Hic sunt leones

Gli effetti della crisi ucraina sull’Africa

 Gli effetti della crisi ucraina sull’Africa  QUO-052
04 marzo 2022

L’Africa risente delle turbolenze generate da quanto sta avvenendo in Ucraina, soprattutto dal punto di vista politico ed economico. Da una parte si è registrata, nelle dichiarazioni a caldo, una pressoché unanime condanna del ricorso alla violenza armata ed un invito al rispetto del diritto internazionale. Ad esempio, Kenya, Ghana e Gabon — membri non permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu — hanno condannato l’invasione russa dell’Ucraina. Intervenendo alla riunione convocata al Palazzo di Vetro, l’ambasciatore ghanese presso le Nazioni Unite, Harold Agyeman, ha descritto gli sviluppi in corso come «preoccupanti» esprimendo apprensione non solo per l’Ucraina ma per l’intera comunità internazionale.

Anche il suo omologo keniota Martin Kimani ha espresso apprensione per la crisi in atto sul versante orientale dell’Europa e ha chiesto che venga garantita la protezione della popolazione civile. L’ambasciatore gabonese Xavier Biang, ha invece dichiarato esplicitamente che l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina sono state attaccate e che uomini, donne e bambini nel Paese sono coinvolti in una «violenza omicida» che sta generando un esodo di massa che mette in pericolo la loro sicurezza. Dal canto suo il presidente di turno dell’Unione Africana (Ua), il capo di stato senegalese Macky Sall, ha invocando «un cessate il fuoco immediato» per evitare un «conflitto planetario».

È comunque evidente l’imbarazzo di quei Paesi africani che intrattengono proficue relazioni commerciali e militari con il governo di Mosca. Com’è noto infatti, la Federazione Russa, nata a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, era stata costretta a ridimensionare le proprie ambizioni nel continente africano; ma a partire dagli anni 2000, vi è stata una decisa ripresa delle relazioni politiche e commerciali tra Russia e Africa, tanto che l’interscambio commerciale è passato dai 3,4 miliardi di dollari del 2005 ai circa 20 miliardi di dollari del 2019. Sebbene si tratti di valori inferiori a quelli della Cina (200 miliardi di dollari l’anno) e della Francia (55 miliardi l’anno), l’Associazione per la Cooperazione economica con gli Stati africani (Aecas), costituita sotto l’egida del Segretariato del Russia-Africa Partnership Forum (Rapf), ha in cantiere una serie di progetti di finanziamento in Africa con la partecipazione delle principali aziende e banche russe.

Sono numerosi i settori d’intervento nei quali la Russia è già parte attrice. Anzitutto quello militare. Negli ultimi anni, infatti, Mosca ha affermato una presenza significativa in questo settore, andando al di là del tradizionale commercio di armi, soprattutto in alcuni paesi della macroregione subsahariana come la Repubblica Centrafricana, il Mozambico, il Sudan e lo Zimbabwe. Questo nuovo indirizzo ha implicato, oltre alla fornitura di armi e munizioni, l’addestramento militare e l’invio di contractor della compagnia militare privata Wagner. Altrettanto prioritario, nell’agenda della cooperazione russo-africana, risulta essere il settore minerario in paesi come l’Angola, il Botswana, la Guinea, la Namibia, la Repubblica Centrafricana e lo Zimbabwe. Inoltre, molte aziende russe si stanno orientando anche su altri settori come la metallurgia, l’industria chimica, i prodotti agricoli e i progetti infrastrutturali.

C’è da considerare, inoltre, che nel corso della pandemia, l’Algeria è stato il primo paese africano a registrare il vaccino russo Sputnik v , mentre l’Egitto, l’azienda farmaceutica egiziana Minapharm ha accettato di produrre più di 40 milioni di dosi all'anno del vaccino russo contro il coronavirus. In tutto questo ragionamento è importante non sottovalutare il ruolo commerciale dell’Ucraina, quinto esportatore di grano al mondo, che ha numerosi acquirenti in Africa. Basti pensare che la Libia importa grano dall’Ucraina per coprire il 43 per cento del proprio fabbisogno, mentre, l’Egitto dipende per quasi l’85 per cento della domanda interna di cereali dalle importazioni dei due paesi attualmente in guerra.

Alla luce di queste considerazioni dunque non sorprende il differente posizionamento dei paesi africani, in termini generali comunque moderato, rispetto alla crisi in atto nell’Europa orientale, legato, almeno in parte, al mantenimento della cooperazione con Mosca. Mercoledì scorso — è bene rammentarlo — l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che condanna l’invasione russa dell’Ucraina. I Paesi che hanno votato a favore sono stati 141, 5 i contrari, 35 gli astenuti. È interessante notare che la mozione per essere approvata doveva ottenere l’approvazione dei due terzi dei paesi membri; ebbene l’esito è stato superiore rispetto a quello di una analoga mozione di condanna della Russia per l’annessione (incruenta) della Crimea nel 2014, che aveva ricevuto 100 sì, 11 no e 58 astensioni. Sebbene la risoluzione approvata sulla crisi ucraina non abbia un valore legalmente vincolante, è politicamente molto significativa nel comprendere l’orientamento dei Paesi membri. Quelli africani che si sono astenuti sono stati 17 (Algeria, Angola, Burundi, Congo, Guinea Equatoriale, Madagascar, Mali, Mozambico, Namibia, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Sud Sudan, Senegal, Sudan, Sud Africa, Tanzania, Uganda, Zimbabwe), mentre solo uno, l’Eritrea, ha respinto la risoluzione. Non sorprende, in particolare il fatto che un paese come il Sud Africa, alleato strategico di Mosca nell’ambito del cartello dei Paesi emergenti denominato Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) si sia astenuto. Stiamo parlando di due Paesi che hanno legami economici non trascurabili: il Sud Africa ha investimenti in Russia per quasi 5 miliardi di dollari, mentre quelli russi nel Paese dell’Africa Australe ammontano a circa 1 miliardo e mezzo di dollari.

Circa gli effetti collaterali della crisi ucraina sull’economia africana, vi è grande preoccupazione per l’impennata dei prezzi alimentari nella vendita al dettaglio che sta penalizzando in Africa vasti settori della popolazione. Riguardo invece agli aumenti dei prezzi del petrolio e del gas naturale, questi potrebbero rappresentare un vantaggio per i grandi produttori di idrocarburi come l’Algeria, l’Angola la Nigeria e la Libia, anche se poi a giocare un effetto negativo sulle esportazioni sarà l’aumento del costo del trasporto in tutto il continente africano. Una cosa è certa: con l’inflazione in rialzo a livello planetario, le banche centrali avranno sicuramente meno margine di manovra o inclinazione a correre in soccorso ai mercati con stimoli significativi se l’economia mondiale continuerà a vacillare sotto lo shock causato dal conflitto militare in Ucraina. Motivo per cui l’attuale contesto inflazionistico suggerisce che i decisori politici, soprattutto nei paesi industrializzati, saranno inevitabilmente meno flessibili rispetto al passato per rispondere a un rallentamento dell’economia reale e alle sfide poste dalla cooperazione internazionale. Se a ciò si aggiunge la decisione di tagliare, almeno parzialmente, la Russia fuori dalla rete di pagamento Swift, un servizio di messaggistica che collega migliaia di banche e consente loro di trasferire pagamenti in tutto il mondo, potrebbe innescarsi, per una sorta di effetto domino, una nuova e vera recessione in Africa. Una mossa del genere, certamente, isolerebbe la Russia dalla finanza mondiale e impedirebbe il trasferimento dei profitti generati dagli scambi commerciali, penalizzando dunque anche il continente africano. Un continente che ha già i suoi problemi, non solo quello di ridurre il proprio debito ma di rendere operativa l’area di libero scambio africana, l’Africa Continental Free Trade Area (Afcfta). Un’occasione di rilancio e sviluppo che la pandemia ha già rallentato e la crisi ucraina potrebbe seriamente compromettere. Nessuno dispone di una sfera di cristallo per prevedere i futuri effetti collaterali della crisi ucraina in Africa, ma è probabile che possa ridisegnare a breve termine la geopolitica del continente.

di Giulio Albanese