Il magistero

 Il magistero  QUO-063
17 marzo 2022

Sabato 12

Stile sinodale anche nella giustizia

La prima riflessione che desidero condividere nasce dal percorso sinodale che stiamo vivendo. Questo percorso, infatti, interpella anche l’ambito giudiziario.

La sinodalità implica il camminare insieme. Nelle vicende giudiziarie ciò significa che tutti i partecipanti al processo, pur nella necessaria diversità dei ruoli e degli interessi, sono chiamati a concorrere all’accertamento della verità tramite il contraddittorio, il confronto degli argomenti e l’accurato esame delle prove.

Questo richiede un esercizio di ascolto, che appartiene alla natura stessa di un giusto processo.

Nell’attività giudiziale è richiesto ai magistrati un esercizio costante di ascolto onesto di quanto viene argomentato e dimostrato dalle parti, senza pregiudizi o precomprensioni.

Con la stessa disponibilità all’ascolto, che richiede tempo e pazienza, ogni membro del collegio giudicante deve aprirsi alle ragioni presentate dagli altri, per arrivare a un giudizio ponderato e condiviso.

Un serio e paziente lavoro di discernimento rimane imprescindibile per arrivare all’esito di una sentenza giusta e realizzare la finalità proprie del processo, che dev’essere attuazione di giustizia rispetto alle persone coinvolte e, insieme, riparazione dell’armonia sociale che guarda al futuro e aiuta a ricominciare.

Le esigenze di giustizia implicano una valutazione comparata di posizioni e interessi contrapposti ed esigono una riparazione.

Nei processi penali, la giustizia va sempre coniugata con le istanze di misericordia, che in ultima analisi invitano alla conversione e al perdono.

Fra questi due poli si deve cercare un bilanciamento, nella consapevolezza che, se è vero che una misericordia senza giustizia porta alla dissoluzione dell’ordine sociale, «la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio».

È prezioso il ricorso all’equità, definita come la giustizia del caso singolo.

Essa, pur restando fermo il precetto legislativo, nel momento di applicazione della legge generale induce a tener conto delle esigenze del caso concreto, di particolari situazioni meritevoli di considerazione.

Il ricorso all’equità non costituisce una prerogativa esclusiva del diritto canonico, ma trova in esso particolare valorizzazione, ponendosi in stretta relazione con il precetto della carità evangelica.

Il diritto canonico, in considerazione della particolare natura dello Stato della Città del Vaticano, viene riconosciuto nell’ordinamento come «la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo».

Nelle materie alle quali non provvedono il diritto della Chiesa e le altre “fonti principali” si osservano, in via suppletiva e previo recepimento da parte della competente autorità vaticana, le leggi e gli altri atti normativi emanati nello Stato italiano, purché non contrari ai precetti di diritto proprio, né ai principi generali del diritto canonico, nonché alle norme dei Patti Lateranensi e successivi Accordi.

Rispetto a un quadro normativo così articolato, risulta evidente la ratio della disciplina circa la nomina dei magistrati, contenuta nella legge sull’ordinamento giudiziario di recente novellata.

Essa stabilisce che i magistrati del Tribunale devono essere «scelti preferibilmente tra professori universitari […] e comunque tra giuristi che abbiano maturato una comprovata esperienza in ambito giudiziario o forense, civile, penale o amministrativo», e «in ogni caso, è assicurata la presenza di almeno un magistrato esperto di diritto canonico ed ecclesiastico».

Il lavoro che i magistrati svolgono per garantire l’esercizio della giustizia offre un contributo necessario e pienamente legittimato per la soluzione dei problemi di carattere civile e penale, ulteriori e diversi rispetto a quelli di competenza dei Tribunali Apostolici e canonici.

Si tratta di un lavoro destinato ad aumentare in una stagione di riforme come quella da qualche tempo avviata, che è proseguita anche nel corso dell’ultimo anno, con alcune rilevanti novità sia in ambito economico e finanziario, sia nel settore della giustizia.

Riforme che intendono corrispondere ai parametri sviluppati dalla comunità internazionale in ambiti come quello economico, e all’esigenza della Chiesa di adeguare le sue strutture a uno stile più evangelico.

Riguardo al primo versante, sono state introdotte disposizioni per favorire il processo di contenimento della spesa, reso purtroppo ancora più urgente dalle difficoltà causate dalla pandemia, e per rafforzare la trasparenza nella gestione della finanza pubblica.

