Il magistero

 Il magistero  QUO-039
17 febbraio 2022

Giovedì 10

Dialogo
nella carità e nella verità

Sono particolarmente lieto che il trentesimo anniversario dell’elezione dell’amico e fratello Bartolomeo quale Patriarca dell’antica e gloriosa sede di Costantinopoli venga celebrato da tanti.

La buona intesa personale tra noi è nata il giorno dell’inaugurazione del mio ministero, quando mi onorò della sua presenza a Roma; ed è poi maturata in una fraterna amicizia nei tanti incontri che, nel corso di questi anni, abbiamo avuto a Roma, Costantinopoli, Gerusalemme, Assisi, Il Cairo, Lesvos e Bari.

Ci unisce la condivisa consapevolezza della nostra comune responsabilità pastorale nei confronti delle sfide che l’intera famiglia umana deve affrontare.

Sono grato per l’impegno del Patriarca Ecumenico per la salvaguardia del creato e per le riflessioni in materia, dalle quali ho appreso e continuo ad apprendere tanto.

Con lo scoppiare della pandemia e il dilagare delle sue drammatiche conseguenze sanitarie, sociali ed economiche, la sua testimonianza e il suo insegnamento sulla necessaria conversione spirituale dell’uomo hanno acquistato ulteriore rilevanza.

Inoltre, Sua Santità ha incessantemente indicato il dialogo, nella carità e nella verità, come unica via possibile per la riconciliazione tra tutti i credenti in Cristo e per il ristabilimento della piena comunione.

Su questa strada vogliamo continuare a camminare insieme.

È nostra convinzione che la prossimità e la solidarietà tra noi cristiani e tra le nostre Chiese siano un contributo doveroso alla fraternità universale e all’amicizia sociale di cui l’umanità ha bisogno.

(Videomessaggio per il 30° anniversario dell’elezione del Patriarca ecumenico Bartolomeo)

Venerdì 11

Il Giubileo 2025 sia segno di rinascita
dopo
la pandemia

Il Giubileo ha sempre rappresentato nella vita della Chiesa un evento di grande rilevanza spirituale, ecclesiale e sociale. Da quando Bonifacio viii , nel 1300, istituì il primo — con ricorrenza secolare, divenuta poi, sul modello biblico, cinquantennale e quindi fissata ogni venticinque anni —, il santo popolo fedele di Dio ha vissuto questa celebrazione come uno speciale dono.

I fedeli, spesso al termine di un lungo pellegrinaggio, attingono al tesoro spirituale della Chiesa attraversando la Porta Santa e venerando le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo nelle Basiliche romane.

Milioni di pellegrini nel corso dei secoli hanno raggiunto questi luoghi.

Il Grande Giubileo dell’anno 2000 ha introdotto la Chiesa nel terzo millennio. San Giovanni Paolo ii lo aveva tanto atteso nella speranza che i cristiani superate le storiche divisioni potessero celebrare insieme i duemila anni della nascita di Gesù.

Ora è vicino il traguardo dei primi venticinque anni del secolo xxi e siamo chiamati a una preparazione che permetta al cristiano di vivere l’Anno Santo in tutta la sua pregnanza.

Una tappa significativa è stata quella del Giubileo straordinario della Misericordia, che ci ha permesso di riscoprire la forza e la tenerezza dell’amore del Padre per esserne a nostra volta testimoni.

Negli ultimi due anni, tuttavia, non c’è stato un Paese che non sia stato sconvolto dall’improvvisa epidemia che, oltre ad aver fatto toccare con mano il dramma della morte in solitudine, l’incertezza e la provvisorietà dell’esistenza, ha modificato il nostro modo di vivere.

Abbiamo patito tutti le stesse sofferenze e limitazioni. Le chiese sono rimaste chiuse, come le scuole, le fabbriche, gli uffici, i negozi e i luoghi dedicati al tempo libero.

Abbiamo visto limitate alcune libertà e la pandemia, oltre al dolore, ha suscitato talvolta nel nostro animo il dubbio, la paura, lo smarrimento.

Gli uomini e le donne di scienza, con tempestività, hanno trovato un primo rimedio che progressivamente permette di ritornare alla vita quotidiana.

Abbiamo piena fiducia che l’epidemia possa essere superata e il mondo ritrovare i suoi ritmi di relazioni personali e di vita sociale.

