Marija Šveda nel mosaico di padre Rupnik

Una giovane ucraina
nel Palazzo apostolico

 Una giovane ucraina  QUO-050
02 marzo 2022

C’è anche il volto di una giovane ucraina, Marija Šveda, ritratto nei mosaici della cappella Redemptoris Mater, nel Palazzo apostolico vaticano.

Marija aveva 28 anni quando, il 29 settembre 1982, è stata assassinata a botte davanti al portone del numero civico 22 della via Turheneva a Lviv.

La colpa? Non aver voluto consegnare agli agenti del regime comunista la sua borsa con dentro gli oggetti liturgici: Marija si è fatta ammazzare brutalmente piuttosto che cedere ciò che serviva al sacerdote greco-cattolico Petro Perizhok per celebrare — clandestinamente — l’Eucaristia.

Guarda caso, i due «guardiani dell’ordine», così venivano chiamati quei sanguinari, non sono mai stati identificati. Nessuno è mai stato dichiarato responsabile per l’omicidio. Il corpo di Marija è stato riconsegnato ai genitori cinque giorni dopo la morte, con il cranio spaccato e con la mano, quella che stringeva la borsa, sfigurata. Non voleva proprio cedere.

Per Marija non ci sono lapidi a Lviv, anche se la gente sa bene quello che è accaduto in via Turheneva. Ma per lei c’è «qualcosa di più grande» nel Palazzo apostolico in Vaticano. Il teologo e artista gesuita padre Marko Ivan Rupnik — ideatore e realizzatore dei mosaici della cappella Redemptoris Mater — ha scelto di collocare Marija nella parete della “parusia”, tra gli antichi e nuovi martiri accanto a santo Stefano e, significativamente, a Pavel Aleksandrovič Florenskij: straordinariamente una ragazza greco-cattolica ucraina e un pensatore e sacerdote ortodosso russo insieme, nel martirio e nel mosaico della “parusia” della cappella del Papa.

«Ho pensato a Marija in quanto esempio del modo quasi “banale” in cui tanti sono morti a causa di una fedeltà quotidiana, feriale, a Cristo» le efficaci parole di padre Rupnik. E sì, Marija — classe 1954, originaria di Jarychiv, nella zona di Rudky — lavorava a Lviv nella fabbrica di apparecchiature telegrafiche.

Ha racconta a «L’Osservatore Romano» la sua amica Kateryna Lakomska: «Molte di noi aiutavano i sacerdoti a individuare le case dove celebrare, portando tutto l’occorrente per il rito. Nel caso che il sacerdote fosse stato trovato in possesso di oggetti liturgici sarebbe stato arrestato. Era più difficile che la polizia fermasse una donna e le perquisisse la borsetta».

Invece quel 29 settembre 1982 Marija, dopo aver pregato nella cattedrale latina di Lviv, rimasta aperta anche se “controllata”, «vide che padre Petro era stato fermato ma venne subito inseguita, spinta nel portone di una palazzo, e massacrata» ricorda Kateryna.

Coloro che, in queste ore, stanno celebrando l’Eucaristia nelle cantine in Ucraina, portano con sé anche la testimonianza di “santa” Marija Šveda.

di Giampaolo Mattei