Riguardo al settore della giustizia, si è voluto rispondere a esigenze di aggiornamento del quadro normativo che richiedevano il superamento di assetti inadeguati.

Riforme
strutturali

La ricerca della giustizia reclama anche riforme strutturali che permettano la sua giusta applicazione.

Fra le novità più rilevanti desidero sottolineare in particolare quelle che, modificando la legge sull’ordinamento giudiziario, hanno stabilito che l’ufficio del Promotore di giustizia eserciti il proprio ruolo nei tre gradi di giudizio.

In tal modo si è inteso rispondere all’esigenza che nel sistema processuale vigente emerga l’uguaglianza tra tutti i membri della Chiesa e la loro pari dignità e posizione, senza privilegi risalenti nel tempo e non più consoni alle responsabilità che a ciascuno competono.

Prevenzione
e contrasto
dei reati

Ulteriori esigenze di aggiornamento della normativa, soprattutto nell’ambito della procedura penale e della cooperazione internazionale, potranno trovare risposta in interventi mirati di riforma che sono allo studio, al fine di rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto dei reati e di rispondere alla crescente domanda di giustizia.

Nell’ultimo anno sono giunte a decisione alcune complesse vicende giudiziarie, relative a reati in ambito finanziario ovvero a reati contro i buoni costumi, che hanno fatto emergere sia comportamenti delittuosi puntualmente sanzionati, sia condotte inappropriate che hanno sollecitato l’intervento dell’autorità ecclesiastica.

La dinamica processuale deve consentire di ristabilire l’ordine infranto e perseguire la via della giustizia, in cui tutti sono tutelati specie i più deboli e fragili.

La legge e il giudizio devono essere sempre a servizio della verità e della giustizia, oltre che della virtù della carità.

Come affermato da San Giovanni Paolo ii , nel servire la causa della giustizia il diritto dovrà sempre ispirarsi alla legge-comandamento della carità.

La giustizia proposta da Gesù Cristo non è tanto un insieme di regole da applicare con perizia tecnica, ma una disposizione della vita che guida chi ha responsabilità e che esige anzitutto un impegno di conversione personale.

Chiede una disposizione del cuore da alimentare nella preghiera e grazie alla quale possiamo adempiere i nostri doveri coniugando la correttezza delle leggi con la misericordia, che non è la sospensione della giustizia, ma il suo compimento.

Vi auguro di custodire sempre questa consapevolezza nell’esercizio delle vostre responsabilità a servizio della giustizia.

(Inaugurazione dell’anno giudiziario del tribunale dello Stato della Città del Vaticano)

Domenica 13

La luce di Dio per vedere
le cose
in modo
diverso

Il Vangelo della Liturgia di questa seconda Domenica di Quaresima narra la Trasfigurazione di Gesù (Lc 9, 28-36). Egli, mentre prega su un alto monte, cambia d’aspetto e nella luce della sua gloria appaiono Mosè ed Elia, che parlano della Pasqua che lo attende a Gerusalemme.

Testimoni di questo straordinario avvenimento sono gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, saliti sul monte con Gesù. L’evangelista annota che «Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno».

Il sonno dei tre appare come una nota stonata. Gli stessi apostoli, poi, si addormenteranno anche nel Getsemani, durante la preghiera angosciata di Gesù, che aveva chiesto loro di vegliare.

Stupisce questa sonnolenza in momenti tanto importanti. Leggendo però con attenzione, vediamo che Pietro, Giovanni e Giacomo si assopiscono prima che inizi la Trasfigurazione.

Si tratta evidentemente di una preghiera che si protraeva a lungo, nel silenzio e nel raccoglimento.

Possiamo pensare che all’inizio anche loro stessero pregando, fino a quando la stanchezza prevalse.

Questo sonno fuori luogo non somiglia forse a tanti nostri sonni che ci vengono durante momenti importanti?

Magari alla sera, quando vorremmo pregare, stare un po’ con Gesù dopo una giornata trascorsa tra mille corse e impegni.

Oppure quando è ora di scambiare qualche parola in famiglia e non si ha più la forza.

Vorremmo essere più svegli, attenti, partecipi, non perdere occasioni preziose, ma non ci riusciamo.

Il tempo forte della Quaresima è un’opportunità in questo senso. È un periodo in cui Dio vuole svegliarci dal letargo interiore, da questa sonnolenza che non lascia esprimere lo Spirito.