Pellegrinaggio di speranza

Questo sarà più facilmente raggiungibile nella misura in cui si agirà con solidarietà, in modo che non vengano trascurate le popolazioni più indigenti, ma si possa condividere con tutti sia i ritrovati della scienza sia i medicinali necessari.

Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante.

Il prossimo Giubileo potrà favorire la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza.

Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza.

Ciò sarà possibile se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani.

Penso ai profughi costretti ad abbandonare le loro terre. Le voci dei poveri siano ascoltate in questo tempo di preparazione.

La dimensione spirituale del Giubileo, che invita alla conversione, si coniughi con questi aspetti fondamentali del vivere sociale, per costituire un’unità coerente.

Sentendoci tutti pellegrini sulla terra in cui il Signore ci ha posto perché la coltiviamo e la custodiamo, non trascuriamo di contemplare la bellezza del creato e di prenderci cura della nostra casa comune.

Auspico che il prossimo Anno giubilare sia vissuto anche con questa intenzione.

Un numero crescente di persone, tra cui molti giovani e giovanissimi, riconosce che la cura per il creato è espressione essenziale della fede in Dio.

L’Anno Santo possa essere preparato e celebrato con fede intensa, speranza viva e carità operosa.

Il pellegrinaggio verso il Giubileo potrà rafforzare ed esprimere il comune cammino che la Chiesa è chiamata a compiere per essere sempre più e meglio strumento di unità nell’armonia delle diversità.

Sarà importante aiutare a riscoprire le esigenze della chiamata universale alla partecipazione responsabile, nella valorizzazione dei carismi e dei ministeri che lo Spirito non cessa mai di elargire.

Le quattro Costituzioni del Concilio Vaticano ii , unitamente al magistero di questi decenni, continueranno a orientare il popolo santo di Dio, affinché progredisca nel portare a tutti il gioioso annuncio.

La consuetudine, la Bolla di indizione a tempo debito sarà emanata con le indicazioni per celebrare il Giubileo del 2025.

In questo tempo di preparazione, si potrà dedicare l’anno precedente, il 2024, a una grande “sinfonia” di preghiera.

Per recuperare il desiderio di stare alla presenza del Signore, ascoltarlo e adorarlo... per ringraziare Dio dei tanti doni del suo amore e lodare la sua opera nella creazione, che impegna al rispetto e all’azione responsabile per la sua salvaguardia.

Preghiera come voce che si traduce nella solidarietà e nella condivisione del pane quotidiano.

Preghiera che permette ad ogni uomo e donna di questo mondo di rivolgersi all’unico Dio.

Preghiera come via maestra verso la santità, che conduce a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione.

Un intenso anno di preghiera, in cui i cuori si aprano a ricevere l’abbondanza della grazia, facendo del “Padre nostro” il programma di vita di ogni suo discepolo.

(Lettera a monsignor Fisichella
per il Giubileo 2025)

L’incontro non è un’elemosina ma aprirsi
agli altri

Siete riuniti per celebrare la festa di Nostra Signora di Lourdes, pellegrinando con l’anima e chiedendo alla Vergine una grazia molto grande: essere comunità che va incontro a tutti.

Uscire per incontrare gli altri, ma anche per lasciarsi incontrare, perché l’incontro è reciproco, non è un’elemosina, è mettersi in gioco per un’idea, camminare insieme, rifuggire dallo stare soli e dall’isolamento per stare con gli amici, con la famiglia, con il Popolo di Dio, davanti alla Vergine.

Per questo chiediamo alla Vergine di aiutarci a essere comunità.

L’incontro è sempre aprirsi agli altri, l’opposto è chiudere il proprio cuore.

Madre, fa’ che non abbiamo il cuore chiuso, perché l’egoismo è una tarma che ti rode il cuore dal di dentro.

(Videomessaggio a fedeli argentini in occasione della festa di Nostra Signora di Lourdes)

Domenica 13

Il paradosso delle
Beatitudini

Al centro della Liturgia odierna ci sono le Beatitudini. Gesù, pur essendo attorniato da una grande folla, le proclama rivolgendosi «verso i suoi discepoli».

Le Beatitudini definiscono l’identità del discepolo di Gesù.

Possono suonare strane, quasi incomprensibili a chi non è discepolo; mentre, se ci chiediamo come è un discepolo di Gesù, la risposta sono proprio le Beatitudini.

