche racconti brevi, suggestivi e importanti spot pubblicitari. Inoltre la serie tv «La verità sul caso Harry Quebert» (2018). Qual è la caratteristica di un regista che si muove tra differenti generi, formati e linguaggi dell’audiovisivo? Girerebbe un’altra serie tv?

Aspettavo con impazienza di scoprire il mondo della televisione e La verità sul caso Harry Quebert ha rappresentato l’occasione giusta. Ho estremamente apprezzato questa esperienza. Ma io sono un incorreggibile. Il cinema sul grande schermo è il mio vero mestiere. La televisione è come un rubinetto d’acqua tiepida che si apre e si chiude in casa, mentre si risponde al telefono, facendo giocare il cane con la palla e tenendo in mano la ghigliottina dell’impazienza, il telecomando. Andare al cinema è un atto volontario. È uscire da casa, consacrare una serata costosa nella speranza di amare il film che si è scelto. Quale onore per coloro che lo hanno ideato.

Parlando in generale di cinema e di audiovisivo, come giudica il cambiamento epocale nelle dinamiche produttive-distributive, tra cui l’allarmante crisi della sala cinematografica, come anche le nuove logiche fruitive, con un pubblico costantemente in cerca di contenuti da divorare sulle piattaforme?

Il cinema è un prodotto di alta qualità, un lusso. La tv è del prêt à porter in svendita, percepita come gratuita.

Tornando a «Notre-Dame brûle», un’opera dall’elevato spessore culturale e civile, un racconto giocato tra cronaca, inchiesta e saggio poetico che rimarca il valore del cinema come documento storico, custode della memoria del tempo. Che ruolo ha il cinema nella custodia della memoria comune?

Non spetta a noi giudicare l’importanza dei nostri lavori. È il quadro, la statua, il romanzo che traccia o meno il suo percorso nel tempo. Sono loro che decidono: coloro a cui sono dedicati il film, la cattedrale e la modesta sonata. C’è un dovere di umiltà per coloro che hanno il privilegio di ottenere i mezzi per creare seguendo i loro cuori.

di Dario Edoardo Viganò