Perché tenere sveglio il cuore non dipende solo da noi: è una grazia, e va chiesta.

Lo dimostrano i tre discepoli: erano bravi, avevano seguito Gesù, ma con le loro forze non riuscivano a stare svegli. Succede anche a noi.

Però si svegliano proprio durante la Trasfigurazione. Possiamo pensare che fu la luce di Gesù a ridestarli.

Superare
la stanchezza

Come loro, anche noi abbiamo bisogno della luce di Dio, che ci fa vedere le cose in modo diverso; ci attira, ci risveglia, riaccende il desiderio e la forza di pregare, di guardarci dentro, e di dedicare tempo agli altri.

Possiamo superare la stanchezza del corpo con la forza dello Spirito di Dio.

E quando non riusciamo a superare questo, dobbiamo dire allo Spirito Santo: “Aiutaci, vieni: voglio incontrare Gesù, voglio stare attento, sveglio”.

In questo tempo quaresimale, dopo le fatiche di ogni giornata, ci farà bene non spegnere la luce della stanza senza metterci alla luce di Dio.

Pregare un pochino prima di dormire. Diamo al Signore la possibilità di sorprenderci e ridestarci il cuore.

Lo possiamo fare aprendo il Vangelo, lasciandoci stupire dalla Parola di Dio, perché la Scrittura illumina i nostri passi e fa ardere il cuore.

Oppure possiamo guardare il Crocifisso e meravigliarci davanti all’amore folle di Dio, che non si stanca mai di noi e ha il potere di trasfigurare le nostre giornate, dare loro un senso, una luce diversa, inattesa.

(Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 16

L’anzianità
risorsa per
la giovinezza

Il racconto biblico ci dice una cosa impressionante: Dio fu a tal punto amareggiato per la diffusa malvagità degli uomini, divenuta uno stile normale di vita, che pensò di avere sbagliato a crearli e decise di eliminarli. Una soluzione radicale.

Potrebbe avere un paradossale risvolto di misericordia.

Niente più umani, niente più storia, niente più giudizio, niente più condanna. E molte vittime predestinate della corruzione, della violenza, dell’ingiustizia sarebbero risparmiate per sempre.

Non accade a volte anche a noi — sopraffatti dal senso di impotenza contro il male o demoralizzati dai “profeti di sventura” — di pensare che era meglio non essere nati?

Dobbiamo dare credito a certe teorie recenti, che denunciano la specie umana come un danno evolutivo per la vita sul nostro pianeta? Tutto negativo? No.

Siamo sotto pressione, esposti a sollecitazioni opposte che ci rendono confusi.

Da un lato, abbiamo l’ottimismo di una giovinezza eterna, acceso dai progressi straordinari della tecnica, che dipinge un futuro pieno di macchine efficienti e intelligenti, che cureranno i nostri mali e penseranno per noi le soluzioni migliori per non morire: il mondo del robot.

Un’eventuale guerra atomica catastrofe che
ci estinguerà

Dall’altra parte, la nostra fantasia appare sempre più concentrata sulla rappresentazione di una catastrofe finale che ci estinguerà. Quello che succede con un’eventuale guerra atomica.

Il “giorno dopo” di questo se ci saremo ancora, giorni ed esseri umani — si dovrà ricominciare da zero.

Non voglio rendere banale il tema del progresso, naturalmente. Ma sembra che il simbolo del diluvio stia guadagnando terreno nel nostro inconscio.

La pandemia attuale mette un’ipoteca non lieve sulla nostra spensierata rappresentazione delle cose che contano, per la vita e per il suo destino.

Nel racconto biblico, quando si tratta di mettere in salvo dalla corruzione e dal diluvio la vita della terra, Dio affida l’impresa alla fedeltà del più vecchio di tutti, il “giusto” Noè.

La vecchiaia salverà il mondo? In che senso? Come? E qual è l’orizzonte? La vita oltre la morte o soltanto la sopravvivenza fino al diluvio?

Quando si limitano a godere della vita, smarriscono perfino la percezione della corruzione, che ne mortifica la dignità e ne avvelena il senso.

Quando si smarrisce la percezione della corruzione, e la corruzione diventa una cosa normale: tutto ha il suo prezzo!

Si compra, si vende, opinioni, atti di giustizia... Questo, nel mondo degli affari, è comune. E vivono spensieratamente anche la corruzione, come se fosse parte della normalità del benessere umano.

