Fenomenologia
La traccia simbolica del tempo della Quaresima segue in maniera evocativa due tempi fondamentali nella storia della salvezza: i quarant’anni di peregrinazione del popolo di Israele nel deserto dopo l’uscita dalla schiavitù dell’Egitto, e i quaranta giorni di Gesù nel deserto prima dell’inizio della sua vita pubblica. In un certo senso i quaranta giorni della Quaresima sono incomprensibili senza la Pasqua, senza una meta, senza un motivo.
Ecco perché è sempre sbagliato ridurre l’esperienza cristiana a una mera pratica ascetica vissuta in alcuni momenti dell’anno. Essa la si comprende solo se è illuminata dalla luce della Pasqua. Anzi sarebbe meglio dire che la Quaresima è un allenamento alla luce della Pasqua stessa. Infatti chi vivendo al buio rimane accecato dalla luce improvvisa, così ognuno di noi se non si esercita gradualmente a far penetrare la luce nel proprio buio, può vivere la Pasqua non come un evento di gioia, ma come un incomprensibile cecità interiore.
È l’esperienza di Saulo che prima di divenire Paolo rimane accecato dalla luce dell’incontro con Cristo. Solo gradualmente, così come avviene nella pedagogia quaresimale, potrà recuperare la vista e la comprensione di ciò che gli è accaduto. Detto questo però c’è da dire che l’immaginario collettivo della Quaresima è tutto permeato dall’esperienza delle tentazioni di Gesù nel deserto (Lc 4, 1-12). Ciò che colpisce dei racconti del Vangelo è il fatto che l’esperienza della prova e della tentazione avvenga per esplicita spinta dello Spirito Santo di cui Gesù è colmo.
È proprio qui che molti fraintendimenti possono impedire una corretta comprensione della tentazione e della prova. Tutti siamo convinti che sia il male a condurci nel deserto e nel cuore della prova, ma l’opera del male quando diventa scontro frontale è già un’opera destinata a fallire. Lo scopo del male è impedire che entriamo nel deserto, nella prova, nello scontro frontale. A nessuno piace il deserto e la desolazione perché sono esperienze che ci mettono in contatto con noi stessi, con la nostra fragilità, con il nostro limite. Per usare un termine caro al Vangelo dovremmo dire che il deserto e la desolazione ci mettono in contatto con la nostra fame, con la nostra mancanza. L’uomo pur di sfuggire a questo tipo di esperienza è disposto a tutto. Ed è qui che il male interviene come alternativa al deserto e alla desolazione. Esso offre all’uomo una via di fuga, un modo per sfuggire questo bagno di realismo e di autenticità.
Al contrario, la vita spirituale, cioè l’azione dello Spirito in noi, quando è vera agisce in maniera opposta: ci guarisce da ogni forma di alienazione e di fuga e ci conduce nel cuore stesso della realtà, nel fondo della desolazione e del deserto. Solo lì noi possiamo davvero conoscere noi stessi e guardare faccia a faccia ciò che ci compie e ciò che ci rovina. Il male lo si può vincere solo quando è costretto a manifestarsi, diversamente egli agisce indisturbato. Ma finché avremo paura di questo incontro/scontro egli continuerà ad avere potere su di noi. Da questa consapevolezza deve partire il desiderio di conversione di ogni cristiano, infatti è la crisi il luogo teologico dell’incontro con Dio. Accettare di entrare in crisi significa accettare di incontrare Dio. È infatti nella perdita del controllo sui nostri bisogni, sugli altri e su Dio stesso che si giocano le tre tentazioni che il diavolo scaglia contro Gesù. Egli vuole convincere il figlio di Dio che non si può disobbedire alla propria fame, che dà gioia tenere il mondo nelle proprie mani e che l’apice della libertà è poter controllare Dio stesso.
Ma Gesù vince tutte e tre queste tentazioni perché mostra come l’essere figli si vede proprio dal saper dire di no alla propria fame, alla tentazione di governare il mondo e alla vertigine di mettere alla prova Dio stesso. Il Vangelo ci racconta questo per ricordarci che solo se siamo convinti che esista una libertà radicale come quella di Gesù, ed è vivibile da ciascuno di noi, allora è anche possibile accogliere la Pasqua. Diversamente è solo tradizione, abitudine, pretesto, ma non salvezza. Ben vengano allora le tentazioni se ci portano a una simile consapevolezza.
di Luigi Maria Epicoco