Il magistero

 Il magistero  QUO-051
03 marzo 2022

Sabato 26

Altruismo
e servizio
con la forza della tenerezza

Saluto gli anziani, memoria vivente di dedizione eroica e di allenamento al sacrificio; saluto i giovani, che proseguono il cammino guardando verso l’alto, con l’andatura tenace e paziente del montanaro che sale i ripidi sentieri per guadagnare la vetta.

Sempre con il cuore e le braccia pronti a sostenere i compagni di cordata e a prendersi cura del creato, nostra casa comune, oggi ferita.

Vorrei incoraggiarvi ad andare avanti ancorati alle radici e al tempo stesso “legati in cordata”, solerti nell’aiutarvi, per non cedere alla stanchezza.

Le Penne Nere da 150 anni offrono una bella testimonianza di fraternità e servizio. Due parole che vi descrivono bene.

La vostra realtà, ramificata in varie Sezioni e Gruppi, è stata in grado di fare della diversità dei singoli e della varietà dei raggruppamenti occasioni per accrescere la fraternità.

Mi pare che il segreto non stia solo nei valori che vi accomunano e nello spirito di gruppo che vi contraddistingue, ma soprattutto nel senso vivo dell’altruismo.

Non si è Alpini per sé stessi, ma per gli altri e con gli altri.

Ed è bello che in questo senso vi proponete di “allargare la famiglia”, disponendovi a collaborare con i militari in servizio nell’Esercito e organizzazioni benefiche.

Oggi, nel soffocante clima di individualismo che rende indifferenti molti, c’è bisogno di ritrovare l’entusiasmo di prendersi cura degli altri.

Questa fraternità si alimenta attraverso il servizio.

Mediante il volontariato, siete un costante punto di riferimento. È noto il vostro impegno nelle emergenze.

Il vostro contributo è rivolto specialmente alle persone che si trovano in situazione di sofferenza e di bisogno, perché non si sentano sole ed emarginate.

Traducete nei fatti la fedeltà al Vangelo, che spinge a servire i fratelli, specialmente i più disagiati.

Penso alla vostra presenza accanto ai terremotati e a quanti sono colpiti da calamità; al sostegno nel realizzare infrastrutture per le persone fragili; alla vostra generosa disponibilità durante la pandemia.

Gli Alpini si sono messi al fianco degli italiani negli scenari più disparati.

Non siete rimasti spettatori durante i momenti difficili; siete stati e siete coraggiosi protagonisti del tempo che vivete.

Non a caso vantate quattro Beati, che hanno incarnato il messaggio di Gesù fino all’eroismo: don Carlo Gnocchi, don Secondo Pollo, Teresio Olivelli e Fratel Luigi Bordino.

Vi incoraggio a rimanere attaccati a queste radici forti, per continuare a portare frutto nelle situazioni attuali.

Così non verrà meno nella società l’esempio di fraternità e di servizio proprio degli Alpini. Esempio di responsabilità civile e cristiana.

Voi siete esperti di ospedali da campo. Sapete che non basta piantare le tende; ci vuole anche e soprattutto il calore umano, una presenza-accanto tenera.

A me colpisce la tenerezza del cuore alpino, un uomo forte ma nei momenti della vita più forti, viene quella tenerezza.

Mi viene in mente quel testamento [“Il testamento del capitano”, canto], la tenerezza verso la mamma, la fidanzata, la patria e le montagne.

Forti ma teneri. Possiate offrire questa presenza paterna, vicino alle persone più deboli, nelle quali c’è Gesù.

(All’associazione nazionale degli Alpini)

Domenica 27

Lo sguardo
e il parlare

Gesù ci invita a riflettere sul nostro sguardo e sul nostro parlare.

Il rischio che corriamo, dice il Signore, è concentrarci a guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello senza accorgerci della trave che c’è nel nostro (cfr. Lc 6, 41).

In altre parole, essere attentissimi ai difetti degli altri, anche a quelli piccoli, trascurando i nostri, dandogli poco peso.

Troviamo sempre motivi per colpevolizzare gli altri e giustificare noi stessi.

Ci lamentiamo per le cose che non vanno nella società, nella Chiesa, nel mondo, senza metterci prima in discussione e senza impegnarci a cambiare noi stessi.

Ogni cambiamento fecondo, positivo, deve incominciare da noi. Al contrario, non ci sarà cambiamento.

Ma — spiega Gesù — facendo così il nostro sguardo è cieco.

E se siamo ciechi non possiamo pretendere di essere guide e maestri: un cieco non può guidare un altro cieco.

Il Signore ci invita a ripulire il nostro sguardo. Chiede di guardare dentro di noi per riconoscere le nostre miserie.

Perché se non siamo capaci di vedere i nostri difetti, saremo sempre portati a ingigantire quelli altrui.

Se invece riconosciamo i nostri sbagli e le nostre miserie, si apre per noi la porta della misericordia.

E dopo esserci guardati dentro, Gesù ci invita a guardare gli altri come fa Lui, che non vede anzitutto il male, ma il bene.

Distinguere
la persona
dagli errori

Dio non vede in noi degli sbagli irrimediabili, ma dei figli che sbagliano. Cambia l’ottica: distingue la persona dai suoi errori. Salva sempre la persona.

Crede nella persona ed è sempre pronto a perdonare.

E ci invita a fare lo stesso: a non ricercare negli altri il male, ma il bene.

Dopo lo sguardo, Gesù invita a riflettere sul nostro parlare.

Spiega che da come uno parla ti accorgi subito di quello che ha nel cuore.

Le parole che usiamo dicono la persona che siamo.

A volte, però, prestiamo poca attenzione alle nostre parole e le usiamo in modo superficiale.

Ma le parole hanno un peso: ci permettono di esprimere pensieri e sentimenti, di dare voce alle paure che abbiamo e ai progetti che intendiamo realizzare, di benedire Dio e gli altri.

Purtroppo, però, con la lingua possiamo anche alimentare pregiudizi, alzare barriere, aggredire e perfino distruggere i fratelli.

Il pettegolezzo ferisce e la calunnia può essere più tagliente di un coltello!

Oggi nel mondo digitale, le parole corrono veloci; ma troppe veicolano rabbia e aggressività, alimentano notizie false e approfittano delle paure collettive per propagare idee distorte.

Un diplomatico, che fu Segretario Generale delle Nazioni Unite e vinse il Nobel per la Pace (D. Hammarskjöld), disse che «abusare della parola equivale a disprezzare l’essere umano».

Domandiamoci che genere di parole utilizziamo: esprimono attenzione, rispetto, comprensione, vicinanza, compassione, oppure mirano principalmente a farci belli davanti agli altri?

Parliamo con mitezza o inquiniamo il mondo spargendo veleni: criticando, lamentandoci, alimentando l’aggressività?

Sconvolti
dalla guerra

In questi giorni siamo stati sconvolti da qualcosa di tragico: la guerra.

Più volte abbiamo pregato perché non venisse imboccata questa strada.

E non smettiamo di pregare, anzi, supplichiamo Dio più intensamente.

Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere.

Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio.

E si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra.

Penso agli anziani, a quanti in queste ore cercano rifugio, alle mamme in fuga con i loro bambini... Sono fratelli e sorelle per i quali è urgente aprire corridoi umanitari e che vanno accolti.

Perché chi ama la pace, come recita la Costituzione Italiana, «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (Art. 11).

Beatificati
martiri
di Granada

Ieri, a Granada, in Spagna, sono stati proclamati Beati il sacerdote Gaetano Giménez Martín e quindici compagni martiri, uccisi in odium fidei nel contesto della persecuzione religiosa degli anni Trenta del secolo scorso in Spagna.