Quando tu vai a fare qualcosa e quel processo di fare è un po’ lento, quante volte si sente dire: “Ma, se mi dai una mancia io accelero”.

Quando
la corruzione sembra
normale

Il mondo della corruzione sembra parte della normalità dell’essere umano; e questo è brutto. I beni della vita sono consumati e goduti senza preoccupazione per la qualità spirituale della vita, senza cura per l’habitat della casa comune.

Tutto si sfrutta, senza preoccuparsi della mortificazione e dell’avvilimento di cui molti soffrono, e neppure del male che avvelena la comunità.

Finché la vita normale può essere riempita di “benessere”, non vogliamo pensare a ciò che la rende vuota di giustizia e di amore. “Ma, io sto bene! Perché devo pensare ai problemi, alle guerre, alla miseria, a quanta povertà, a quanta malvagità? Non mi importa degli altri”.

Questo è il pensiero inconscio che porta avanti a vivere uno stato di corruzione.

Si può respirare l’aria della corruzione come si respira l’ossigeno. Ma è una cosa brutta, non è buona! Che cosa le apre la strada? la spensieratezza che si rivolge solo alla cura di sé stessi.

Ecco il varco che apre la porta alla corruzione che affonda la vita di tutti. La corruzione trae grande vantaggio da questa spensieratezza non buona.

Quando a una persona va bene tutto e non gli importa degli altri: questa spensieratezza ammorbidisce le nostre difese, offusca la coscienza e ci rende dei complici.

Perché sempre la corruzione non va da sola: una persona ha sempre dei complici. E sempre la corruzione si allarga.

La vecchiaia è nella posizione adatta per cogliere l’inganno di questa normalizzazione di una vita ossessionata dal godimento e vuota di interiorità: vita senza pensiero, senza sacrificio, senza interiorità, senza bellezza, senza verità, senza giustizia, senza amore: questo è tutto corruzione.

La speciale sensibilità di noi vecchi, dell’età anziana per le attenzioni, i pensieri e gli affetti che ci rendono umani, dovrebbe ridiventare una vocazione di tanti.

E sarà una scelta d’amore degli anziani verso le nuove generazioni.

Saremo noi a dare l’allarme, l’allerta: “State attenti, che questa è la corruzione, non ti porta niente”.

La saggezza
dei vecchi

La saggezza dei vecchi ci vuole tanto, oggi, per andare contro la corruzione.

Le nuove generazioni aspettano da noi vecchi, da noi anziani una parola che sia profezia, che apra delle porte a nuove prospettive fuori da questo mondo spensierato della corruzione, dell’abitudine alle cose corrotte.

La benedizione di Dio sceglie la vecchiaia, per questo carisma così umano.

Quale senso ha la mia vecchiaia? Ognuno di noi vecchi possiamo domandarci. Il senso è questo: essere profeta della corruzione e dire agli altri: “Fermatevi, io ho fatto quella strada e non ti porta a niente! Adesso io ti dico la mia esperienza”.

Noi anziani dobbiamo essere profeti contro la corruzione, come Noè è stato profeta contro la corruzione del suo tempo.

C’è una cosa brutta, quando gli anziani non hanno maturato e si diventa vecchi con le stesse abitudini corrotte dei giovani.

Noè è l’esempio di questa vecchiaia generativa: non è corrotta. Non fa prediche, non si lamenta, non recrimina, ma si prende cura del futuro della generazione che è in pericolo.

Noi anziani dobbiamo prenderci cura dei giovani, dei bambini che sono in pericolo.

Costruisce l’arca dell’accoglienza e vi fa entrare uomini e animali.

Nella cura per la vita, in tutte le sue forme, Noè adempie il comando di Dio ripetendo il gesto tenero e generoso della creazione.

La vocazione di Noè rimane sempre attuale. Il santo patriarca deve ancora intercedere per noi.

E noi, donne e uomini di una certa età, non dimentichiamo che abbiamo la possibilità della saggezza.

Essere come il buon vino che alla fine può dare un messaggio non cattivo.

Faccio un appello, oggi, a tutte le persone che hanno una certa età: denunciare la corruzione umana nella nella quale va avanti questo modo di vivere di totalmente relativo, come se tutto fosse lecito.

Il mondo ha bisogno di giovani forti, che vadano avanti, e di vecchi saggi.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )