A Granada il cardinale Semeraro ha beatificato sedici martiri

Dono e grazia
per tutta la Chiesa

 Dono e grazia per tutta la Chiesa  QUO-047
26 febbraio 2022

La santità dei martiri non è mai «un evento del passato»; è sempre, «al contrario, una grazia per la Chiesa». Così il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, durante la beatificazione a Granada di Cayetano Giménez Martín e quindici compagni martiri — tredici sacerdoti, un seminarista e un laico membro dell’Azione cattolica — uccisi in odio alla fede nel 1936 durante la guerra civile in Spagna. Il rito, presieduto dal porporato in rappresentanza di Papa Francesco, si è svolto sabato mattina, 26 febbraio, nella cattedrale della città, dopo che era stato rimandato il 23 maggio 2020 a causa della pandemia di covid-19.

Nell’omelia il cardinale ha ricordato come sant’Ambrogio dicesse che «noi siamo frutto dei martiri e per questo dobbiamo invocarli. Loro sono per noi come una caparra di vita eterna». Anche se sono stati deboli, ha aggiunto, e «hanno commesso peccati», sono stati «purificati dal loro stesso sangue e adesso possono intercedere per i nostri peccati».

I martiri di Dio, ha spiegato il prefetto, sono «quelli che ci guidano, coloro che ci aiutano a guardare nella nostra stessa vita». Non bisogna, dunque, «avere paura di mostrare a loro le nostre infermità perché loro stessi, pur avendo conseguito la vittoria, hanno sperimentato la fragilità umana».

Così, ha fatto notare il celebrante, «onoriamo e veneriamo i nuovi beati martiri, consapevoli che in loro, pur fragili e deboli come noi, benché in modo misterioso, Cristo è presente». In proposito ha citato le parole di Tertulliano Christus in martyre est, per rimarcare che è Cristo la forza degli uomini, in modo che, come scrive san Paolo, ciascuno può dire con fiducia: «tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4, 13).

I martiri di Granada che «onoriamo e veneriamo, come tanti altri e altre di questa meravigliosa terra, hanno dato a Cristo la loro testimonianza sopportando grandi sofferenze e subendo la morte stessa nel contesto di vicende tragiche e dolorose dal carattere anticristiano». I sacerdoti e i fedeli che vengono beatificati sono stati «fin dal principio indicati come martiri di Granada», dato che nella causa per la loro beatificazione «si videro presto coinvolti gli arcivescovi di questa Chiesa e l’intero popolo cristiano di Granada».

Tutto si svolse nel 1936, ha fatto notare il prefetto, ma già nel 1939 i loro nomi «furono scolpiti su due pilastri marmorei della cappella maggiore» della cattedrale. Il primo di questi martiri, Cayetano Giménez Martín, è ricordato come «uomo contemplativo e semplice» che in ognuno «riconosceva l’immagine di Dio e la rispettava come tale». Fra tanti sacerdoti c’era anche un seminarista, Antonio Caba Pozo, aveva appena ventidue anni e al persecutore che lo minacciava disse: «Uccidimi quando vuoi: io muoio per Cristo». E con loro c’era pure un fedele laico, José Muñoz Calvo, presidente del ramo giovanile dell’Azione Cattolica di Alhama di Granada. Incoraggiava i suoi compagni: «Moriamo tranquilli, siamo cattolici e il nostro unico delitto è esserlo. Viva Cristo Re».

Il porporato ha evidenziato che tutti, «nel subire la morte violenta, nell’intimo del loro cuore gridarono a Dio: La tua misericordia vale più della vita (Sl 63, 4)». Cassiodoro, ha aggiunto il prefetto, letterato e politico calabrese vissuto nel vi secolo, commentava così il versetto citato: «Il salmista chiama misericordia i beni che il Signore promette ai suoi santi con generosa bontà e che sono di gran lunga preferibili alla vita presente. Questa vita è colma di innumerevoli pene, l’altra invece di una serenità eterna. Questa tanto differisce dalla luce del mondo quanto i tormenti possono essere diversi dalla pace eterna. È per tale motivo che moltitudini di martiri accettano volentieri di morire a questo mondo, convinti come sono che, a causa di questa morte temporale, saranno vincitori in eterno».

Alla luce del Vangelo proclamato nella liturgia del giorno, si può riuscire a capire il senso di una scelta paradossale: «scegliere la morte per la vita!». Ha poi fatto riferimento all’«essere per la morte» del filosofo Martin Heidegger il cardinale Semeraro, facendo notare che «noi, alla luce della fede in Cristo crocifisso e risorto, riconosciamo che proprio dalla morte nasce la vita».

Gesù, ha proseguito il cardinale, è «il chicco di grano che sepolto nella terra rinasce come spiga e questa è la Chiesa». La legge richiamata dal Signore, però, «vale anche nella Chiesa». Infatti, per «produrre frutto occorre morire». È pure in questa ottica, «dei frutti di vita eterna», che si deve guardare alla vicenda dei martiri. È uno sguardo che «apre l’animo alla speranza di un frutto abbondante. Semen est sanguis christianorum diceva Tertulliano, antico autore cristiano».

L’esempio di fedeltà a Cristo che si trova «nella fine sanguinosa dei nuovi beati sia, allora, premessa e promessa di una nuova seminagione». Spunti da essa, ha auspicato, «il grano sufficiente per avviare una grande moltiplicazione di pane al fine di sfamare la moltitudine degli uomini». La santità dei martiri, infatti, «non è mai un evento del passato»; è sempre, al contrario, «una grazia per la Chiesa». Infine il porporato ha concluso rievocando un inno per le lodi nella festa dei martiri dell’antica liturgia mozarabica — nata nel iv secolo nella penisola iberica — che inizia così: Laudes sanctorum martyrum – quos sacra fecit passio – Christi conformes gloriae – puris canamus cordibus ( pl 86, 1003). È il canto che «anche noi vogliamo oggi elevare al Signore, grati per il dono che egli ha fatto alla Chiesa» di questi sedici nuovi beati: «Con cuore puro, cantiamo le lodi dei santi martiri, che la beata passione ha reso somiglianti al Cristo glorioso».