Decimo giorno di guerra in Ucraina

Per quanto ancora?

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05 marzo 2022

Kiev, 5 Nel decimo giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, la popolazione è sempre più allo stremo delle forze. Gli attacchi si susseguono su più fronti, anche se il ministero della Difesa russo ha annunciato oggi una tregua temporanea e l’apertura di corridoi umanitari per consentire l’uscita di civili da Mariupol e Volnovakha, due località sotto assedio delle truppe di Mosca. A Mariupol, però, lo sgombero dei civili è stato rinviato per il mancato rispetto del cessate il fuoco.

La conquista di Mariupol sarebbe un importante punto di svolta nell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Permetterebbe infatti di collegare le forze russe, che hanno già preso i porti chiave di Berdiansk e Kherson, alla già annessa Crimea e alle truppe unitesi a quelle separatiste nel Donbass.

A Volnovakha, cittadina di 20.000 abitanti, a poca distanza da Donetsk, nel 2015 è avvenuto uno degli episodi più sanguinosi della guerra del Donbass: il bombardamento di un autobus di civili fermo a un checkpoint, nel quale morirono 12 persone.

Nonostante l’apertura dei primi corridoi umanitari, la vasta offensiva militare non si ferma. Anche stamane in molte città ucraine le sirene antiaereo hanno continuano a risuonare.

Gli ultimi raid russi hanno provocato nella sola città orientale di Kharkiv, nella regione della Sloboda Ucraina, oltre 2.000 morti, tra cui 100 bambini. «Possiamo calcolare morti e feriti a centinaia ogni ora», ha confermato il presidente del consiglio regionale di Khariv, Serhiy Chernov. Nella città, secondo centro urbano del Paese, la Cnn ha geolocalizzato 13 zone in cui gli attacchi russi hanno coinvolto civili negli ultimi tre giorni: aree residenziali, scuole, negozi, ospedali e chiese. A Žytomyr, città storica dell'Ucraina occidentale, le monache benedettine — di cui abbiamo riferito sette giorni fa, e il cui video nel quale cantavano l’ufficio divino al buio nei sotterranei aveva commosso il mondo — hanno lasciato nottetempo il monastero, per rifugiarsi nella cattedrale cittadina. Tutti i religiosi del luogo, nell’avvicinarsi dei combattimenti e dei bombardamenti, si sono rifugiati nell’edificio sacro. Ma ieri pomeriggio hanno dovuto lasciarlo e stanno fuggendo con mezzi di fortuna verso ovest.

L’Occidente teme che la Russia si avvii a «bombardare le città» ucraine «fino alla loro sottomissione», dicono fonti di intelligence statunitensi alla Cnn. Proprio per questo, la Corte penale internazionale ha aperto un'indagine su presunti crimini di guerra commessi dalla Russia. Karim Khan, uno dei giudici istruttori della Corte, ha fatto sapere di aver ricevuto il via libera da 39 Stati.

Ma a preoccupare in queste ore è anche l’avanzata dell’esercito di Mosca verso una seconda centrale nucleare, quella di Yuzhnoukrainsk nella regione orientale di Mykoliav, la seconda per importanza del Paese, dopo avere già preso il controllo dell’impianto di Zaporizhzhia (il più grande d’Europa), oggetto di un attacco due notti fa.

Secondo fonti locali, a Zaporizhzhia, sulle rive del fiume Dnipro, gli operai lavorano ora «sotto la minaccia delle armi». L’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha assicurato che dal sito di Zaporizhzhia non si è registrata «alcuna fuoriuscita di radiazioni».

Per molti analisti, la strategia di Mosca appare chiara: assicurarsi il controllo dei centri che garantiscono la fornitura di elettricità all’intera Ucraina. La sola centrale di Zaporizhzhia, infatti, garantisce il 40% della produzione di energia elettrica del Paese. L’attacco a Zaporizhzhia — «il massimo dell’irresponsabilità», ha reso noto la Casa Bianca — suona come un ulteriore campanello di allarme sui drammatici rischi legati al conflitto, spingendo il mondo a sollecitare «misure concrete» per garantire la sicurezza delle centrali nucleari. Per questo ieri è stata convocata di urgenza una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Mosca ha respinto le accuse, sostenendo di non avere sotto controllo Zaporizhzhia dal 28 febbraio, denunciando, invece, un’azione di «sabotatori ucraini, con la partecipazione di mercenari stranieri».

Mentre i raid infuriano lungo tutte le direttrici dell’offensiva, si cerca di accelerare sui negoziati. Dopo i primi due incontri in Belarus tra le delegazioni di Kiev e di Mosca, il terzo round di colloqui, inizialmente previsto all’inizio della prossima settimana, secondo entrambe le parti potrebbe tenersi anche domani, sempre in Belarus.

Ma l’accordo su un cessate il fuoco appare, se possibile, ancora più lontano dopo che il presidente Putin ha chiarito senza mezzi termini la sua posizione: Kiev deve essere «ragionevole», che per il leader del Cremlino significa soddisfare «tutte le richieste russe». Più che una trattativa, un ultimatum. «La posizione della Russia è dura. La posizione dell’Ucraina è dura, quindi i negoziati non saranno facili ma ci saranno», ha affermato Mikhaylo Podoliak, consigliere del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

Al quartier generale della Nato di Bruxelles, intanto, i ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica restano fermi sulla decisione di non entrare nel conflitto, e per questo è stata respinta la richiesta di una no-fly zone sull’Ucraina, ma evocano «pericoli» di invasione russa anche per Bosnia ed Erzegovina, Moldavia e Georgia.