Un testo inedito di Joseph Ratzinger
Omelia per la XV domenica del Tempo ordinario c (10 luglio 1977) “Domenica del Papa”

«In comunione
con il nostro papa Paolo VI»

Joseph Ratzinger (r), Erzbischof von München und Freising, wird im Jahr 1977 im Vatikan zum Kardinal ...
25 febbraio 2022

Quello qui pubblicato è un testo inedito del Papa emerito Benedetto xvi : si tratta dell’omelia dell’allora cardinale Joseph Ratzinger tenuta a Monaco il 10 luglio 1977 in occasione di una messa per Paolo VI, dal titolo «In comunione con il nostro papa Paolo VI». Il testo viene ora pubblicato nel volume VIII/1  della sua Opera omnia, Chiesa: segno tra i popoli. Scritti di ecclesiologia e di ecumenismo (Libreria Editrice Vaticana, pp. 950, euro 90). Il volume sarà presentato martedì 1° marzo al Pontificio Collegio Teutonico in Vaticano alle ore 18. Dopo i saluti di padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione Ratzinger, di monsignor Stefan Heid, della Biblioteca Ratzinger, e di Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale di Lev, interverranno il cardinale Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio consiglio «Cor Unum», e Giulio Tremonti, presidente dell’Aspen Institute, sul tema «La Chiesa dell’amore è anche la Chiesa della verità». L’eredità di Benedetto XVI  nelle due encicliche sulla Caritas. Moderatore Nico Spuntoni. Info su www.libreriaeditricevaticana.va.

«In comunione con il nostro papa Paolo vi »
Omelia per la xv domenica del Tempo ordinario c

(10 luglio 1977)
“Domenica del Papa”

Letture: Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37

Oggi siamo molto lontani dall’entusiasmo per il papa che in Germania abbiamo sperimentato ai tempi di Pio xii e di Giovanni xxiii . Il “sentimento antiromano”, che in Germania ha alle spalle una tradizione lunga e profondamente radicata, determina nuovamente il clima; e anche fra i cattolici la parola “romano” in larga parte si è trasformata in un insulto. Nelle dispute conciliari, vescovi e curia venivano continuamente contrapposti; la curia si trasformava in spauracchio di arretratezza e la presunzione di possedere il cristianesimo migliore era quotidianamente alimentata. Quello che all’interno del Concilio era un reciproco dare e ricevere, tensione comune per la retta affermazione dell’unica fede, all’esterno — ma anche per molti partecipanti all’interno — si configurava sempre più come contrapposizione tra un gruppo inferiore e un gruppo superiore; una presa di posizione che solleticava talmente la presunzione da assurgere ben presto a generale premessa concettuale.

Ma emergono anche obiezioni profonde, che a partire da tali sentimenti acquistano nuovo peso. Il papato non rappresenta forse una pretesa eccessiva? Può un uomo, un solo uomo, fallibile e debole, portare tutto il peso delle decisioni ultime per l’unità della Chiesa? Non si tratta anche di una sorta di arroganza che si erge contro l’assoluta signoria di Gesù Cristo che è l’unico Signore e l’unico capo della sua Chiesa, proprio come abbiamo appena ascoltato dalla Lettera ai Colossesi (Col 1, 15-20)?

