Lectio magistralis del cardinale Piacenza al XXXII Corso sul foro interno

La gioia per la certezza
di essere perdonati

 La gioia per la certezza di essere perdonati  QUO-066
22 marzo 2022

Il sacramento della riconciliazione è per eccellenza il sacramento della gioia: naturale e soprannaturale, umana e cristiana. Lo ha sottolineato il cardinale penitenziere maggiore Mauro Piacenza durante la Lectio magistralis con cui ha aperto lunedì pomeriggio, 21 marzo, il xxxii Corso sul foro interno. Organizzato dalla Penitenzieria apostolica, l’incontro si svolge nel palazzo romano della Cancelleria fino al 25.

Per quanto talora dolorosa e laboriosa possa essere l’opera di discernimento sulla propria vita, ha aggiunto il porporato, «l’esame obiettivo e realistico della propria coscienza, con la contrizione e il dolore conseguenti, l’annuncio, la dichiarazione e l’esperienza dell’essere perdonati, totalmente e realmente riconciliati, e dunque liberati dal proprio peccato non può che essere un’esperienza di gioia, di gioia autentica, di gioia piena, di gioia senza paragone».

Certamente, ha spiegato, si parla di una gioia soprannaturale, che «non possiamo confondere in alcun caso con la cessazione o l’eliminazione del senso psicologico di colpa». La certezza di «essere perdonati realmente e la gioia cristiana che ne scaturisce nascono integralmente e direi esclusivamente dalla fede». Non si deve mai pretendere, ha fatto notare il cardinale, che «l’assoluzione sacramentale produca la dissoluzione del senso psicologico di colpa, che può esserci, ma che non è né direttamente conseguente né connaturale alla celebrazione del sacramento».

Ne deriva, come è facile dedurre, che «l’esperienza della gioia scaturente dall’assoluzione dei peccati sarà tanto più intensa, quanto più profonda e autentica sarà la fede e, parallelamente, quanto più realistico e autentico sarà il dolore per i peccati commessi ed il necessario, interiore distacco da essi, la contrizione».

Il sacramento della riconciliazione, ha detto il penitenziere maggiore, «rifulge in tutta la sua bellezza come sacramento della gioia, se interamente compreso e interiormente vissuto in quel necessario orizzonte di autentica fede, che permette all’azione salvifica sacramentale di essere personalmente accolta in tutta la sua oggettiva e soprannaturale efficacia».

I sacramenti, infatti, non sono soltanto «la manifestazione della fede di chi li riceve». Essi sono «azione di Dio nella vita del cristiano; attraverso i sette santi segni, Dio sceglie, ancora e sempre, di toccare l’anima del credente, trasformandola e performandola». La gioia della riconciliazione, proprio perché soprannaturale, «domanda di essere custodita, difesa, accolta e continuamente alimentata». È una gioia profonda, «autentica, una gioia che nessuno ci potrà mai togliere».

Le vie tradizionali della penitenza, che anche in questo tempo quaresimale «siamo chiamati a rinnovare, sono, a mio parere, idonee anche per custodire l’intima gioia della riconciliazione: la preghiera, il digiuno e l’elemosina, intesa come totale espropriazione innanzitutto di se stessi, sono le condizioni non di una triste e mal sopportata penitenza, ma della custodia dell’autentica gioia cristiana».

La preghiera mantiene «il cuore costantemente spalancato verso Dio e, laddove è preghiera liturgica, apre il mondo a Dio, e dunque custodisce la gioia dello sguardo sul fine ultimo, sul compimento definitivo e dona senso all’esistenza». Il digiuno afferma «la fame autentica di significato e di salvezza presente nel cuore dell’uomo, aprendo a quell’indispensabile condivisione che è, anch’essa, fonte di gioia». Infine, l’elemosina, intesa come «espropriazione di sé, permette di superare quegli atteggiamenti egocentrici tipici del peccato e così violentemente indotti dalla cultura dominante».

Se la riconciliazione è il sacramento della gioia nel quale il penitente «risorge e il confessore esulta, per l’opera mirabile compiuta di Dio; se esso fiorisce nella direzione spirituale, capace di edificare le anime, la Chiesa e il mondo», allora ne deriva che realmente «possiamo affermare che la nuova evangelizzazione, una autentica nuova evangelizzazione di cui avvertiamo sempre più il bisogno, inizia dal confessionale!». Da esso, ha rimarcato il cardinale, e non da convegni, «non da operazioni cervellotiche o analoghe iniziative». Inizia, cioè, dalla riscoperta «del senso del peccato, dal riconoscimento umile e realistico del proprio limite, e dalla conseguente disposizione a domandarne umilmente perdono, per essere riedificati in Cristo».

Un battezzato che «facesse reale esperienza della divina misericordia, ne verrebbe altrettanto realmente evangelizzato». La divina misericordia, «offerta ed accolta, è luminosa sintesi dell’opera salvifica compiuta da Cristo Signore: in essa, Dio si china sulla sua creatura corrotta, ferita dal peccato».