Il cardinale Marcello Semeraro

Il principio ispiratore della missionarietà

 Il principio ispiratore  della missionarietà  QUO-065
21 marzo 2022

La costituzione apostolica “Praedicate Evangelium” sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo, firmata da Papa Francesco il 19 marzo, è stata presentata  questa mattina in diretta streaming nella Sala stampa della Santa Sede. Con la sua entrata in vigore — prevista per il prossimo 5 giugno, solennità di Pentecoste — viene integralmente abrogata e sostituita la costituzione apostolica “Pastor bonus” e in tal modo l’azione di riforma circa la Curia romana trova la sua forma compiuta. Sono intervenuti il  cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi e in precedenza segretario del Consiglio di cardinali istituito per aiutare il Santo Padre nel governo della Chiesa universale  e per studiare un progetto di revisione della precedente costituzione apostolica; il vescovo  Marco Mellino, attuale segretario del medesimo Consiglio di porporati; e il gesuita Gianfranco Ghirlanda, rettore emerito della Pontificia Università Gregoriana,  dove ha insegnato nella Facoltà di Diritto canonico. Pubblichiamo le sintesi dei loro interventi.

È la missionarietà il principio ispiratore ecclesiologico posto alla base della costituzione apostolica Praedicate Evangelium che arriva a conclusione di un percorso iniziato nove anni fa e dopo le due precedenti riforme curiali: quella del 1967 voluta da san Paolo vi con la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae e quella del 1998 indicata da san Giovanni Paolo ii con un’altra costituzione apostolica, la Pastor Bonus. Lo sottolinea, nel suo intervento, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi e precedentemente segretario del Consiglio di Cardinali. In costante riferimento al Concilio Vaticano ii , il porporato richiama il discorso pronunciato da Papa Francesco il 28 luglio 2013, durante il viaggio a Rio de Janeiro per la 28ª Giornata mondiale della gioventù. In quell’occasione, incontrando i vescovi responsabili del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), il Pontefice aveva distinto due dimensioni della missione: una programmatica e l’altra paradigmatica. La prima «consiste nella realizzazione di atti di indole missionaria», mentre la seconda «implica il porre in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese particolari».

Tale principio, sottolinea il cardinale Semeraro, è stato esplicitato anche dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium del novembre 2013: con essa, infatti, «il Papa aveva consegnato alla Chiesa la sua speranza che tutte le comunità si adoperino fattivamente “per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria”», da leggersi quindi in prospettiva di «riforma». Quanto al titolo della costituzione apostolica, Praedicate Evangelium, reso noto dalla Sala stampa della Santa Sede il 25 aprile 2018, il prefetto della Congregazione delle cause dei santi rimarca che «l’annuncio del Vangelo e lo spirito missionario saranno la prospettiva che caratterizza l’attività di tutta la Curia».

Ma oltre alla missionarietà, tra i principî ispiratori del nuovo documento c’è anche la sinodalità, un concetto oggi molto ricorrente, ma emerso già nel novembre 2014, durante una riunione tra i capi Dicastero e lo stesso Pontefice: «In quel contesto — chiarisce il porporato — si disse che la sinodalità tra i Dicasteri è da ritenersi assai importante e dovrebbe svilupparsi nella Curia come una vera e propria cultura, aiutata da un sistema di comunicazione che consenta di sapere cosa fanno gli altri per evitare duplicati di attività e programmi».

Fondamentale, inoltre, è comprendere che «la riforma è una dimensione costitutiva della chiesa, di ogni chiesa, proprio perché si tratta della Chiesa di Cristo, il quale è la “forma” e il “formatore” della chiesa, in un dinamismo spirituale che fa di lui un perenne ri-formatore della sua sposa». «La riforma — prosegue — è un’istanza fondamentalmente spirituale e costitutiva della Chiesa, che s’esprime anche in riforme. Anche per Francesco: quando parla della “riforma della Curia romana”, egli non lo fa mai a prescindere dalla reformatio Ecclesiae».

