Come parlare della guerra in classe

 Come parlare della guerra in classe  QUO-054
07 marzo 2022

Quando ai ragazzi parli di qualcosa che a loro interessa, te ne accorgi. E, in questi giorni, scoprire cosa sta a cuore alle mie classi non è difficile: appena nomino la parola “Ucraina” piovono le domande, dai toni comprensibilmente allarmistici («Sta per scoppiare la terza guerra mondiale?», «È vero che la Russia userà la bomba atomica?», e così via). 

Anch’io, come altri insegnanti, non ci ho pensato due volte e ho fatto slittare la mia programmazione, cercando di preparare qualche incontro sul tema. Mi permetto così di dare cinque consigli non richiesti ai colleghi che si dovessero trovare nella stessa situazione. 

1) Conoscere (bene) la classe

Come sempre, al centro non ci siamo noi docenti, ma i ragazzi. Occorre parlare di un fenomeno complesso con un linguaggio per quanto possibile semplice. Ma è necessario, ancora prima, sapere chi si ha davanti. Gli alunni ucraini, o con un genitore che viene dall’Ucraina, non sono pochi (io ne ho in tre classi). Parlare della guerra potrebbe aprire qualche ferita dolorosissima. La soluzione non è tacere, ma avere cura, rispetto. Lo stesso che bisogna mostrare nei confronti di chi ha parenti in Russia: il rischio di dipingere quel popolo come brutto e cattivo c’è e va evitato. Peraltro la cronaca ci insegna che molti eroi di questi giorni — compresa la nonnina arrestata per aver mostrato un cartello a favore della pace — sono proprio russi. Dire no alla guerra è molto più comodo per me che vivo a Bologna, rispetto a chi rischia la vita in un regime certamente non democratico.

2) Prendere atto che la guerra
è un fenomeno complesso

Se afferro una matita e lascio la presa, questa cade. Non ci sono altre motivazioni. Certo, qualcuno potrebbe citarmi la legge di gravitazione universale, ma non si va molto più in là. Ciò che ha a che fare con la guerra invece non può essere ridotto a una serie di semplici catene di causa-effetto. Ci sono cause multiple, attori multipli (non esistono solo Russia e Ucraina: a che gioco sta giocando la Cina? E la Belarus? E la Nato?), conseguenze di vario ordine, dall’emergenza profughi alle città devastate, all’economia in ginocchio. Parlare con semplicità, sì, ma senza ammettere semplificazioni. Il lavoro di tanti giornalisti, e tra questi di tanti inviati di guerra, è prezioso come non mai: non facciamone a meno. Se cadiamo nella trappola di una fake news, anche tutto quello che diremo dopo perderà valore. Sarebbe un peccato. 

3) Non avere paura di dire “non lo so”

I miei studenti fanno spesso domande interessanti. E sanno che molte volte io rispondo con le solite tre parole: «Non lo so». Sulla guerra in Ucraina, non faccio eccezione. A maggior ragione, dopo aver visto che molti analisti non ne hanno presa una: c’è chi riteneva impossibile l’invasione in Ucraina, chi, dopo l’annuncio di Putin, pensava che si limitasse al solo Donbass e così via. Vorremmo tutti sapere tutto, ma mostrare il nostro limite (soprattutto sulle domande relative al futuro) non ci svaluterà agli occhi dei nostri studenti. Tutt’altro. 

4) Evitare la numerite
(ci sono anche le persone)

Quanti sono i morti? Quanti gli sfollati? Quanto gas importiamo dalla Russia? I numeri sono importanti: vanno presi da fonti affidabili e offerti ai nostri ragazzi. Ma non bastano. Soltanto con le storie — anche solo due o tre — si riesce a essere pienamente coinvolti, a uscire dal gelo delle statistiche che ci comunicano tanto e nulla allo stesso tempo. Ho in mente il racconto di quelle mamme di Kiev che negli scantinati hanno fatto festeggiare il carnevale ai loro bimbi, in una dinamica simile a quella del film La vita è bella: il gioco per non mostrare l’orrore ai più piccoli. O quell’uomo fuggito da Kharkiv, dove aveva preso casa due anni fa, assieme alla moglie. Sta cercando disperatamente di raggiungere la Polonia o la Romania (qualsiasi posto va bene, basta uscire da quell’inferno di bombe), e sa che lui, per la legge marziale, difficilmente potrà superare il confine. A una radio italiana ha detto che l’importante è che almeno lei si metta in salvo. Queste donne e questi uomini non li conosco, ma in un certo senso li vedo. I soli dati, da soli, non mi riempiono e non mi feriscono il cuore in questo modo.

5) Tra il dire e il fare
c’è di mezzo l’amare

Su questo punto mi sto scervellando da qualche giorno, perché ancora non l’ho realizzato. Ma, vi dirò, mi sono un po’ stufato di parlare un giorno della miseria di una baraccopoli, un altro dei migranti che sbarcano in Italia e adesso della guerra in Ucraina senza fare niente. È vero: portare questi temi in classe è già qualcosa di concreto, se è in grado di lasciare un piccolo seme in almeno uno dei miei studenti. Ma sarebbe bello se noi insegnanti, con i nostri ragazzi, potessimo davvero costruire la pace, con un piccolo gesto capace di alleviare le sofferenze di qualche fratello ucraino. Se riuscissimo a combinare qualcosa, questa sarebbe davvero “scuola”. Se avete qualche idea, condividetela. Mi fareste un grosso regalo.

*Insegnante di Religione

di Lorenzo Galliani*