A fronte di tali obiezioni sta il fatto che Cristo stesso ha chiamato Simone a essere discepolo, conferendogli il mandato di essere pietra. A fronte di tali obiezioni sta il fatto che è stato lui, il Buon Pastore, a scegliere Pietro come pastore di tutta la Chiesa. E a fronte di tali obiezioni sta infine il fatto che Cristo diede a Pietro il potere di legare e sciogliere, chiamandolo a confermare i fratelli nella fede. E tuttavia, fra obiezioni e fatti non c’è contraddizione. Nell’uomo fallibile, Cristo mostra la sua forza infallibile; nell’uomo ondivago e debole, egli mostra la sua fedeltà che nulla può sovvertire. Cristo non ha promesso che tutti i papi sarebbero stati dei santi o dei geni. Egli per mezzo di uomini opera quello che nessuno di questi uomini può operare. Così, riconoscere il papa è proprio riconoscere la grazia e la potenza di Gesù Cristo, che appunto in questo modo rimane il Signore della sua Chiesa. Nei racconti neotestamentari del mandato affidato a Pietro, questo nesso è messo sempre in rilievo con grande forza. Pietro significa “roccia”. Ma Pietro, per il suo carattere, era tutt’altro che una roccia. Irascibile, facile a entusiasmarsi tanto quanto a cadere in preda alla paura, iracondo e insieme debole e dal cuore tenero, egli è l’immagine del carattere amabile ed emotivo al quale manca la fermezza di un uomo totalmente definito da volontà e razionalità. Chiamarlo “roccia” agli occhi degli uomini poteva sembrare addirittura ironico. Non era lui la roccia, solo Cristo poteva esserlo in lui e per mezzo di lui. L’evangelista Matteo mette con forza in evidenza quest’aspetto nel racconto del conferimento del potere di legare e di sciogliere: subito dopo questo conferimento, Gesù ha annunciato che a Gerusalemme avrebbe dovuto soffrire molto. Al che Pietro protesta con irruenza, lo rimprovera: “Questo non accadrà mai!”. Ma Cristo lo riprende molto duramente: “Dietro a me, Pietro!”. Pietro aveva voluto precederlo e stabilire lui la strada che Cristo deve stabilire. Aveva iniziato a trasformare la sequela nel suo contrario. “Dietro a me!”, dice Gesù. Non sei tu a precedere, non stabilisci tu la strada; tu devi seguire il Maestro. Gesù a questo proposito lo chiama “Satana”: avversario; e “scandalo”: pietra sulla quale s’inciampa. Di per sé Pietro è solo una pietra, una piccola pietra grande quanto basta per fare inciampare il distratto. Lui, che di per sé serve solo per far inciampare, che è uno scandalo, grazie al Signore è Pietro, roccia. In ultima analisi, nella storia, è e deve essere così: riconoscere il papato non è contro il capo, Cristo, ma è riconoscere il potere vincente della sua grazia; è riconoscere Colui che opera attraverso gli uomini quello che solo Lui può operare.

A questo punto forse sorge in voi la domanda: tutto questo in teoria può essere bello e buono, ma come funziona in pratica? Come possono coesistere l’unicità di Cristo e il papa come centro visibile dell’unità della Chiesa? Forse non c’è miglior modo di vederlo che nell’Eucaristia, la preghiera fondamentale della Chiesa, nella quale non solo si esprime ma si realizza giorno per giorno il cuore della vita di essa. L’Eucaristia al fondo ha a che fare solo con Cristo. Egli prega per noi, ci mette la sua preghiera sulle labbra, poiché solo lui può dire: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Ci attira così dentro la sua vita, dentro l’atto dell’amore eterno in cui egli si offre al Padre, così che, insieme con lui, siamo offerti al Padre e in questo modo riceviamo in dono Gesù Cristo stesso. Perciò l’Eucaristia è sacrificio: offerta a Dio in Gesù Cristo e al contempo il ricevere il dono del suo amore. Cristo è il donatore e, allo stesso tempo, il dono: per mezzo di lui, con lui e in lui noi celebriamo l’Eucaristia. In essa è continuamente presente e vero ciò che dice l’Epistola di oggi: Cristo è il capo della Chiesa che egli acquista mediante il suo sangue. Allo stesso tempo, in ogni celebrazione eucaristica, seguendo un’antichissima tradizione, diciamo: noi celebriamo in unione con il nostro papa Paolo. Cristo si dà nell’Eucaristia ed è tutto in ogni luogo, per questo tutto il mistero della Chiesa è presente ovunque venga celebrata l’Eucaristia. Ma Cristo in ogni luogo è anche un’unica persona e per questo non lo si può ricevere contro gli altri né senza gli altri. Proprio perché nell’Eucaristia c’è Cristo tutto intero, l’indiviso e indivisibile Cristo, proprio per questo l’Eucaristia può essere autentica solo se essa è celebrata con tutta la Chiesa. Abbiamo Cristo solo se lo abbiamo insieme con gli altri. Appunto perché nell’Eucaristia si tratta solo di Cristo, essa è il sacramento della Chiesa. E per questa stessa ragione essa può essere accostata solo nell’unità con tutta la Chiesa e con la sua autorità. Per questo la preghiera per il papa fa parte del Canone eucaristico, della celebrazione eucaristica. La comunione con lui è la comunione con il tutto, senza la quale non vi è comunione con Cristo. La preghiera cristiana e l’atto di fede cristiano implicano il credere all’interno del tutto, il superamento del limite del particolare. La liturgia non è l’iniziativa di un club, di un gruppo di amici; la riceviamo dal tutto e dobbiamo celebrarla a partire dal tutto e in vista del tutto. La nostra fede e la nostra preghiera sono autentiche solo quando vivono continuamente in questo atto di superamento di sé, di auto-espropriazione, che avvicina alla Chiesa di tutti i luoghi e di tutti i tempi: questa è l’essenza della del cattolicesimo. Proprio di questo si tratta quando, andando al di là della nostra piccola realtà, ci leghiamo al papa ed entriamo così nella Chiesa di tutti i popoli.