La riforma, inoltre, come indicato dal Papa nel discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2016, deve attenersi a dodici criteri-guida: individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità. Quest’ultima, in particolare, evidenzia il cardinale Semeraro, risale al principio enunciato dal Papa nella Evangelii gaudium secondo il quale «il tempo è superiore allo spazio», il che «permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati», occupandosi di «iniziare processi più che di possedere spazi».

Centrale anche la sottolineatura della sussidarietà e della decentralizzazione: la prima mette in luce che «ogni attività sociale è per natura sua sussidiaria; essa deve servire di sostegno per i membri del corpo sociale, e non mai distruggerli e assorbirli». La seconda, invece, ricorda che «la Curia romana è non soltanto strumento al servizio del Romano Pontefice, ma anche strumento di servizio per le Chiese particolari».

E ancora: il porporato richiama «un altro importante principio seguito nel processo di riforma della Curia romana», ovvero quello della tradizione, che è «il principio della fedeltà alla storia e della continuità col passato» e che va bilanciato con «il principio dell’innovazione». Se il primo, infatti, evita di pensare in modo «fuorviante» a una riforma tale da «stravolgere l’intero impianto curiale», il secondo guarda a uno sviluppo significativo del ruolo dei laici. Emblematica, in tal senso, per il cardinale Semeraro è la scelta come prefetto del Dicastero per la comunicazione di un fedele laico, Paolo Ruffini, nominato il 5 luglio 2018: «decisione non improvvisata da parte del Papa; anzi appositamente studiata con il contributo di autorità in materia» e con un precedente significativo già durante il pontificato di Paolo vi che, con il Motu proprio Pro comperto sane supera «il principio seguito ininterrottamente dal tempo della riforma di Sisto v (1588) secondo cui i dicasteri romani erano, nella loro composizione, legati al collegio cardinalizio e funzionavano quindi unicamente come congregationes cardinaliu», senza la presenza di vescovi. Allo stesso modo, la scelta di abbandonare il termine «Congregazione» in favore di quello di «Dicastero», termine laico, lascia intendere che «in linea di principio, possono svolgere l’ufficio di presidenza tutti i battezzati: chierici, persone di vita consacrata, fedeli laici».

Il cardinale prefetto sottolinea anche il principio della «concentrazione su quanto è davvero necessario per la Chiesa universale. È un principio che potrebbe anche essere chiamato “di semplificazione” ed è quello che ha già suggerito l’accorpamento in alcuni Dicasteri di precedenti Pontifici Consigli e anche alcune altre realtà curiali».

Infine, soffermandosi sul Preambolo della costituzione apostolica, il porporato pone l’accento sul fatto che esso offre un’utile chiave di lettura per l’intero documento. Composto da dodici numeri, infatti, il Preambolo evidenzia, nella sua parte conclusiva, il significato della riforma della Curia romana, lungo «passaggi progressivi che richiamano il percorso delle quattro settimane degli Esercizi Spirituali, dove la prima corrisponde alla cosiddetta “via purgativa” (deformata reformare), la seconda a quella chiamata “via illuminativa” (reformata conformare), la terza e quarta settimana corrispondono alla “via unitiva” (conformata confirmare e confirmata transformare). In questi passaggi la parola “forma”, con le diverse accezioni denotate dai diversi prefissi, ha il significato di un lasciarsi plasmare da Dio, come in principio Egli fece con Adamo».

Di qui, l’accento posto sul fatto che «la prima eco che la parola “riforma” suscita nell’animo di Francesco è una riforma della propria vita» ed «è molto più di un qualunque mutamento strutturale». Si tratta, infatti, di «operare in modo che la Chiesa, pur nello scorrere del tempo e nei mutamenti della storia conservi la sua trasparenza (sacramentalità) nei riguardi del progetto di Dio che la fa esistere e in essa dimora».

D’altronde, già il 10 novembre 2015 a Firenze, nel v Convegno nazionale della Chiesa italiana, il Pontefice diceva: «La riforma della Chiesa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività».