L’arcivescovo Peña Parra ai parlamentari italiani

C’è bisogno di cristiani
che si dedichino alla pace

 C’è  bisogno di cristiani  che si dedichino alla pace  QUO-050
02 marzo 2022

In questo tempo c’è «bisogno di cristiani che con umiltà e passione si dedichino alla pace di tutti», a risanare «situazioni di ingiustizia che vanno oltre i propri confini e ad aprire coraggiose vie di fraternità». Lo ha detto l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, durante la preghiera presieduta stamattina, 2 marzo, nel chiostro della chiesa romana di San Gregorio Nazianzeno, presso il complesso della Camera dei Deputati italiani. Oltre al cappellano di quest’ultima, monsignor Francesco Pesce, erano presenti circa trecento parlamentari di tutti gli schieramenti politici, che hanno accolto l’appello di Papa Francesco a pregare e digiunare per l’Ucraina in questo mercoledì delle ceneri.

La pace di Gesù, ha evidenziato il presule, non è «momentanea assenza di conflitti, anche se, specialmente ora, sarebbe già molto». È questione di «riconciliazione, di ricostituire l’unità perduta, di riportare armonia tra i distanti e vicinanza tra i lontani».

La drammatica situazione dell’Europa orientale ha fatto irruzione con tutta la sua violenza nella vita degli abitanti di tutto il continente e la preghiera è stata vissuta come risposta alle distruzioni e alle divisioni. Il sostituto della Segreteria di Stato ha sottolineato che la vera pace è «tradurre la fraternità di quell’amore che Cristo ha mostrato sulla croce per fare di tutti noi, individui diversi, litigiosi e spesso in conflitto, dei figli dello stesso Padre».

Allora, ha aggiunto l’arcivescovo, per essere «beati in quanto operatori di pace», occorre anzitutto «accogliere la nostra figliolanza e chiedere nella preghiera di saper vedere gli altri come figli dello stesso Padre». Per questo, «lavorare per la pace richiede di essere prima di tutto nella pace, di invocare Dio e di lavorare sul proprio cuore». La pace di Gesù, in questo senso, va “conquistata”. Infatti, va «ottenuta attraverso una lotta interiore», condotta usando «le armi di Dio». Monsignor Peña Parra ha poi ricordato l’espressione usata dal Pontefice nell’appello del 23 febbraio scorso, indicendo l’odierna Giornata di preghiera e di digiuno: «Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio». In un versetto evangelico, ha aggiunto il presule, «il Signore spiega infatti ai discepoli che alcuni demoni si sconfiggono solo con la preghiera e il digiuno (cfr. Mt 17, 21)». Per questo, «di fronte alle barbarie cui stiamo assistendo, non è difficile pensare al “demone della guerra”». Infatti, «violenze tanto disumane, che sembrano eccedere la stessa cattiveria umana, domandano di essere contrastate a un livello superiore, spirituale. Ecco perché pregare per la pace».

È, questo, «il primo passo per un cristiano». Però, come «la beatitudine ricorda, occorre anche operare per la pace». Ma come fare a costruire l’armonia riconciliata di cui Gesù parla, si è chiesto l’arcivescovo? «Voi stessi — ha detto ai parlamentari — in questi giorni abitati da tragica preoccupazione, avete dato un bell’esempio anteponendo alle distanze e alle frizioni politiche una quanto mai opportuna coesione». Ora, per edificare la pace, «ci viene in aiuto una nota profezia biblica, che delinea un metodo». È quella di Isaia, che afferma: «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2, 4). Papa Francesco, ha ricordato il presule, nel viaggio in Iraq commentò queste parole «con una certa amarezza», osservando come la profezia non si sia «realizzata, anzi spade e lance sono diventate missili e bombe» (6 marzo 2021). Quanto ciò «è tristemente vero oggi!». Il profeta delinea però «implicitamente la via per adempiere la profezia, che potremmo compendiare in una parola: trasformazione». Isaia non dice infatti che «spade e lance spariranno», bensì che «il materiale di cui sono fatte le armi andrà trasformato in strumenti di lavoro»: aratri e falci, appunto. Operare per la pace significa dunque «lavorare con il materiale esistente»: è quello che va convertito. «La pace biblica è profezia che chiede concretezza».

Del resto, «per mutare una spada in un aratro e una lancia in una falce occorre dapprima smontare l’arma». Quindi, «c’è un disfare», che «riguarda la pace». Certamente, la pace «concerne minacce da sventare, ma non dimentichiamo che ciò richiede anche un lavoro quotidiano, paziente e lungimirante, in grado di sradicare non solo le cause prossime, ma soprattutto quelle remote della violenza». Operare per la pace in questo senso significa «adoperarsi per il disarmo». Sembra paradossale «parlarne ora, ma è evidente che le troppe armi presenti sulla Terra, con i tanti giri di affari collegati», spesso «coperti da impenetrabili cortine di fumo, rischiano prima o poi di essere usate». Anziché essere «deterrenti per i conflitti, costituiscono, come vediamo in queste ore, minacce di distruzione». E se questo è lo smontare, ha concluso il presule, la pace «comporta anche un ricostruire».