Oggi assistiamo al fatto curioso e inatteso che si volgono contro il papa proprio quelli che fino a vent’anni fa erano gli appassionati seguaci del papato; e che l’unità con il papa è minacciata più gravemente da coloro che fino a poco tempo fa di essa erano i più convinti alfieri. Ricevo giornalmente lettere che lamentano la distruzione della liturgia, che vedono nelle riforme del Concilio la distruzione della Chiesa. In esse a volte mi commuove il tono di una sofferenza intrisa di fede profonda per la Chiesa e con la Chiesa, l’accusa che nasce da un amore tradito; ma non di rado mi scuote profondamente anche il tono di presunzione e di odio che da esse trasuda. È vero che nei discussi anni successivi al Concilio c’è stata una iattanza che non ricercava più la fede della Chiesa, ma solo ciò che era di proprio gradimento. È vero che spesso la liturgia, il santo dono del Signore a tutta la Chiesa, non di rado è stata trasformata in laboratorio per sperimentare proprie idee. Dobbiamo anche ammettere che persino nelle riforme più giustificate e sensate abbiamo considerato troppo poco ciò che era stato prezioso per il cuore cristiano; che alcune cose sono state fatte in modo avventato e senza sufficiente preparazione spirituale. Ma non è vero che la Chiesa ha smesso di essere cattolica. Nulla di autenticamente cattolico, nulla di autenticamente conforme alla fede ha perso il suo posto nella Chiesa e tutti noi dovremo impegnarci perché questo sia percepibile da chiunque senza ostinazione entri e prenda parte alla comunità viva della Chiesa. Con la divisione non si ottiene nulla, non si guadagna nulla. Infatti, se sono rivolte contro la Chiesa proprio quelle cose che un tempo ne avevano rappresentato la forma, queste cose non sono più le stesse. Si sono staccate, sono espressione di ostinazione, e perciò sono profondamente mutate. Solo l’unità può essere feconda. Agostino lo sottolinea con grande forza sulla base di quanto sperimentato nella sua patria africana. Egli aveva vissuto la scissione dei donatisti, motivata con l’accusa che nella Chiesa ci sarebbero stati alcuni vescovi che nella persecuzione si erano compromessi; con i quali non si sarebbe potuto vivere insieme. Esteriormente nulla era cambiato con la scissione, e tuttavia con essa tutto era diventato profondamente diverso. Agostino li richiamò. Pur avendo tutto — il medesimo “Amen”, il medesimo “Alleluja”, cioè il medesimo Canone e i medesimi inni, il medesimo “Credo” — c’è una cosa che non avete: lacerando l’unità avete distrutto l’amore. Ma siccome in esso abita lo Spirito Santo, senza di esso non avete nulla, resta solo la forma vuota. Così il tema della “Domenica del papa” è anche profondamente in rapporto con il tema del Vangelo di oggi: solo nell’unità della Chiesa i lontani divengono vicini; solo nell’unità realizziamo il comandamento dell’amore, nel quale ci accettiamo l’un l’altro come Cristo ha accettato noi.

Dal tempo di Pio ix nessun altro papa è stato attaccato, nessun altro papa è stato sotto la Croce quanto Paolo vi . Una volta, a un grande fautore evangelico dell’ecumenismo, egli disse che la cosa più grande che poteva avvenire oggi per l’unità della Chiesa era patire per questa unità e che oggi c’era la nuova ecumene di coloro che patiscono per l’unità. Ma proprio così il papa si pone nella sequela degli Apostoli: Pietro, che venne crocifisso a testa in giù, Paolo, che di sé disse che nel mondo gli Apostoli sarebbero diventati come spazzatura, ai quali tutti sputano in faccia. Forse possiamo comprendere meglio e con maggiore profondità la natura indistruttibile del papato in un tempo di critica al papa, più che in un tempo di entusiasmo per il papa. Celebriamo la Santa Eucaristia «in unione con il nostro papa Paolo». È un ringraziamento a lui perché svolge il suo ufficio nel nostro tempo nella forza del Signore. È una preghiera per lui, affinché il Signore lo sostenga come ha sostenuto Pietro che stava annegando. Ed è un appello a noi a cercare il Signore non altrimenti che nella Chiesa visibile: lì dove è Pietro.