Testimonianze
Sono a Leopoli le benedettine dell’Immacolata Concezione di Zhytomhir

Non c’è nulla di eroico nell’offrire rifugio a chi fugge
Abbiamo un dolore
in comune

epa09817797 People with children wait for the train in the railway station as they try to flee the ...
12 marzo 2022

Milioni di persone le hanno conosciute attraverso il video — diffuso in rete dai media vaticani — che le riprendeva al buio, in uno scantinato, a intonare le arie gregoriane dell’ufficio divino: arie di pace che stridevano con le esplosioni e le sirene che squarciavano il cielo fuori dal monastero. Sono le monache benedettine dell’Immacolata Concezione di Zhytomhir. Qualche ora dopo quel video le religiose hanno dovuto lasciare il monastero, prima trovando rifugio nella cattedrale e successivamente, dopo un lungo viaggio, nella casa sorella a Leopoli. E proprio lì, ora, pur non dismettendo la regola della preghiera, supportano in uno spazio limitato ben 130 rifugiati, 40 dei quali bambini. Finalmente siamo riusciti a tornare in contatto con loro. E ieri sera, dopo aver ricevuto l’inaspettata visita del cardinale Krajewski, ci hanno inviato questa breve testimonianza. A scrivere è suor Maria Ludmila osb , 33 anni, monaca da 10.

Cari amici, per la prima volta in due settimane apro il laptop per scrivere qualcosa. Per la prima volta in due settimane di guerra, posso farlo senza lasciare lo zaino nel sotterraneo.

Le sirene si sentono molto meno qui a Leopoli e le bombe non sono ancora cadute come succedeva a Zhytomyr. Dal cielo però arriva di continuo il rumore di aerei militari.

Siamo qui, in questa nuova casa, ormai da sette giorni, ma sembrano un’eternità. Alle nostre spalle abbiamo lasciato bombardamenti infiniti in tutte le città che abbiamo attraversato. E poi un flusso infinito di persone.

Ora vedo l’orrore della guerra non più dai telegiornali. La vedo negli occhi delle persone che incontro. Si tratta di famiglie che hanno già visto carri armati nelle piazze delle loro città o che hanno avuto le loro case distrutte. Bussano alla nostra porta senza conoscere nessuno, vedono il monastero sulla strada e chiedono.

Alcuni giornalisti occidentali vengono spesso da noi, vogliono che diciamo qualcosa; mostriamo quello che facciamo per queste persone. Perché le persone che sono qui non riescono a parlare o a raccontare cosa hanno vissuto prima di arrivare qua. Solo pianto. E parole di ringraziamento. La mamma di una bimba che ha solo 15 giorni — nata con la guerra — e fuggita con lei dopo il parto, mi chiede con stordimento: «Siamo già nel paradiso?»

Non ho altre parole da dire. Solo intorpidimento del dolore. Stupore e incomprensione per questa ingiustizia. E se dovessi scrivere almeno una frase, direi: non voglio più sentire questo rumore di aerei nel cielo.

Ma voi pensate che in questo contesto valga la pena fare un articolo su come alcune monache danno rifugio ai loro concittadini? Cosa c’è di così eccezionale in questo? E come sarebbe possibile non farlo? Non c’è niente di speciale. Non ci sarebbe bisogno neanche di essere cristiani, solo umani. Lo fanno tutti qui. Sono i nostri fratelli e le nostre sorelle, sono le persone con cui abbiamo un dolore comune e ora anche una casa in comune. Il mio Paese è ricco di persone piene virtù e di fermezza di spirito, e molte di loro ora stanno sacrificando la propria vita per consentirci di continuare a vivere, ad amare, a pregare. Molte di loro non torneranno più. Conosciamo i loro nomi. Per questo, non vogliamo che quello che facciamo venga descritto come “eroismo”. Non esiste. Offrire un letto e del cibo a chi non ne ha, non è da eroi. È da umani.

Vi siamo ovviamente grate per l’aiuto che ci date e per informare il mondo sull’orrore che ci opprime. (testimonianza raccolta da Roberto Cetera)