Vediamo la prima, che è la base di tutte: «Beati voi, poveri».

Due cose dice Gesù dei suoi: che sono beati e che sono poveri; anzi, che sono beati perché poveri.

In che senso? Nel senso che il discepolo di Gesù non trova la sua gioia nel denaro, nel potere o in altri beni materiali, ma nei doni che riceve ogni giorno da Dio: la vita, il creato, i fratelli e le sorelle.

Anche i beni che possiede, è contento di condividerli, perché vive nella logica di Dio. E la logica di Dio [è] la gratuità.

Vivere
nella gratuità

Il discepolo ha imparato a vivere nella gratuità.

Questa povertà è anche un atteggiamento verso il senso della vita, perché il discepolo di Gesù non pensa di possederlo, di sapere già tutto, ma sa di dover imparare ogni giorno.

Questa è una povertà: la coscienza di dovere imparare ogni giorno.

Il discepolo di Gesù, poiché ha questo atteggiamento, è una persona umile, aperta, aliena dai pregiudizi e dalle rigidità.

C’era un bell’esempio nel Vangelo di domenica scorsa: Pietro, esperto pescatore, accoglie l’invito di Gesù a gettare le reti in un’ora insolita; e poi, pieno di stupore per la pesca prodigiosa, lascia la barca e tutti i suoi beni per seguire il Signore.

Si dimostra docile lasciando tutto, e così diventa discepolo.

Invece, chi è troppo attaccato alle proprie idee, alle proprie sicurezze, difficilmente segue davvero Gesù.

Lo segue un po’, soltanto nelle cose in cui “io sono d’accordo con Lui e Lui è d’accordo con me”, ma poi, per il resto, non va.

Questo non è un discepolo. E così diventa triste perché i conti non tornano, la realtà sfugge ai suoi schemi mentali e si trova insoddisfatto.

Il discepolo, invece, sa mettersi in discussione, sa cercare Dio umilmente ogni giorno, e questo gli permette di addentrarsi nella realtà, cogliendone la ricchezza e la complessità.

Il discepolo accetta il paradosso delle Beatitudini: esse dichiarano che felice chi è povero, chi manca di tante cose e lo riconosce.

Umanamente, siamo portati a pensare: è felice chi è ricco, chi è sazio di beni, chi riceve applausi ed è invidiato, chi ha tutte le sicurezze.

Ma questo non è il pensiero delle Beatitudini! Gesù dichiara fallimentare il successo mondano, in quanto si regge su un egoismo che gonfia e lascia il vuoto.

Davanti al paradosso delle Beatitudini il discepolo si lascia mettere in crisi, consapevole che non è Dio a dover entrare nelle nostre logiche, ma noi nelle sue.

Questo richiede un cammino, a volte faticoso, ma sempre accompagnato dalla gioia.

Perché il discepolo è gioioso. La prima parola che Gesù dice: beati; da qui il nome delle Beatitudini.

È questo il sinonimo dell’essere discepoli di Gesù.

Il Signore, liberandoci dalla schiavitù dell’egocentrismo, scardina le nostre chiusure, scioglie la nostra durezza, e ci dischiude la felicità vera, che spesso si trova dove noi non pensiamo.

Lui guida la nostra vita, non noi con i nostri preconcetti o le nostre esigenze.

Il discepolo si lascia guidare da Gesù, gli apre il cuore, lo ascolta e segue la sua strada.

Possiamo chiederci: ho la disponibilità del discepolo? O mi comporto con la rigidità di chi si sente a posto, per bene, già arrivato?

Mi lascio “scardinare dentro” dal paradosso delle Beatitudini, o rimango nel perimetro delle mie idee?

E con la logica delle Beatitudini, al di là delle fatiche e delle difficoltà, sento la gioia di seguire Gesù?

[Ecco] la pietra di paragone per sapere se una persona è discepolo: ha la gioia nel cuore?

(Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 16

Ultima
catechesi su
san Giuseppe

Concludiamo oggi il ciclo di catechesi sulla figura di San Giuseppe. Esse sono complementari alla Lettera apostolica Patris corde, scritta in occasione dei 150 anni dalla proclamazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa Cattolica, da parte del Beato Pio ix .

Sono i Vangeli a fornirci la chiave di lettura. Infatti, alla fine di ogni vicenda che vede Giuseppe come protagonista, il Vangelo annota che egli prende con sé il Bambino e sua madre e fa ciò che Dio gli ha ordinato.

Risalta così il fatto che Giuseppe ha il compito di proteggere Gesù e Maria. Egli è il loro principale custode.

Nel piano della salvezza non si può separare il Figlio dalla Madre.

La vocazione del cristiano
è custodire
la vita

Gesù, Maria e Giuseppe sono in un certo senso il nucleo primordiale della Chiesa. Gesù è Uomo e Dio, Maria, la prima discepola, è la Madre; e Giuseppe, il custode.

Qui c’è una traccia molto bella della vocazione cristiana: custodire.

Custodire la vita, custodire lo sviluppo umano, custodire la mente umana, custodire il cuore umano, custodire il lavoro umano. Il cristiano come San Giuseppe deve custodire.

Essere cristiano è non solo ricevere la fede, confessare la fede, ma custodire la vita, la vita propria, la vita degli altri, la vita della Chiesa.

Gesù è nato debole. Ha voluto aver bisogno di essere difeso, protetto, accudito.

Dio si è fidato di Giuseppe, come ha fatto Maria, che in lui ha trovato lo sposo che l’ha amata e rispettata e si è sempre preso cura di lei e del Bambino.

Ogni persona che ha fame e sete, ogni straniero, ogni migrante, ogni persona senza vestiti, ogni malato, ogni carcerato è il “Bambino” che Giuseppe custodisce.

E noi siamo invitati a custodire questa gente, questi nostri fratelli e sorelle, come l’ha fatto Giuseppe.

Per questo è invocato come protettore di tutti i bisognosi, degli esuli, degli afflitti, e anche dei moribondi.

Anche noi dobbiamo imparare da Giuseppe a “custodire”: amare il Bambino e sua madre; amare i Sacramenti e il popolo di Dio; amare i poveri e la nostra parrocchia.... Perché con questo custodiamo Gesù, come ha fatto Giuseppe.

Oggi è comune, è di tutti i giorni criticare la Chiesa, sottolinearne le incoerenze — ce ne sono tante — i peccati, che in realtà sono le nostre incoerenze, i nostri peccati, perché da sempre la Chiesa è un popolo di peccatori che incontrano la misericordia di Dio.

Domandiamoci se, in fondo al cuore, noi amiamo la Chiesa così come è. Popolo di Dio in cammino, con tanti limiti ma con tanta voglia di servire e amare Dio.

Solo l’amore ci rende capaci di dire pienamente la verità, in maniera non parziale; di dire quello che non va, ma anche di riconoscere tutto il bene e la santità che sono presenti nella Chiesa, a partire proprio da Gesù e da Maria.

Amare la Chiesa, custodire la Chiesa e camminare con la Chiesa.

Ma la Chiesa non è quel gruppetto che è vicino al prete e comanda tutti.

La Chiesa siamo tutti. In cammino. Custodirci uno l’altro, custodirci a vicenda.

Vi incoraggio a chiedere l’intercessione di San Giuseppe proprio nei momenti più difficili della vita vostra e delle vostre comunità.

Lì dove i nostri errori diventano scandalo, chiediamo a San Giuseppe di avere il coraggio di fare verità, di chiedere perdono e ricominciare umilmente.

Lì dove la persecuzione impedisce che il Vangelo sia annunciato, chiediamo a San Giuseppe la forza e la pazienza di saper sopportare soprusi e sofferenze per amore del Vangelo.

Lì dove i mezzi materiali e umani scarseggiano e ci fanno fare l’esperienza della povertà, soprattutto quando siamo chiamati a servire gli ultimi, gli indifesi, gli orfani, i malati, gli scartati della società, preghiamo San Giuseppe perché sia per noi Provvidenza.

Quanti santi si sono rivolti a lui! Quante persone nella storia della Chiesa hanno trovato in lui un patrono, un custode, un padre!

Rispetto
della libertà
di ogni Paese
in Europa

Lunedì abbiamo celebrato la memoria dei santi fratelli: Cirillo, Monaco e Metodio, Vescovo, apostoli degli Slavi e Patroni d’Europa.

Preghiamo Dio affinché, per la loro intercessione le nazioni di questo Continente, consapevoli delle loro radici cristiane, risveglino lo spirito di riconciliazione, di fraternità, di solidarietà e di rispetto di ogni Paese, della libertà di ogni Paese.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )