DONNE CHIESA MONDO

Intervista con Linda Laura Sabbadini, direttora centrale dell'Istat

L’inverno delle culle:
il caso italiano

 L’inverno delle culle:  DCM-004
02 aprile 2022

Sabbadini: scarto tra numero dei figli desiderati e quelli avuti


La cosa grave non è semplicemente il calo delle nascite, ma il forte scarto tra numero di figli desiderati e numero di figli realmente avuti. «Le persone desiderano i figli, ma c’è un problema serio nel metterle in condizione di averli». È questo che pensa dell’inverno demografico Linda Laura Sabbadini, direttora centrale dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica italiano.

La spiegazione parte da lontano. «L’Italia è un Paese a permanente bassa fecondità. La situazione agli studiosi era chiara da tempo e lo hanno evidenziato. Il problema è che nessuno ha pensato che ci si dovesse dotare di una strategia adeguata per fare fronte». Da quanto tempo fosse chiaro, Sabbadini lo dice con i numeri: «Per un equilibrio demografico, dovremmo avere una media di 2,1 figli per donna. Alla fine degli anni Settanta siamo andati a finire sotto i due, per scendere sotto l’1,5 verso la metà degli anni Ottanta e non risalire più. Questo, all’inizio, si è riflesso sulle classi di età più giovani ma, diventando permanente, ha impattato negli anni anche la popolazione in età lavorativa. E mentre questa popolazione diminuisce, cresce quella di 65 anni e più, la generazione del baby boom. A cavallo degli anni Sessanta, avevamo un livello di nati di un milione l’anno, mentre ora non arriviamo a 400mila». Si riduce così, drasticamente, il numero delle madri potenziali: «Un milione di bambini, a distanza di 25 anni, fornisce una generazione di donne che, approssimando, è pari a 500 mila; 400 mila bambini, ne forniscono 200 mila». Perché nasca lo stesso numero di bambini ci sarebbe bisogno che le donne facessero più figli delle generazioni che hanno avuto figli negli anni Sessanta, cosa assolutamente non realistica.

A questa strozzatura si somma la distanza tra il desiderio e la sua realizzazione. «Il numero desiderato di figli in media è stabile a 2 in tutte le ricerche». Ma ecco gli ostacoli: «Non ci si è mai dotati di politiche che rendano possibile la realizzazione di questo desiderio - spiega la direttora centrale dell’Istat - Siamo un Paese che ha molto disincentivato la maternità, in cui fare un figlio è una grossa penalizzazione per le donne. Il tasso di occupazione femminile crolla quando nascono i figli, perché una donna su 5 è costretta a lasciare il lavoro. O c’è una rete familiare, una nonna o più, oppure, in ampie zone del Paese, le donne non sono in grado di garantire la crescita dei propri bambini e sono costrette a penalizzarsi: prendendo un part-time, rinunciando a incarichi o addirittura rinunciando al lavoro».

Perché i servizi sul territorio mancano. «La legge che istituiva i nidi pubblici, addirittura del 1971, non è stata messa in atto: oggi solo il 12 per cento dei bimbi va ai nidi pubblici e, nella totalità, ci va il 23 per cento. I bambini non hanno un vero e proprio diritto alla fruibilità dei nidi. È stato disatteso anche il Consiglio Europeo di Lisbona 2000, che poneva come obiettivo il 33 per cento entro il 2010, oltre al 60 per cento di tasso di occupazione femminile. Dodici anni dopo, siamo dieci punti sotto in tutti e due i casi».

Il punto resta la carenza di infrastrutture sociali: «La politica, in Italia, non si è fatta mai carico, né come centrodestra, né come centrosinistra, di dotarsi di una strategia. Si fanno le leggi e non si applicano: quella del’71 sui nidi, ma anche la 328 del 2000 sull’assistenza di anziani e disabili, che ricade in gran parte sulle donne. E noi ci ritroviamo con un investimento nelle politiche di assistenza ai disabili e agli anziani che è un quarto di quello della Germania. Sì, è un investimento: in qualità della vita. Mentre da noi, le politiche sociali sono considerati costi».

Anche per superare l’inverno demografico, serve un processo di redistribuzione. «Così come si parla di redistribuzione del reddito per combattere le disuguaglianze di natura economica, noi dobbiamo avere una redistribuzione delle ore di lavoro familiare non retribuito nella coppia e nella società. serve una diversa condivisione delle responsabilità genitoriali nella coppia e della conciliazione dei tempi di vita nella società, attraverso i servizi».

È una questione di diritti. «Diritti per i bambini, perché i bimbi che non vanno al nido di solito sono i più poveri; e sono privati di uno strumento fondamentale per un buon percorso scolastico. Diritti per le donne. Diritti per gli anziani e i disabili». E anche questo è un cerchio che si chiude. «L’approccio economicistico, che considera totalmente secondarie, e pura spesa, le azioni che hanno a che fare con la qualità della vita, provoca tassi di occupazione femminile ancora più bassi, perché genera meno servizi dove solitamente sono impiegate donne. E’ una reazione a catena negativa: da un lato, si sovraccaricano le donne di lavoro non retribuito, dall’altro non si creano i posti di lavoro per cui molte di loro sono formate. Rispetto a Paesi come Francia e Germania, abbiamo una percentuale più bassa di donne inserite nella pubblica amministrazione, nella sanità e nell’assistenza, semplicemente perché abbiamo investito meno nei servizi, 5 punti in meno della media europea».

Qualcosa però si muove. «Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. ci sta investendo un po’ di più, anche se non quanto sarebbe necessario: ci stiamo dando l’obiettivo del 33 per cento per i nidi entro quattro anni, lo stesso che ci aveva dato l’Ue per il 2010… E’ un passo avanti, però dobbiamo essere coscienti che anche quando lo avremo fatto, sarà ben poca cosa».

Così come aiuta, ma non basta, l’assegno unico per i figli. «Ha messo ordine tra molti bonus ed è un utile strumento di supporto al costo dei figli. Dobbiamo guardare all’ esperienza della Francia: una combinazione tra una politica di forte sostegno al costo dei figli e una politica che punti su responsabilità genitoriali, sviluppo delle infrastrutture sociali e conciliazione dei tempi di vita. Il solo assegno non basta».

Anche sulla condivisione delle responsabilità genitoriali, la strada è lunga. «Nelle coppie di genitori occupati, il 67 per cento del lavoro non retribuito ricade sulle donne. Alla fine degli anni Ottanta eravamo all’80 per cento. È un processo andato avanti molto lentamente e non tanto perché gli uomini abbiano aumentato: sono le donne che hanno tagliato, non sulla cura dei figli, ma sul lavoro di servizio, la pulizia. Perché non ce la facevano più. Serve dare una volta per tutte pari dignità alle politiche sociali rispetto a quelle economiche. Non è mai stato fatto nel nostro Paese».

di Federica Re David


Linda Laura Sabbadini
Direttora centrale dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica italiano, è  pioniera europea delle statistiche per gli studi di genere. Nel 1995 ha partecipato alla Conferenza mondiale sulle donne di Pechino. Si è occupata  in particolare di donne, benessere, povertà, discriminazioni, migranti, ambiente, equosostenibilità, volontariato.