La testimonianza di questi eroici discepoli di Cristo possa suscitare in tutti il desiderio di servire il Vangelo con fedeltà e coraggio.

(Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 2 marzo

Una società è sterile se non c’è dialogo tra generazioni

Nel racconto biblico delle genealogie dei progenitori colpisce subito la loro enorme longevità: si parla di secoli! Quando incomincia, qui, la vecchiaia? Ci si domanda.

Cosa significa il fatto che questi antichi padri vivono così a lungo dopo aver generato i figli? Padri e figli vivono insieme, per secoli!

Questa cadenza secolare dei tempi, narrata con stile rituale, conferisce al rapporto fra longevità e genealogia un significato simbolico molto forte.

È come se la trasmissione della vita umana, così nuova nell’universo creato, chiedesse una lenta e prolungata iniziazione.

Tutto è nuovo, agli inizi della storia di una creatura che è spirito e vita, coscienza e libertà, sensibilità e responsabilità.

La nuova vita umana, immersa nella tensione fra la sua origine “a immagine e somiglianza” di Dio e la fragilità della sua condizione mortale, rappresenta una novità tutta da scoprire.

E chiede un lungo tempo di iniziazione, in cui è indispensabile il sostegno reciproco tra le generazioni, per decifrare le esperienze e confrontarsi con gli enigmi della vita.

In questo lungo tempo, lentamente, viene coltivata anche la qualità spirituale dell’uomo.

Ogni passaggio d’epoca, nella storia umana, ci ripropone questa sensazione: è come se dovessimo riprendere da capo e con calma le nostre domande sul senso della vita, quando lo scenario della condizione umana appare affollato di esperienze nuove e di interrogativi inediti.

L’accumulo della memoria culturale accresce la dimestichezza necessaria ad affrontare i passaggi inediti.

I tempi della trasmissione si riducono; ma i tempi dell’assimilazione chiedono sempre pazienza.

L’eccesso di velocità, che ormai ossessiona tutti i passaggi della vita, rende ogni esperienza più superficiale e meno “nutriente”.

I giovani sono vittime inconsapevoli di questa scissione fra il tempo dell’orologio, che vuole essere bruciato, e i tempi della vita, che richiedono una giusta “lievitazione”.

Una vita lunga permette di sperimentare questi tempi lunghi, e i danni della fretta.

La vecchiaia impone ritmi più lenti: ma non sono solo tempi di inerzia. La misura di questi ritmi apre, infatti, per tutti, spazi di senso della vita sconosciuti all’ossessione della velocità.

Perdere il contatto con i ritmi lenti della vecchiaia chiude questi spazi per tutti.

In questo orizzonte ho voluto istituire la festa dei nonni, nell’ultima domenica di luglio. L’alleanza tra le due generazioni estreme, bambini e anziani, aiuta anche le altre due, giovani e adulti, a legarsi a vicenda per rendere l’esistenza più ricca in umanità.

Alleanza contro l’isolamento

Ci vuole dialogo fra le generazioni: se non c’è ogni generazione rimane isolata e non può trasmettere il messaggio.

Un giovane che non è legato alle radici, che sono i nonni, non riceve la forza, come l’albero ha la forza dalle radici, e cresce male, senza riferimenti.

Bisogna cercare, come un’esigenza umana, il dialogo tra le generazioni.

Immaginiamo una città in cui la convivenza delle diverse età faccia parte integrante del progetto globale del suo habitat.

Pensiamo al formarsi di rapporti affettuosi tra vecchiaia e giovinezza che si irradiano sullo stile complessivo delle relazioni.

La sovrapposizione delle generazioni diventerebbe fonte di energia per un umanesimo realmente visibile e vivibile.

La città moderna è tendenzialmente ostile agli anziani (e non per caso lo è anche per i bambini).

Questa società che ha questo spirito dello scarto e scarta tanti bambini non voluti, scarta i vecchi: non servono e li mette alla casa per anziani, al ricovero.

L’eccesso di velocità ci mette in una centrifuga che ci spazza via come coriandoli.

Si perde completamente lo sguardo d’insieme.

Ciascuno si aggrappa al proprio pezzetto, che galleggia sui flussi della città-mercato, per la quale i ritmi lenti sono perdite e la velocità è denaro.

L’eccesso di velocità polverizza la vita, non la rende più intensa. E la saggezza richiede di “perdere tempo”.

Quando torni a casa e vedi tuo figlio, tua figlia bambina e “perdi tempo”, ma questo colloquio è fondamentale.

E quando tu torni a casa e c’è il nonno o la nonna che forse non ragiona bene o ha perso un po’ la capacità di parlare, e tu stai con lui o con lei, tu “perdi tempo”, ma questo fortifica la famiglia umana.

È necessario spendere il tempo con bambini e vecchi, perché ci danno un’altra capacità di vedere la vita.

La pandemia, nella quale siamo ancora costretti ad abitare, ha imposto — molto dolorosamente, purtroppo — una battuta d’arresto al culto ottuso della velocità.

I nonni hanno fatto da argine alla “disidratazione” affettiva dei più piccoli.

L’alleanza visibile delle generazioni, che ne armonizza i tempi e i ritmi, ci restituisce la speranza di non abitare la vita invano.

E restituisce a ciascuno l’amore per la nostra vita vulnerabile, sbarrando la strada all’ossessione della velocità, che semplicemente la consuma.

Perdere tempo

La parola chiave qui è “perdere tempo”. A ognuno di voi chiedo: sai perdere il tempo o sei sempre affrettato dalla velocità?

“No, sono di fretta, non posso …”? Sai perdere il tempo con i nonni, con i vecchi? Sai perdere il tempo giocando con i tuoi figli, con i bambini? Questa è la pietra di paragone.

Questo restituisce a ciascuno l’amore per la nostra vita vulnerabile, sbarrando la strada all’ossessione della velocità, che semplicemente la consuma.

I ritmi della vecchiaia sono una risorsa indispensabile per cogliere il senso della vita segnata dal tempo.

I vecchi hanno i loro ritmi, ma sono ritmi che ci aiutano.

Grazie a questa mediazione, si fa più credibile la destinazione della vita all’incontro con Dio: un disegno che è nascosto nella creazione dell’essere umano “a sua immagine e somiglianza” ed è sigillato nel farsi uomo del Figlio di Dio.

Oggi si verifica una maggiore longevità. Questo ci offre l’opportunità di accrescere l’alleanza tra tutti i tempi della vita.

Il senso della vita non è soltanto nell’età adulta, da 25 anni a 60. Il senso della vita è tutto, dalla nascita alla morte e tu dovresti essere capace di interloquire con tutti, anche avere rapporti affettivi con tutti, così la tua maturità sarà più ricca, più forte.

Lo Spirito ci conceda l’intelligenza e la forza per questa riforma: ci vuole una riforma. La prepotenza del tempo dell’orologio dev’essere convertita alla bellezza dei ritmi della vita.

Questa è la riforma che dobbiamo fare nei nostri cuori, nella famiglia e nella società. Che la prepotenza del tempo dell’orologio diventi convertita alla bellezza dei ritmi della vita.

Convertire la prepotenza del tempo, che sempre ci affretta, ai ritmi della vita.

L’alleanza delle generazioni è indispensabile. Una società dove i vecchi non parlano con i giovani, i giovani non parlano con i vecchi, gli adulti non parlano con i vecchi né con i giovani, è sterile, senza futuro, non guarda all’orizzonte ma sé stessa. E diventa sola.

Dio ci aiuti a trovare la musica adatta per questa armonizzazione delle diverse età: i piccoli, i vecchi, gli adulti, tutti insieme: una bella sinfonia di dialogo.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )