All’Angelus il Pontefice commenta il noto invito di Gesù a “porgere l’altra guancia”

È triste che popoli fieri
di essere cristiani
pensino a farsi la guerra

 È triste che popoli  fieri di essere cristiani  pensino a farsi la guerra  QUO-042
21 febbraio 2022

Nella Giornata nazionale del personale sanitario
il ricordo dell’eroico comportamento
  di medici, infermieri e volontari al tempo del Covid


«Com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra!». Attualizzandolo al contesto odierno, Papa Francesco ha commentato così il Vangelo domenicale incentrato sul noto invito di Gesù a “porgere l’altra guancia”. Di seguito la meditazione proposta dal Pontefice il 20 febbraio all’Angelus recitato dalla finestra dello studio privato del Palazzo apostolico vaticano con i fedeli presenti in piazza San Pietro.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo della Liturgia odierna Gesù dà ai discepoli alcune indicazioni fondamentali di vita. Il Signore si riferisce alle situazioni più difficili, quelle che costituiscono per noi il banco di prova, quelle che ci mettono di fronte a chi ci è nemico e ostile, a chi cerca sempre di farci del male. In questi casi il discepolo di Gesù è chiamato a non cedere all’istinto e all’odio, ma ad andare oltre, molto oltre. Andare oltre l’istinto, andare oltre l’odio. Gesù dice: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6, 27). E ancora più concreto: «A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra» (v. 29). Quando noi sentiamo questo, ci sembra che il Signore chieda l’impossibile. E poi, perché amare i nemici? Se non si reagisce ai prepotenti, ogni sopruso ha via libera, e questo non è giusto. Ma è proprio così? Davvero il Signore ci chiede cose impossibili, anzi ingiuste? È così?

Consideriamo anzitutto quel senso di ingiustizia che avvertiamo nel “porgi l’altra guancia”. E pensiamo a Gesù. Durante la passione, nel suo ingiusto processo davanti al sommo sacerdote, a un certo punto riceve uno schiaffo da una delle guardie. E Lui come si comporta? Non lo insulta, no, dice alla guardia: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18, 23). Chiede conto del male ricevuto. Porgere l’altra guancia non significa subire in silenzio, cedere all’ingiustizia. Gesù con la sua domanda denuncia ciò che è ingiusto. Però lo fa senza ira, senza violenza, anzi con gentilezza. Non vuole innescare una discussione, ma disinnescare il rancore, questo è importante: spegnere insieme l’odio e l’ingiustizia, cercando di recuperare il fratello colpevole. Non è facile questo, ma Gesù lo ha fatto e ci dice di farlo anche noi. Questo è porgere l’altra guancia: la mitezza di Gesù è una risposta più forte della percossa che ha ricevuto. Porgere l’altra guancia non è il ripiego del perdente, ma l’azione di chi ha una forza interiore più grande. Porgere l’altra guancia è vincere il male con il bene, che apre una breccia nel cuore del nemico, smascherando l’assurdità del suo odio. E questo atteggiamento, questo porgere l’altra guancia, non è dettato dal calcolo o dall’odio, ma dall’amore. Cari fratelli e sorelle, è l’amore gratuito e immeritato che riceviamo da Gesù a generare nel cuore un modo di fare simile al suo, che rifiuta ogni vendetta. Noi siamo abituati alle vendette: “Mi hai fatto questo, io ti farò quell’altro”, o a custodire nel cuore questo rancore, rancore che fa male, distrugge la persona.

Veniamo all’altra obiezione: è possibile che una persona giunga ad amare i propri nemici? Se dipendesse solo da noi, sarebbe impossibile. Ma ricordiamoci che, quando il Signore chiede qualcosa, vuole donarla. Mai il Signore ci chiede qualcosa che Lui non ci dà prima. Quando mi dice di amare i nemici, vuole darmi la capacità di farlo. Senza quella capacità noi non potremmo, ma Lui ti dice “ama il nemico” e ti dà la capacità di amare. Sant’Agostino pregava così — ascoltate che bella preghiera questa —: Signore, «dammi ciò che chiedi e chiedimi ciò che vuoi» (Confessioni, x , 29.40), perché me lo hai dato prima. Che cosa chiedergli? Che cosa Dio è contento di donarci? La forza di amare, che non è una cosa, ma è lo Spirito Santo. La forza di amare è lo Spirito Santo, e con lo Spirito di Gesù possiamo rispondere al male con il bene, possiamo amare chi ci fa del male. Così fanno i cristiani. Com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra! È molto triste.

E noi, proviamo a vivere gli inviti di Gesù? Pensiamo a una persona che ci ha fatto del male. Ognuno pensi a una persona. È comune che abbiamo subito il male da qualcuno, pensiamo a quella persona. Forse c’è del rancore dentro di noi. Allora, a questo rancore affianchiamo l’immagine di Gesù, mite, durante il suo processo, dopo lo schiaffo. E poi chiediamo allo Spirito Santo di agire nel nostro cuore. Infine preghiamo per quella persona: pregare per chi ci ha fatto del male (cfr. Lc 6, 28). Noi, quando ci hanno fatto qualcosa di male, andiamo subito a raccontare agli altri e ci sentiamo vittime. Fermiamoci, e preghiamo il Signore per quella persona, che l’aiuti, e così viene meno questo sentimento di rancore. Pregare per chi ci ha trattato male è la prima cosa per trasformare il male in bene. La preghiera. La Vergine Maria ci aiuti a essere operatori di pace verso tutti, soprattutto verso chi ci è ostile e non ci piace.

Al termine della preghiera mariana il Papa ha ricordato la Giornata nazionale del personale sanitario, celebrata in Italia nel secondo anniversario dell’inizio della pandemia, ringraziando medici e infermieri per il loro eroismo. Francesco ha anche assicurato vicinanza alle popolazioni di Madagascar e Brasile colpite da calamità naturali e ha incoraggiato il “Progetto Arca”, che ha inaugurato a Roma l’attività in aiuto ai senza fissa dimora. Ecco le sue parole.

Cari fratelli e sorelle!

Esprimo la mia vicinanza alle popolazioni colpite nei giorni scorsi da calamità naturali, penso in particolare al sud-est del Madagascar, flagellato da una serie di cicloni, e alla zona di Petropolis in Brasile, devastata da inondazioni e frane. Il Signore accolga i defunti nella sua pace, conforti i familiari e sostenga quanti prestano soccorso.

Oggi è la Giornata nazionale del personale sanitario e dobbiamo ricordare tanti medici, infermiere e infermieri, volontari, che stanno vicino agli ammalati, li curano, li fanno sentire meglio, li aiutano. “Nessuno si salva da solo”, diceva il titolo nel programma “A Sua Immagine”. Nessuno si salva da solo. E nella malattia noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci salvi, che ci aiuti. Mi diceva un medico, questa mattina, che nel tempo del Covid stava morendo una persona e gli ha detto: “Mi prenda per mano che sto morendo e ho bisogno della sua mano”. L’eroico personale sanitario, che ha fatto vedere questa eroicità nel tempo del Covid, ma l’eroicità rimane tutti i giorni. Ai nostri medici, infermiere, infermieri, volontari un applauso e un grazie grande!

Saluto di cuore tutti voi, romani e pellegrini venuti dall’Italia e da diversi Paesi.

In particolare, saluto i fedeli di Madrid, Segovia, Burgos e Valladolid, in Spagna — tanti spagnoli! —; come pure quelli della parrocchia Santa Francesca Cabrini in Roma e gli studenti dell’Istituto dei Sacri Cuori di Barletta.

Saluto e incoraggio il gruppo “Progetto Arca”, che nei giorni scorsi ha inaugurato la propria attività sociale a Roma, in aiuto alle persone senza fissa dimora. E saluto i ragazzi dell’Immacolata, così bravi!

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.